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giovedì 29 novembre 2012

Il trucco degli uomini


Fino a qualche anno fa avrei riso se mi avessero narrato di uomini alle prese con le cure di bellezza. Non che ritenessi non avessero diritto a un buon profumo o a un rigenerante massaggio, per carità. E, intendiamoci, non nutrivo passione per l’uomo grezzo e trasandato. Mi piaceva pure quello che si rifiniva con garbo e amore baffi, barba e basette.
Diciamo solo che non ero avvezza a vederlo intento a imbellettarsi. Lo immaginavo meno schiavo dell’immagine, più casual. Più easy o più free, come si direbbe adesso. Più maschio, come direbbe la signora Lia.
Invece il salto è avvenuto eccome! I centri estetici esultano. Peraltro anche a casa la toilette degli uomini è diventata lunga e laboriosa. Sono raffinati ed esigenti. Non c’è dettaglio che sfugga alla loro ormai maniacale attenzione. Mani e sopracciglia parlano, accidenti. Ovviamente gongolano pure i parrucchieri e i negozi che hanno conquistato clienti avidi di creme antirughe e burrocacao per le labbra.
Non si accontentano più di una sauna o di un bagnoturco. Macché, li vedi in ammollo nell’idromassaggio e poi saltellare tra docce emozionali con sguardi estatici. Come regalo di Natale giurerei sperano in una settimana di beauty farm. D’altra parte sono rigorosi, gli uomini. Se abbracciano un obiettivo non sgarrano neanche al tuono delle cannonate. Palestra tutti i giorni e dieta salutista sono imperativi ai quali obbediscono con disinvoltura e zelo. E se gli fai provare la limetta a spugna per lucidare le unghie, quella che noi donne ricordiamo una volta all’anno la sera del mega evento al quale proprio dobbiamo andare e al quale davvero non vogliamo sfigurare, la usano a meraviglia tutti i santi giorni del calendario.
Pure sotto la doccia riescono a darci dei punti. Per noi magari basta il bagnoschiuma in offerta speciale, per loro devi trovargli almeno quello cremoso al punto giusto e con ottima fragranza.
Non accenno a quelli che praticano estenuanti opere di depilazione perché lì, scusatemi, arriviamo al limite…
E pensare che una volta per evitargli scottature dovevi inseguirli per la spiaggia spruzzandogli la protezione solare a distanza!
Adesso mi chiedo cosa ne sarà di noi donne senza troppa abitudine ai trattamenti estetici. Come ci vedranno gli occhi dei nuovi uomini? Urca, mi assale un dubbio di sciatteria. Non ho un’estetista alla quale telefonare per un appuntamento. Devo ricorrere urgentemente a qualche rimedio casalingo, cetrioli sugli occhi per esempio.
Anzi, farò di meglio. Chiederò consiglio agli uomini.

martedì 27 novembre 2012

Andamento lento


Parafrasando Tullio De Piscopo è una melodia ad andamento lento, “magico e suadente questo ritmo che vibra sotto pelle eccitandoti”…la musica che ti soffia intorno e ti accende. Morbidamente.
Inizi a muoverti, sensuale. I bracciali tintinnano in sintonia, lievi. Le mani disegnano figure nell’aria, forse sogni o carezze. Poi scendono lungo i fianchi, nel profilo delle forme. Lasci ondeggiare la testa, chiudi gli occhi.
Su di te uno sguardo, di passione dolce.
Sfumate le note il corpo riprende un moto freddo, quasi nervoso, muovi il passo verso un divano, prendi dal tavolino un bicchiere e ti siedi a bere accennando un sorriso stentato alla donna già accomodata.
Se una macchina fotografica non lo avesse immortalato, l’attimo di armonia sarebbe evaporato senza prove e ricordi. 

lunedì 26 novembre 2012

Il segnalibro blu nel cielo uggioso


Deve voltare le spalle alla finestra.
Accendere la luce e immaginare un sole che non c’è. Accendere la radio e stordire il rumore della pioggia.
Non ce la fa. Quel cielo bigio è un peso sull’anima. Intorpidisce. Sveglia i pensieri che non vuole avere tra le mani, quelli cenerini come il cielo appunto.
Macché malinconia romantica. E’ una cappa di angoscia, una riunione di fantasmi che danno il tormento.
E più si appresta a cucire per scacciare la nuvola densa che la insegue più sprofonda in una confusa agonia di inutili tentativi. Non può ingannarsi. Non gira lo sguardo ma la luce non illumina abbastanza e la radio non grida a sufficienza. L’uggia è più forte, è come una prigione dalla quale non c’è mezzo per scappare. In casa o fuori la costringe a quella resistenza orribile.
La poltrona è una culla con le spine. Non può lasciarla ma sente le punture nella carne. Posa la stoffa, l’ago, il filo. Con un libro andrà meglio. Allunga la mano e prende quello impossibile, è lì da mesi, forse da anni, sempre sullo stesso ripiano, sempre con lo stesso nastro blu infilato a memoria della stessa pagina. Un supplizio. Perché l’oppressione sul petto è anche quella spirale malvagia, andarsi a cacciare ancor più nella tristezza invece di prenderla a calci.
Quando le arrivano gli occhi alle lacrime lo richiude, non prima di aver rimesso con grazia il segnalibro blu. Passerà, se domani esce il sole.

sabato 24 novembre 2012

Un giullare nell'alcova


Ridere fa bene alla salute. E anche all’amore, forse.
Così narra un eccitato saltimbanco che adora portare in scena fatti e misfatti dei suoi privati tragitti sentimentali.
Curiosa mania, certo. D’altra parte tocca ammettere che è fantastico ascoltarlo in quello che sembra un incolpevole delirio e che ha sempre uno sfondo dolcissimo.
E’ quasi devozione al buon umore, incondizionata attrazione verso la risata. Il saltimbanco gioca, sogna, mangia emozioni. 
Chissà quali donne hanno condiviso il talamo dell’ilarità e della passione. Chissà quali donne hanno gioito di quel vulcano di energia e spirito. E quali addii abbiano spezzato quei momenti di serena allegria, di profumata leggerezza, di esilarante erotismo.
Possiamo stare solo sul filo del racconto. Sospesi tra fiducia e incredulità.
Ma la signora Lia, si sa,  sta stretta nelle dimensioni incerte e scivolose, ci invita a scavare in quella storia. La storia di un uomo che vive di sorrisi e attimi strappati alla vita con il fiato grosso, l’urgenza in pancia, il piglio in testa. Un uomo che cede al piacere per la voglia di regalarne. Un uomo che non vanta conquiste ma ricorda con entusiasmo le occasioni per sciogliersi in sorrisi e divertimento. Un uomo che trova appagante il suono della baldoria lieta.
Alla signora Lia scappa di indagare, insomma. Non riesce a conciliare quella baldanza comica nell’intimità con il tempo e la complessità delle relazioni. Intanto, sentenzia, smettiamola con la tiritera delle donne alle quali garba l’uomo che le fa ridere! Quello stato di grazia vale quando vogliono loro e, comunque, di solito a letto se ne portano un altro, magari tenebroso…E poi questa smania di spasso un capo o una coda ce la deve avere.
Azzardo un risvolto erotico del riso. Allenta le inibizioni e rilassa il corpo e la mente quindi predispone al godimento. Ma la signora Lia mi incenerisce con lo sguardo. Al piacere ci si accosta diversamente, grugnisce. Il cabaret non eccita, cara mia, aggiunge.
Io resisto, questa volta non mi arrendo subito alla saggezza indiscussa della signora Lia però… in effetti quel giullare racconta di euforie dei sensi da contesti esilaranti e non mi viene proprio facile immaginare accoppiamenti sessuali, accidenti!
Restiamo a lungo in silenzio. Poi a sbottare sono io: comunque sia, a me piace crederci.
In verità piace anche a me, ride la signora Lia. 

mercoledì 21 novembre 2012

Amore e incubi


Dopo averla stritolata nella morsa della gelosia, ti sei ritrovato accanto una donna malinconica e impaurita, attorcigliata sulla sua fragilità e colma di amarezze.
Una donna che non ti piaceva più e che giocavi a torturare con lo sprezzo di chi deride le ansie e le debolezze, di chi spalanca la bocca in un orribile ghigno davanti alle lacrime.
Una donna che non sapeva più se ti amava o era aggrappata ad un sogno e a un ricordo. Una donna schiava della sua stessa dolcezza.
A quella donna hai rivolto una smorfia quando chiedeva un sorriso, hai urlato la forza quando cercava affetto. Le hai rubato mille volte il piacere quando desiderava solo una carezza e hai risposto a tante parole con il pugno teso.
Hai torturato con ogni mezzo, hai sfogato rabbia e sarcasmo, hai riso sguaiatamente.
Quando il destino atroce ha fatto il suo corso il tuo cuore è esploso. I nervi sono volati fuori dal tuo corpo in uno spasmo di dolore e disperazione. Ti sei accasciato per strada, sotto l’acqua che lavava i pensieri e il tempo, nel buio che nascondeva i brandelli della vita. Urlare non serviva più, non scuoteva che l’aria.
Hai sentito il vigore come un ingombro orribile, volevi solo che l’agonia ti consumasse, in fretta. Hai accarezzato il gelo ed è stato come se ti arrivasse dentro la stessa ferocia che troppe volte avevi messo nelle mani. In testa e nel petto, una fitta acuta.
Allora hai pianto, di te stesso e di quell’esistenza che ti rimbalzava intorno mentre volevi l’oblio. Hai sperato ti uccidesse quel supplizio. Ma la fine non arrivava. Minuti, ore. Fino all’alba. Fino al risveglio da un incubo.
Fu una di quelle notti che cambiano il giorno degli uomini.

lunedì 19 novembre 2012

Tunnel


Scosta appena le tende, guarda fuori.
Fissa il labiale, le vicine sussurrano qualcosa, non è la solita conversazione del mattino a voce cristallina. Forse parlano proprio di lei. Della sua strana malattia. Di quella penombra inquieta.
Era arrivata titubante all’incontro con quel raggio di luce, quasi una sfida con se stessa per spiare almeno un po’ di quotidianità. Ed è già pentita, ora che quelle parole segrete le arrivano come una pugnalata al cuore pensa che il silenzio e la solitudine la proteggono da quello strazio, torna a letto e si abbandona ai pensieri.
Perché?
Non si chiede perché è capitato a lei, perché le è capitato proprio quel destino. Quello che la tormenta è perché tutto muti intorno a lei. Perché la gente abbia così paura di quello che è scomodo, di quello che muta le abitudini, di quello che tiene sulle spine per tanto tempo. La gente vuole un dolore da scacciare con una pastiglia, una patologia grave che consegna in un lampo alla morte, una sofferenza con la quale si convive con una terapia da cavallo fitta e precisa. Vive invece un disagio insopportabile quando un malanno altera l’ordine della routine, sfugge alla prassi che conoscono, leva fiato alla tranquillità.
Lei preparava il caffè per le vicine, ogni giorno.
Lei andava a pranzo dalle vicine, ogni sabato.
Lei andava al mercato con le vicine, ogni giovedì.
Lei andava a messa con le vicine, ogni domenica.
Confidenze e ricordi. Lei e le vicine si conoscevano da cinquant’anni.
Adesso non volevano disturbarla, aspettavano che guarisse.
Perché non condividevano la sua penombra? Perché non le facevano visita accarezzandole la mano in silenzio?
Lei non riusciva a giudicarle male per questo. Sapeva che non era cattiveria o indifferenza ma il brutto imbarazzo di quella piccola cultura della “regolarità”. Qualcosa che stritolava di ottusità il costume.
D’altra parte aveva a malapena la forza di sopravvivere, le battaglie contro i pregiudizi avrebbero richiesto un’energia che non aveva. Allora pianse, amaramente. Per il rammarico di non aver mai lottato prima. 
(dipinto di Domenico Cocchiara, La Lacrima)

venerdì 16 novembre 2012

Rocco Papaleo: Basilicata on my mind


Va bene confesso
sono nato in Basilicata…si…la Basilicata esiste…esiste
è un pò come il concetto di Dio
ci credi o non ci credi

io credo nella Basilicata,una grande Basilicata,una Basilicata che estende i suoi confini fino a Foggia,fino a Salerno
la Basilica…Grandi pascoli…
Perchè la Basilicata ha bisogno di orologi,ha bisogno di mucche,ha bisogno di cioccolato
altrimenti non sarà mai la Svizzera del Sud…
dice la BasilicataLa Basilicata è stanca della sue incongruenze
la Basilicata si sta chiedendo…perchè la Basilicata è una regione riflessiva,
una regione che ragiona…la Basilicata si sta chiedendo
ma come mai in una ragione dove la dc è sempre oltre il quaranta per cento non c’è la mafia,
ma dateci la nostra fetta di mafia.
Dice…La Basilicata…
la Basilicata è stanca di Cristo che si è fermato ad Eboli…
per carità è un bel libro però vorrei vedere i romani se Carlo Levi avesse scritto Cristo si è fermato a Orte…
comunque grazie Carlo è anche merito tuo se la Basilicata ora ha un inno
finalmente ha alzato la testa
ha un inno che si è scritto da sola perchè senza falsa modestia è una regione che ragiona,
una regione che compone parole struggenti,il lucano medio
perchè la Basilicata parla la lingua del suo popolo ma al tempo stesso vuole essere
compresa da tutti e allora ha chiesto a Rocco Papaleo e famiglia di tradurre le parole del suo inno
…noi lo faremo…
la Basilicata dice
se Cristo si è fermato ad Eboli di chi è la colpa?Certo non è nostra,
noi gli volevamo bene e avevamo preparato una festa grandissima
con dolci tipici,vino,sembrava capodanno ma Cristo non è venuto,non ha neanche avvisato
siamo rimasti male,abbiamo dovuto buttare tutta la roba
ma anche senza protezione ci siamo dati da fare e con molta insistenza ne siamo venuti a capo!!!
……
Ba,Ba, Basilicata
Ba,Ba, Basilicata
tu che ne sai, l’hai vista mai
Basilicata
is on My Mind
……
il Papa si è interessato,ci ha telefonato,
ha detto state tranquilli,ci avrebbe aiutato e noi per stare tranquilli
per aiutarci a resistere senza dirgli niente
ci siamo diventati buddhisti!
……
Ba,Ba, Basilicata
Ba,Ba, Basilicata
tu che ne sai, l’hai vista mai
Basilicata
is on My Mind
e comunque alla Basilicata on le interessa di entrare in Europa
casomai in Asia…Minore!
Non ho pubblicato la versione dialettale per consentire a tutti comprensione immediata. Il testo in italiano però non ha garanzia di originalità (accidenti Rocco, pubblica il testo preciso sul tuo sito!!!)

mercoledì 14 novembre 2012

Di professione accompagnatrice


Arrivi all’appuntamento puntuale, sensuale e sorridente. Non metti il broncio se ti porta a una noiosissima cena d’affari, non ti lamenti della suocera, non gli rammenti che il giorno dopo deve rincasare presto per la recita dei bambini.
Sei perfetta nella tua accondiscendenza quieta, amabile nella tua gentilezza, impeccabile nella composta presenza di commensale affascinante.
Lui sai se sei disponibile ad andare oltre l’accompagnamento, tu sai quali tariffe sono previste per la prestazione minima e per gli eventuali risvolti, entrambi potete serenamente guardarvi negli occhi senza cogliere rimproveri, impazienza, ricordi, tensioni.
Lui fai il galante, ostenta una disinvoltura degna di un attore, ti accenna quanto basta perché tu possa riempirlo di lusinghe sulle sue prodezze professionali, ammicchi con lo sguardo come se vi unisse confidenza e complicità.
La scena è variegata ma il copione si ripete. Tu hai fatto le stesse cose ieri sera con l’imprenditore di grido e ti alleni a ben figurare domani con il politico di turno. Lui ha conosciuto altre donne come te, compagne di un pezzetto di strada lungo qualche ora.
Lui è più simpatico, forse. Tu sei più bella, magari. O invece non siete neanche il meglio che possa capitare in queste circostanze, poco importa. Anche l’ attimo di fastidio o di delusione vola via, presi come siete a reggere il palcoscenico dell’ordinario in modo fuori dal comune…
L’unica cosa alla quale tu tieni davvero è rispettare la tua immagine da valente manager di te stessa. Sei calata nel ruolo, non scivoli, non hai incertezze, non cedi a compromessi. Fingi bene, questo si. Ma sei decisa a non confondere la menzogna con la realtà.
Almeno fino a quella sera. Almeno fino a quell’incontro. Il tuo amico dell’agenzia, pur violando le regole e pregandoti di non svelare mai quelle informazioni, ti aveva avvisata.
Lo vedi e capisci in un lampo che quello non sarà un turno di lavoro come gli altri.
Sei impacciata e questo davvero ti innervosisce.
Non riesci a sostenere il suo sguardo e di questo hai paura.
Durante il breve viaggio in macchina al suo fianco rivedi Pretty Woman ad alta velocità e vorresti invece scacciare i sogni, le sensazioni, le emozioni…Tenti di conversare ma ti accorgi dalle sue risate che hai perso il filo, ti è sfuggita la domanda, hai dato una risposta senza senso. Balbetti.
Davanti al ristorante provi l’impulso di scappare ma resti. Quasi vorresti fosse tutto vero… Ma è vero. Sei proprio lì, con lui. No, non basta. Non è questo che intendi.
Lui sembra quasi leggere i tuoi pensieri. E allora cerchi con tutte le forze di rimettere i piedi per terra, apri la borsa, guardi il biglietto con ora e luogo dell’appuntamento: ha il timbro dell’agenzia, la firma del responsabile, il tuo nome scritto in stampatello.
Mi chiamo Maria, hai detto quando lui ti porgeva la mano e ti diceva il suo nome. No, mi chiamo Mary, di professione accompagnatrice, pensi. E ti sforzi di ricordarlo tutta la sera.

sabato 10 novembre 2012

Signora, si sposti più in là!


Il gorgheggio sincopato. Il volo convulso tra argomenti. Lo sguardo volubile che vaga ovunque. La destrutturazione totale tra posa, parole, fatti. L’assenza assoluta della modalità ascolto. E l’eccitazione, abnorme ma rigorosamente negata.
Signora…si rilassi! O, almeno, si sposti più in là. Qui inquieta, turba, logora!
Tipologia critica di donna in overdose di energia, sentimentalmente irrisolta.
Nel guazzabuglio degli ormoni che temono il tempo e delle tensioni umano-sociali delle donne con gli ormoni che temono il tempo, c’è un vortice di pulsioni nevrotiche, di desideri repressi che non si vorrebbero reprimere, di fretta che butta bucce di banana dappertutto, di cliché da manuale del buoncostume almeno da fingere di rispettare, di smanie carnali goffamente occultate sotto guizzi di ingenua euforia, di sogni romantici a tinte fuori arcobaleno.
Quasi ti disponi a comprendere tutto, sono umane criticità della vita.
E tolleri l’impazienza, la confusione, il capriccio, la frenesia. L’ultimo vigore fisico lucidato, caricato e sparato all’impazzata. Pure l’assalto stridulo perenne al timpano. E, con generoso affetto, sopporti anche di essere sempre voce che parla nel vuoto della sua distrazione totale.
Ma è quel bon ton delle apparenze che proprio manda i nervi in tilt. Quel modo affettato che talvolta infila nel suo contesto assurdo credendo di infinocchiarti, fingendosi perfettamente calata nella realtà e presente agli altri in testa e spirito, destreggiandosi  in scialbe performances da quieta anima in equilibrio perfetto, è decisamente urticante!
Vorresti urlare. Per intimarle di risparmiarsi quella pantomima sulla sua compostezza e sulla sua partecipazione cosciente al civile consesso almeno per non abusare della abbondante tolleranza di cui appunto gode.
Non lo fai. Non lo fai illudendoti che le sue pile prima o poi cedano. Non lo fai per una sorta di debito verso che la vita che non ha ridotto te a una caricatura grottesca. Non lo fai perché pure tu sei fottuta da quella forma di buona creanza che avvolge tutto nella patina di una fantomatica comprensione. Fai spallucce e speri che domani trovi pace.
E se domani torna più sfasata e pimpante che mai?

venerdì 9 novembre 2012

Puzzette d'autore


Così benefiche e liberatorie, talvolta. Se appestano l’aria sono le migliori, dobbiamo ammetterlo, perché testimoniano quale gas repellente stesse esplodendo dentro di noi. L’argomento nauseabondo ha buone ragioni. Chi mi conosce sarà andato con il pensiero alle supposte d’autore, amabili quanto feroci frecciate di ironia e stile. Chi invece si appresta ora a scoprire quale estro mi conduca sulle maleodoranti via del peto non dovrà scomodare troppi ragionamenti, è tutto molto intuitivo…
Qualche volta, con classe e nonchalance, la flatulenza ci sta. Diamine, pure Dante Alighieri citava chi aveva del cul fatto trombetta!
Ma ci sta soprattutto se fa il verso, più o meno sonoramente, alle corbellerie di chi ci sta accanto o di fronte. A mo’ di pernacchio di De Filippo o di pernacchia di Totò, insomma. E vi è da dire che, proprio in questi casi, più fete più la scoreggia rinfranca chi sfiata dal posteriore e zittisce il cretino che dava malamente fiato alla bocca.
Non scandalizzatevi, suvvia. Non invito alla maleducazione, comprendo che è sconveniente fare vento in pubblico (benché il proverbio popolare saggiamente rammenti che tromba di culo è sanità di corpo e alla natura, accidenti, non si dovrebbero porre troppi freni!) e voglio tranquillizzarvi sullo spirito delle mie parole. Non è un invito alle mitragliate o al fetido sfogo con il silenziatore (il più infido e speciale!), è un gioco, è canzonatura, è provocazione.
Insomma… le puzzette d’autore sono metaforiche! E sono altrettanto benefiche e liberatorie.
Sono lezzi sollevati per bombardare falsi profumi altrui. Sono lezioncine per sistemare sciocchi patentati o gradassi fastidiosi o malvagi tormentatori. Sono petardi di riprovazione e disgusto. Magari effuse con un tiepido sorriso oppure sollevate solo con uno sguardo…
Perché un ben servito dato così è più soddisfacente di un ceffone, credetemi. Non per altro forse la signora Lia soleva consigliarlo pure alle signorine infastidite da qualche cascamorto troppo sboccato e sfrontato e giurava che riportasse a buon gusto pure i più incalliti ! Testato poi con zotici e sgarbati è un successo godurioso, davvero.
Non che io sia maestra. Anzi. Una volta forse, nella giovanile baldanza, potevo vagamente pregiarmi dell’arte della puzzetta d’autore pronta, se non sempre, spesso. L’età ha indotto qualche rallentamento di verve o, mi auguro, semplicemente una prudente tolleranza dunque oggi non esalo fetori d’autore con la medesima scioltezza d’un tempo…Però conosco petomani impareggiabili, degni della migliore memoria di Tognazzi. E, francamente, li adoro!
Qualora voleste adottare questa squisita, e giusta, pratica…abbiate solo cura di schivare o limitare il rinculo…

giovedì 8 novembre 2012

Il ritratto: (I testicoli di) Alessandro Barbaglia


Il ritratto si addice al personaggio e Alessandro Barbaglia lo è quindi potevo risparmiarmi il riferimento a una sua parte, peraltro tanto intima. Ma qui i testicoli sono essenziali, intrinseci al ritratto! Insomma lui e i suoi testicoli sono, vivono e camminano insieme, anche a costringerli sotto pantaloni e mutande sono lì, inutile non inquadrarli per pudore o per stile…
A vederlo in giro per Novara, Alessandro Barbaglia, il ragazzo dai riccioli scarmigliati con la barba un po’ tonda un po’ ribelle, che mi pregio di conoscere, lo scambiereste per un giovane intellettuale giocoso e irriverente. In verità è un fenomeno di perfidia e sensibilità, un marziano che ha messo radici sulla terra o una mongolfiera che non vuole saperne di lasciare il cielo.
Spirito acuto, è fuor di dubbio. E giocoliere. Si, Alessandro Barbaglia maneggia con destrezza realtà e parole e non sai se alla fine è lui a fonderle o loro a fondere lui. Forse deve rimanere un mistero. Perché in verità a svelarlo non c’è neanche gusto. Lui e i suoi testicoli, senza la libertà del delirio, sarebbero ingiustamente macchiati di eresia.
A questo punto mi tocca chiarire che i Testicoli di Alessandro Barbaglia non sono proprio quelli che immaginate. Vanno oltre la vostra fantasia, insomma.
Concretamente sono testi piccoli. D’amore, paranoia, genio e capriccio. Sono schizzi, e scusate se l’ammiccamento suona banale…
Un exploit così, cari lettori, non può che preludere a un trionfo.

Se ormai curiosità, sagacia e audacia vi mordono il fianco non aspettate il libro “I testicoli” di Alessandro Barbaglia che uscirà nella primavera prossima, correte al Circolo ARCI Big Lebowski a Novara, in corso Trieste 15, venerdì 16 novembre 2012 alle ore 21: ad accompagnare Alessandro Barbaglia e i suoi testicoli, più o meno in poesia, ci saranno i Cocci, Ignazio Manzari e Daniele Argentieri, musici presumibilmente altrettanto svitati.
Al termine della performance live verranno distribuiti gratuitamente, in edizione limitata numerata e firmata, i Testicoli di Alessandro Barbaglia.
Un’esperienza imperdibile. Lasciate a casa la razionalità, preparatevi alla comicità della dolcezza, alla stravaganza dell’ironia, alla delicatezza dell’assurdità.
Prendere in mano dei testicoli può rivelarsi un incontro con la vita. 

mercoledì 7 novembre 2012

Piccolo inno alla fatica


A me fisicamente disturba il sudore ma la sua essenza resta inebriante, impossibile convincermi del contrario. Perché a me non viene proprio in testa il sudore del caldo, io sono rapita da quello della fatica. Dal colore e dal sapore della fatica. Da quella sua straordinaria potenza!
Conosco gli esseri umano dal loro amore o dal loro odio per la fatica, accidenti è proprio così. E quando la fanno grondare di sacrificio non so se provo rabbia, desolazione o pietà. La fatica è la nostra vita. E’ con lei che proviamo di esserci, che sentiamo chi siamo, che arriviamo a toccarci, che conosciamo il mondo, che tiriamo fuori dalle mani una meraviglia. E’ un ponte, la fatica. Ma anche la verità, dei nostri muscoli e del nostro intelletto.
Ti imbratta i vestiti, la fatica. Ti mette i calli ai piedi, la fatica. Ti fa venire le occhiaie, la fatica. Ti fa sentire il battito del cuore, ti bussa dentro, ti abbraccia, ti fa sentire qui e ora aria, terra, fuoco. E’ una necessità, la fatica. Perché solo lei ti fa capire, amare, creare, raggiungere, godere.
Trovo terribile un’esistenza senza fatica. Un’esistenza con l’inquietante assenza della fatica equivale al vuoto cosmico, che non so se esiste e che roba è. A me piace la stanchezza della fatica, è un regalo talmente grande che si può ricambiare solo con nuova fatica, con la dedizione continua.
Prodigarsi ha un suono che non mi rallegra però il concetto mi garba molto. Lo tradurrei quasi in vivere di fatica. Sorridete, è una splendida immagine! Non tirate in ballo l’usura, il logoramento, l’esaurimento, per carità. Abbiamo forze ed energie solo per usarle, ne sono sicura…E la faccia della fatica è bellissima.

martedì 6 novembre 2012

Il ritratto: Fabrice Moireau pittore


O acquarellista?
Comunque sia di Fabrice Moireau arriva la poesia. Il suo sguardo intenso e sensibile coglie scorci e sfumature di vita, penetra tra luci e ombre della realtà, indugia tra le pieghe del tempo e delle cose e traduce tutto in incantevoli acquerelli. Con un tratto magnifico, con i colori della natura, con le forme animate dallo spirito dei luoghi. Ma, soprattutto, con generosa e delicata grazia.
Quella di Fabrice Moireau è arte colta ma istintiva. Di respiro raffinato ma gioiosamente viva. Trasmette il profumo dei posti, la loro essenza. I suoi acquerelli narrano una storia. Di verità, di vita. A guardarli pare di incontrare e conoscere mondi, dolori, malinconie, felicità. Spigoli e morbidezze. E tutto è armonia.
A Fabrice Moireau non serve immortalare bellezze, lui la bellezza la scova ovunque. Con acuta dolcezza, con profonda energia.
Qualcosa nei suoi occhi tradisce una soave malinconia e forse il suo viaggio appassionato e romantico è una grande, continua ricerca di serenità. D’altra parte è forse anche questa la sua ispirazione: il richiamo, tenace, a perdersi nelle strade, tra la gente, sui tetti, in panorami aperti, nel respiro degli anfratti. Tutto ha un’anima. E Fabrice Moireau la insegue, la afferra, la consegna alla memoria.
Ammirate le opere di Fabrice Moireau, è facilissimo trovare tutti i riferimenti in rete dei suoi capolavori su Parigi, Roma, New York, e ancora…Proverete estasi e ristoro. Una strana euforia, tra purezza e sensualità.  
Fabrice Moireau pittore. O acquarellista. O artista. O poeta.
Genio umano. Commovente e entusiasmante. Perché la magia è il dono raro e prezioso che elargisce con amabile forza.

lunedì 5 novembre 2012

L'orrore della testa


Spappolata sotto un macigno che nessuno vede. E un egoismo abnorme, agghiacciante. Tu non senti che la tua voce. O le tue voci. Non conosci che il tuo bisogno e non puoi avere pietà che di te stesso. Dilaniato, afflitto, infelice.
Eppure si leva forte, come un macabro scherzo, la superbia. Come un guizzo nervoso, una sfida da bambini, un contorsionismo dell’ego.
Faccia da schiaffi, allora.
E dopo la bufera. Quella dell’angoscia, per un pentimento fasullo e appiccicaticcio. Noiosamente sterile e stonato. Perché invochi il perdono, appunto, per puro egoismo. Per levarti dal groppone in un baleno il peso della tua arroganza, della tua perfidia, della tua insolente indifferenza. Non ti interessano affatto le emozioni di chi è costretto a ripeterlo mille volte, quel grottesco perdono. Non ti riguarda come sta, cosa gli fai vivere, quanto stordimento e quanta ansia e quanto dolore e quanta disperazione abbia nel cuore.
Pazienza, bisogna avere pazienza.
Ma, soprattutto, bisogna sapere che non serve.
Tutto si ripete, tragicamente immutabile.

sabato 3 novembre 2012

Il ritratto: Pasquale barbiere


Così: Pasquale barbiere. Francesco l’aveva inserito nella rubrica del cellulare con l’individuazione immediata: nome, mestiere. L’avesse pronunciato avrebbe colorito e rafforzato un po’ l’immagine, Pasquale o’ barbiere. Ma lì, sul display, arrivava già magnifico. Perché lui, Pasquale Sommario, calabrese di nascita e novarese d’adozione, più che SPacconciature di Novara in largo San Martino 7 (v. Andrea Costa)  è il barbiere.
Una classe ’68 con qualche decennio di esperienza tra forbici e rasoi perché Pasquale, il mestiere, l’ha conosciuto da ragazzino e non l’ha abbandonato più…
Ha imparato con gli attrezzi e le tecniche di un tempo dissolto, quando ancora in bottega si sentiva il suono del rasoio che veniva affilato, c’erano la bacinella dell’acqua e la pompetta del dopobarba e il rituale dei tagli di capelli e delle sistemazioni delle barbe era professione d’arte e di spirito. Raccogliendo pratica e dedizione nel libro della sua vita Pasquale barbiere ha seguito le evoluzioni e le trasformazioni per essere sempre il bravo artigiano dei clienti di ogni età e gusto. Ma ha conservato intatto il piacere di antiche attenzioni, di complicità misurate sul dettaglio della passione, di una perizia di sguardo e mani.
Pasquale ricorda le forbici, il sapone, il pennello. Pure le vecchie sedute e gli scarni arredi. Ma anche l’avanzare di nuovi strumenti e tendenze fino al salone, dove il parrucchiere sembra aver sfilato lo scettro al barbiere. E, con il garbo lieve della maestria e dell’entusiasmo, ha sempre badato innanzi tutto alle atmosfere e alla professionalità.
Pasquale barbiere è bravo, lavora bene, si destreggia con pazienza e abilità tra le richieste più classiche e i desideri più giovani, ha lo stesso fervore di sempre e ha affinato un infallibile intuito per le aspettative e i piaceri di chi si affida al suo zelo.
D’altra parte di lui parlano il portamento, il sorriso, l’umano percorso. Amante delle immersioni subacquee, della montagna, dell’alimentazione naturale, la semplicità di Pasquale barbiere è di respiro fresco, di valori solidi, di aspirazioni essenziali, di slanci autentici.
Ecco qui Pasquale barbiere nel suo spazio accogliente dove per magia si mescolano perfettamente tradizione e modernità!

Un ritratto...


Ho individuato una “sottocategoria” alla mia diletta categoria “tra realtà e racconto”: quella del ritratto.
Fondamentalmente è spesso un ritratto anche la narrazione sciolta nel costume, tra le pinze appunto di uno spaccato reale, ma è velata, romanzata, liberamente raffinata o sviluppata per farne trama aperta o sospesa.
La sottocategoria “ritratto” invece vuole essere quasi un’istantanea di un personaggio calato nel suo contesto personale o lavorativo. Un personaggio al quale appartiene la storia di un mestiere, di un ambiente, di un percorso umano. Un personaggio consenziente che si mette in posa per un ritratto, ecco. Qualcuno attraverso il quale fissare memorie del tempo e dello spazio o toccare l’arte dei gesti nell’emozione quotidiana…
Inaugurerà la serie Pasquale barbiere.
(Giorgio Gaber, ritratto a pastello di Enrico Fornaini)