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martedì 26 giugno 2012

Un giorno questo dolore ti sarà utile


La storia di James, della sua famiglia, del suo mondo è un po’ la nostra storia. Quella di una dimensione culturale e sociale che acuisce la solitudine e il disagio. Quella di una condizione storica che alla ricchezza della sensibilità e dell’intelletto preferisce quella delle cose, delle convenzioni, della mondanità. Quella di una crisi delle relazioni umane, del fascino puro dell’esistenza, della pace interiore.
Una prosa curata, piena, densa accompagna i protagonisti in una quotidianità complicata. E traccia con grande efficacia e intensità il profilo di ciascuno, la fragilità degli incastri, l’inquietudine di fondo e qualche meraviglioso lampo di luce.
Perfetto il ritratto dei conflitti, delle contraddizioni, delle lotte di ognuno. Perfino nel dettaglio delle ansie e delle “vie di fuga” individuali Peter Cameron riesce ad essere gradevolmente acuto. Grandiosa per grazia e saggezza la figura della nonna di James e Gillian.
Un buon libro. Una lettura che apre molte porte alla riflessione, all’osservazione del nostro stato precario di corridori senza meta e a fiato corto.
James, il ragazzo “disturbato”, con i suoi desideri essenziali, di verità, di semplicità, di serenità, smaschera la superficialità e la futilità di tutto e ci costringe a fare i conti con il nostro fallimento.
Il finale, in questa narrazione impeccabile al ritmo naturale del tempo e degli eventi, subisce un’accelerazione quasi brusca che urta lievemente con la costruzione così magistralmente posata, puntigliosa, assorta. Forse è stata proprio una scelta di Cameron. Tutto sommato non doveva esserci un epilogo altrettanto scandito, sofferto, puntuale. Anzi. Quelle ultime pagine che precipitosamente terminano il racconto restano appunto come puntini di sospensione…Quelli del destino o della sua interpretazione.
Nella vita come dialogano rassegnazione, tristezza, speranza, ribellione?
Peter Cameron, Un giorno questo dolore ti sarà utile, Gli Adelphi

mercoledì 20 giugno 2012

Troppo sesso, basta!


Non avrebbe mai creduto potesse avere il fiato corto quel legame. Tutta quella passione, tutta quella gelosia, tutti quei sospiri, tutta quella intimità di battiti, mani, sguardi. Le scintille di attrazione e possesso sembravano fuochi d’artificio destinati a non finire mai. E non solo. Quella complicità ardente doveva essere una chiave, il segnale, il sigillo di un sentimento enorme e assoluto.
Lì dove l’afflato dei corpi sprigiona calore e piacere, lì dove la complicità dei sensi mescola gli odori e i brividi, lì dove ogni attimo sembra assorbire tutto il tempo e lo spazio del mondo lei aveva creduto albergasse l’amore. L’amore. Quello dell’anima, della vita, dei sogni, del pianto, del dolore, della fatica. Quello del bene e del male, della notte e del giorno, del rumore e del silenzio. Al di là della poesia, dell’euforia, della dolcezza. L’amore. Quello che accompagna nel sonno e torna alla veglia puntuale ogni mattina. Qualsiasi cosa accada. Oltre ogni bacio, oltre ogni sussurro, oltre ogni carezza. L’amore nella paura e nell’angoscia. L’amore nella confusione e nel tormento.
Ma non è una decisione, l’amore.
E non è la scossa delle eccitazioni.
Lei ha creduto, ha sperato. Forse ha voluto immaginarselo così l’amore. Avvolgente e stuzzicante. Frizzante, intrigante, coinvolgente. Sempre incandescente. Lei ha amato un’idea, forse. E ha cercato attenzioni, parole che avessero il suono della voluttà, prove di una smania sempre accesa e intensa. Conferme, ecco, conferme delle aspettative.
Gioco. Pretesa. Bisogno. Con dentro le insicurezze, l’egocentrismo, l’emotività fanciulla. Un terribile concentrato di slancio e illusione. Una tragicomica avventura dell’inganno. E una cocciuta crociata. Roba da personalità gonfia, come direbbe la signora Lia. Ha delle ragioni, l’amica Lia. Ma nelle personalità gonfie talvolta si annidano voragini affettive, superficialità pericolose, contorti percorsi di spirito.
Non solo colpe e arroganze, facili esaltazioni e amor proprio in fibrillazione perenne. Anche una semplicità spinosa, una sorta di irrequieta necessità di piccolissime ma incessanti manifestazioni di consenso, di gradimento, di lode. Idealizzare, sublimare. Insomma, si, questo attendeva. Un processo di totale dedizione e venerazione.
Ma un compagno che le è accanto soprattutto con il corpo, che ha scelto per quelle emozioni forti, che ha voluto sua vittima e suo carnefice nella delizia del groviglio a due piazze, è riuscito a vederla solo  come una donna, un’amante, l’altra metà della partita. Niente di così straordinariamente profondo da renderla insostituibile.
Adesso l’ingranaggio inceppato porta i dubbi, i rimorsi, i rimpianti, la rabbia. E traccia la ferita sciocca dell’orgoglio. Così brusca la scoperta da irrigidirle gli abbracci. Come se non fosse più tanto meravigliosa quell’intesa travolgente. Come se adesso fosse una violenza l’impellenza con la quale lui vuole continuare il divertimento antico. Come se fosse giunta l’ora di presentargli il conto, di chiedere di più, di urlare che lei è altro da quella bambola che stropicciava e si faceva stropicciare.
Troppo tardi, forse. E ci vuole il delicato pudore della verità. Bisogna chinare il capo, allontanarsi senza strepitare, volgere a quel che è stato un sorriso di chiusura, elegante e sereno. Perché non è stata preda della sua ferocia ma di un delirio. Suo o di entrambi, questo lo scriveranno domani nei loro ricordi.
Certo è curioso che su questo filo del sesso appagante, dell’estasi che sembrava nutrirli ad ogni sinuosa moina lei abbia dato un fatale, fermo colpo di forbice. Lui è sgomento. Troppe volte era bastato rinnovare una lusinga per conquistare i tuoi gemiti. Ma io la capisco, credo. Sente che è al capolinea, sono al capolinea. Lei e le sue frenetiche attese di amore.
Mi resta la speranza che lei possa non ingarbugliare più i pensieri nella spasmodica urgenza di essere messa su qualche piedistallo. 

mercoledì 13 giugno 2012

Aiutiamo gli eterosessuali


Liberiamo gli uomini dal machismo "culturale", per carità!
Solleviamoli dall’obbligo di dimostrare la loro virilità con la dichiarazione vigorosa e perentoria di essere decisamente e irremovibilmente eterosessuali. Spieghiamo loro che il ghigno di scherno verso gli omosessuali non fa che tradire debolezza, stupidità, arroganza. E invitiamoli a coltivare il buon senso del dubbio…In una società che ancora soffoca le più umane espressioni non è affatto da escludere che gli omosessuali si celino ovunque ma non facciano outing. In famiglia, in ufficio, sul campo di calcio, al ristorante possiamo averne accanto uno ma non saperlo. Questo l’eterosessuale arrogante e ignorante deve imparare a considerarlo!
Qualora poi l’omofobia fosse abbracciata come pensiero giusto il macho farebbe bene a manifestarsi tale fino in fondo. Senza scuse, senza passi indietro, senza ripensamenti. Potremmo almeno rendere onore alla schiettezza.

martedì 12 giugno 2012

Nuvola di bianco tulle


Così hai coronato il sogno di una nuvola di bianco tulle.
Tra la musica di un’orchestra in festa, i piani invitanti di una torta, il riso che volava in aria. E tu con gli occhi bassi, intenta a non incrociare lo sguardo del desiderio. Quello che tante volte hai amato, lasciando però che avesse il sopravvento la tua ambizione.
Non un’attrazione fatale ma un gioco subdolo e malvagio. Un divertimento. Un’evasione. Una conferma della tua capacità di cogliere ogni fresco frutto. Una terribile rivincita sul tuo stesso squallore. E adesso che la nuvola bianca ti consacra al mondo che hai tenacemente inseguito ecco finalmente un fremito fastidioso. Un turbamento improvviso vela il tuo portamento spavaldo.
E’ paura. Paura che qualcuno mostri il coraggio della rabbia. Paura che qualcosa infranga la vetrina del tuo splendido futuro.
L’ombra ti segue. Senti l’alito sul collo. Recuperi con uno scatto di disperazione tutta la tua grinta, ti volti con un sorriso di sfida sul volto e incontri parole pronunciate a voce bassa, profonda, pacata: vorrei augurarti una vita felice…
Non sono rivolte a te! La voce parla tendendo la mano all’uomo raggiante al tuo fianco.
A te sono rivolte altre due cose: i punti di sospensione dopo l’uso già raggelante del condizionale e l’assoluta indifferenza. La voce gira i tacchi senza porgere alla tua vista alcuna occhiata e si allontana con passo fermo ma quieto.
Ti accasci nella nuvola di tulle bianco. E’ emozione, rassicurano tutti. No, è l’urlo del tuo orgoglio bieco. Pochi sanno e quei pochi sperano sia una bella lezione. Macché. Riprendi colore e passo e, nonostante bruci in petto l’affronto, torni spumeggiante regina. Pronta a tutto. Chi si crede di essere, pensi. Tu stai bene lì. L’uomo raggiante accanto a te è il miglior acquisto che tu potessi fare.
E pensi che lui, l’uomo raggiante, non sappia di essere il trampolino di lancio, il preziosissimo veicolo per i tuoi incandescenti e lussuosi sogni, l’agognato gioiello del tuo frenetico shopping.
Eppure taluni, sotto i cappelli e dentro gli abiti chic, giurerebbero il contrario. E un vecchio e distinto signore mormora che il tempo è galantuomo.

lunedì 4 giugno 2012

Mano nella mano


Tienimi la mano, non lasciarmi. Sono vecchio, cammino a fatica, vedo poco, talvolta un fastidioso tremore mi rende instabile. Cammina al mio fianco, giovane vita, sorreggimi se puoi.
Tienimi la mano, non lasciarmi. Sono piccolo, muovo traballando i miei primi passi, ho paura del buio, certe volte mi sento tanto insicuro. Cammina al mio fianco, vecchio amico, sostienimi se puoi.