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venerdì 29 novembre 2013

Il posto che cercavo di Nicholas Sparks

N. Sparks elargisce magie a piene mani, sempre. Con il tocco lieve di una prosa ammaliante e con deliziose trame di vita e passione.
Il posto che cercavo è quello dell’amore. Della fiducia e del futuro, del senso perfetto degli incastri, dei desideri che trovano felice risposta. La storia di Jeremy è quella di molti uomini, la storia di Lexie è quella di molte donne. D’altra parte anche quella delle delusioni e delle emozioni è una storia molto comune, specie in questi tempi di ruoli scivolosi, di comunicazione difficile, di ferite dilaganti.
E poi i mondi che si incontrano, la grande e caotica New York e la piccola realtà di Boone Creek in north Carolina, sono uno spaccato di atmosfere e risposte che il lettore coglie al volo, con sollievo. Sullo sfondo, il mistero non troppo misterioso, delle luci di un cimitero, che è buono per dare una sfumatura di costume e di folklore ma anche una gradevole nota di suspence.
Ecco, non l’avevo ancora letto Il posto che cercavo. Mi attendeva dal 2009 e ho mantenuto la promessa: Sparks, ti conosco libro su libro!

Sinceramente un’immersione nel romanticismo fa bene allo spirito. Oltre a corrispondere veramente all’essenza stessa della nostra affannosa ricerca di serenità.

giovedì 28 novembre 2013

Egregio Bernardo Caprotti,

Ha annunciato in questi giorni il pensionamento da Esselunga, la sua felice creatura: a 88 anni, dopo 66 di lavoro, godrà di un meritato riposo. A leggere la sua storia di imprenditore vengono i brividi, per lungimiranza, capacità e tenacia. Ancor più se considero che ai veleni della burocrazia e della pressione fiscale per la gestione di una grande azienda che vanta più di 20.000 dipendenti si sono aggiunti, da quel che ho letto sui giornali, quelli familiari. I soldi portano sempre parecchi dolori, purtroppo.
Non la conosco, mai la conoscerò e un po’ mi dispiace.
Mi sono fatta l’idea Lei sia uno di quegli imprenditori che considero appartenenti a una razza in via d’estinzione. Non me ne vogliano gli altri, ovviamente non mi riferisco ai tanti piccoli e medi che lottano con passione ogni giorno e che meriterebbero un encomio già solo per la resistenza. Penso a quelli grandi, inghiottiti dalla finanza più che seriamente impegnati nell’economia reale. Credo che Lei ne abbia fatto una questione di dignità, di buona ambizione, di sana intraprendenza e di profonda, convinta dedizione.
Deve aver guadagnato parecchio a giudicare dal fiorente fatturato, dalla continua espansione e dagli enormi lasciti (non solo a figli o collaboratori ma anche a sostegno di cause civili) e questa è la ricchezza della quale ritengo si possa essere fieri. Siamo tristemente abituati a un Paese e a una cultura che non ha nel costume il sacrificio, il merito, l’ingegno, la responsabilità. Chi serve la propria azienda per 66 anni può vantare qualche diritto al benessere, a parer mio. Mi piace scriverlo, mi piace dedicarle questa riflessione. Anche solo perché riaccende qualche luce di speranza nel buio che stiamo attraversando.
E’ vero, Lei è di un’altra generazione, quella che teneva ancora in testa una serie di principi e valori che sono andati via via evaporando in quelle successive. Ma può restare un esempio, magari anche nel piglio asciutto e risoluto, nella coerenza spesa con la fatica, nella forza di tenere alta la bandiera della sua missione. Si, fare impresa in Italia è come abbracciare una difficile missione.
Le auguro una vecchiaia serena, sig. Bernardo Caprotti. E mi auguro che il suo nome segni una possibilità, mostri sempre da che parte e come devono arrivare i quattrini, svegli un po’ di considerazione nell’importanza di tenere in vita l’economia, quella vera.
Complimenti, per Esselunga e per il suo vigore.

Cordialmente

D. Safier: L’orribile Karma della formica

Il destino è sempre in agguato. Anche per Kim Lange, conduttrice del più noto talk-show di Berlino e donna disposta a tutto per il successo, anche a sacrificare un bel po’ dell’amore del marito e della figlia.
Nel caso di Kim si materializza con una botta in testa che, invece di spedirla direttamente nel regno dei morti in pace, la avvia in una serie di reincarnazioni. Prove su prove aspettano Kim Lange per giungere al suo Nirvana in una vita da formica, porcellino d’India, verme, vitello, cane. Tutto perché rendersi conto dei fallimenti o dell’arroganza da una parte e degli straordinari affetti persi dall’altra le fa percorrere un lungo cammino umano. In ogni insetto o animale sentirà con il cuore di Kim e avrà i suoi stessi strumenti mentali dunque capirà e lotterà per riconquistare qualcosa che almeno assomigli alla bontà e alla serenità.
In un viaggio di anni difficili e di rocambolesche avventure, tra personaggi e scene gustose, strazianti o commoventi, L’orribile Karma della formica demolisce la sciocca ambizione, restituisce bellezza ai sentimenti, spoglia le vanità e realizza i sogni. Naturalmente nulla è facile e bisogna volerlo, con tutta l’anima. E con l’umiltà dei piccoli passi.
Una storia come quella di D. Safier riconcilia con la speranza e fa divertire e riflettere. A leggerlo con passione e ironia si toglie il velo dalla propria arroganza (se ce n’è) e si tocca la forza di un’esistenza di verità e purezza. L’egoismo, la superbia e l’arrivismo fanno finalmente la pessima fine che meritano ma L’orribile Karma della formica insegna quando faticoso e lungo sia il percorso per fargliela davvero fare.

Un bel libro. Una lettura lieve e coinvolgente popolata di figure e caratteri dipinti con maestria. Pagina dopo pagina è una scoperta di piacere. 

sabato 23 novembre 2013

Momenti e pensieri lenti su una panchina

Il vecchio vive la lentezza come un accidenti delle gambe, un ingombro alla libertà, un fardello del tempo. Ma ci sono molti momenti e molti pensieri che non devono avere fretta e godono dei suoi passi piccoli e delle sue soste.

Scelgono una panchina e, talvolta, un orizzonte senza troppe pretese: qualcosa che non faccia troppo chiasso e non impegni troppo la vista. Uno scorcio consueto nel quale possano sentirsi a casa, ecco questo vogliono certi momenti e certi pensieri. Lì sono al loro posto e possono trovare comprensione. O un senso di adeguatezza. Già. I momenti e i pensieri spesso hanno le loro radici proprio in quello spicchio di mondo. Lo spicchio di mondo che sta anche nella velocità o nella lentezza e in tutte gli anni che fanno le rughe. Nelle cose da prendere come vengono. E nella vita che continua a fare a meno di quello che non arriva.
(Dipinto di Peter Gallen)

giovedì 21 novembre 2013

Guard(o) come piove

Sotto la pioggia che non mi piace mai e dura da troppi giorni scelgo di sfidare, una volta
almeno una volta, l’umore. Che non vuol dire farmene semplicemente una ragione. Fosse solo questione di pazienza non ci sarebbe novità, quella ce la devo mettere per forza, piove a prescindere dalla mia voglia o dalla mia capacità di sopportarlo.
Provo proprio a immaginare il sole, tra una goccia e l’altra. Come una bambina che gioca con qualche presenza immaginaria.
In fondo, penso per stimolarmi, è un buon esercizio anche per la mia fantasia letteraria. Ecco, lo penso e già mi scappa un sorriso. L’ispirazione guidata sarà come viaggiare in auto con l’autista? Chi deciderà il tragitto? Tragitto però tradisce un punto di partenza che ha già in testa il punto di arrivo e allora, nel diluvio di pensieri e gocce, apro l’ombrello all’autista esploratore, quello che sa condurre il mezzo ma non conosce la strada così mi porterà qui e là, a casaccio.
Sulla via incontro bancarelle che sembrano serene pure sotto le nuvole e questo mi pare un buon principio, qualcosa che invoglia oltre ogni previsione, non solo del meteo. L’auto sulla quale viaggio può solo costeggiarle a una certa distanza e non è male, anzi, perché così non mi arrivano eventuali facce infreddolite o irritati schizzi di capelli fradici. Mi godo il bello che c’è, tutta la mercanzia colorata e l’ordine dei banchetti, uno dopo l’altro, davanti ai camioncini che fanno da magazzino taglie e misure. E pure l’arte delle tettoie improvvisate, le mani scaldate dai coni di caldarroste, le pozzanghere schivate da piedi lesti.
Mi godo il bello che c’è anche nel parco pieno di alberi piangenti con le panchine deserte. E in quelle atmosfere grigie dove il vezzo dei dettagli spicca tanto, davvero tanto. Ma d’un tratto l’auto che scivola sulla strada mi lancia in una corsa, mi fa perdere qualcosa, mi fa sentire una spettatrice al cinema. E io così una parte nel film non ce l’ho. Perché il sole che riesco a immaginare tra una goccia e l’altra mi scaldi davvero la pelle chiedo all’autista di fermarsi. Scendo e la pioggia me la prendo tutta.
Ci litigo, con l’acqua, con l’umore, con la fantasia che arranca.
Fino a bagnarmi di un’emozione che, forse, è solo resistenza. O, magari, libertà. O umanità. O quello che volete, improvvisate una presenza immaginaria come ho fatto io. Che il dolore quello vero è solo nella pioggia che uccide, come in tutto quello che fa un male che non puoi governare. Finché devo solo studiarmi una pista per distrarre la malinconia posso sicuramente vivere.

(Pagina di diario personale: sono meteoropatica-il dipinto è di Andre Kohn)

martedì 19 novembre 2013

Il ritardatario

C’è un ritardatario inclemente con il ritardo altrui.
E’ un tizio dall’orgoglio troppo arzillo per il quale la tranquillità è una sorta di diritto inviolabile. Se ne sta arcigno sulla sua pigrizia aspettando il rispetto di tutti.
E’ rassegnato ai suoi indugi e alle sue grettezze, a tratti par quasi ne vada addirittura fiero.  Ma guai se qualcuno osa indugi o grettezze con lui. Lì sfodera una ferocia da lupo affamato.
E’ riottoso a qualsiasi evoluzione altrui o, meglio, la giudica con disprezzo se non arreca a lui, magnanimamente, beneficio. Anzi, talvolta fa di più. La rifiuta categoricamente ma, straziandosi di invidia, cerca di farla a brandelli. Usa l’accetta. Invoca la morale, la giustizia divina e chissà quali altre sacre o profane ragioni per inficiarne la bellezza o la bontà.
E’ una faccia imbronciata, con gli occhi critici zeppi di rancore. Parco di sorrisi e per lo più pure di parole che vadano oltre i suoni del lamento. Vuole attenzioni, lui. Ma non ha delicatezza sufficiente per elargirne, mai. Sta impettito a braccia conserte e rimugina con rabbia sull’interesse che non riesce a suscitare. D’altra parte non è interessato a quello che potrebbe fare da solo e, tanto meno, curioso di sapere e capire cosa fanno gli altri per rendersi interessanti o quali siano le cose davvero interessanti da scoprire.

E’ un uomo inclemente con la vita stessa, ecco tutto. Che trova comodo, talvolta assai, giudicare inclemente la vita così da potersi disperare un po’, farsi compatire o avere almeno un posto nella storia, quello della desolazione.

giovedì 14 novembre 2013

Signor gatto

Il mio padrone è bello, dolce e geniale.
Mi ospita in casa sua con generoso spirito conviviale. Mi regala momenti impagabili. Mi
insegna cose che noi umani non comprenderemmo neanche nel corso di un paio di vite. Mi dispensa dalle coccole quando non è dell’umore adatto. Mi scalda d’inverno e sta alla larga d’estate, così da ricordarmi le stagioni senza bisogno di calendario.
In verità provvede anche a stropicciare quello che è stato stirato e a stirare ciò che giace stropicciato su una poltrona. Mi induce a tutte le buone norme di igiene e ordine: mettere i coperchi, non lasciare prodotti alimentari incustoditi, non abbandonare la tavola apparecchiata. E’ capace pure di trasmettermi il rispetto per il cibo: non si butta, si mangia.
E non è ancora tutto. Riesce sempre a sedersi, prima di me, nel mio posto preferito facendomi comprendere quanto è importante il tempismo, nella vita. Gioca con qualsiasi cosa, non bada al valore: vuole invitarmi a non disprezzare alcunché e, anzi, a gustarmi l’utilità di ogni oggetto. Mi fa comprendere in un balzo che ha notato le tende nuove. E si infila in qualsiasi borsa o scatola che varca in entrata la porta di casa: vuole dimostrarmi quanto conta l’attenzione. E’ interessato a ogni passo, a ogni voce, a ogni respiro, a ogni occasione: la vita è tutta lì, intuito, istinto, sfida e piacere.
Il mio padrone è molto pulito e fa la toletta completa un’infinità di volte al giorno. In compenso è così tollerante e buono da sopportare qualsiasi mia mancanza di profumo: pure una scarpa da ginnastica tolta dopo il sudore di un paio d’ore di palestra merita un’annusata.
Vuole acqua fresca, ciotole lavate almeno due volte al giorno e pappa dignitosa, possibilmente la stessa che vede nel mio piatto. Insomma adora condividere, anche se è cucina per gli umani, si adatta. Fa parte, è di tutta evidenza, della sua saggezza.
Avrei molto da aggiungere, se solo potessi picchiettare in pace sulla tastiera. Il mio padrone è più accorto di me in fatto di pause, sa che c’è un tempo per la scrittura e un tempo per il riposo. E sa anche che nel tempo del riposo posso felicemente dedicarmi alle sua fusa, accarezzargli il pelo, prendermi i suoi affettuosi morsetti e, magari, farmi impastare come se fossi pane in lavorazione.

Dunque accontentatevi di queste poche righe. L’elogio al signor gatto sarebbe molto più lungo, fosse per me. Ma la sua superiore sapienza si annoia un po’ con le sperticate lodi: roba superflua, è tutto nell’ordine naturale del mondo.

mercoledì 13 novembre 2013

Un figlio diventa padre

Un figlio dice al padre bisognoso: mi hai sempre deluso, arrangiati, io devo pensare alla mia vita. Il padre soffre e tace. Sa di averlo deluso ma non riesce a liberarsi di tutti gli errori che ha addosso e dell’orgoglio cocciuto che li ha causati.
Il tempo passa, il padre ha più bisogno, il figlio è più deluso. E la vita si fa avanti. Esorta il figlio insinuandosi nei pensieri di ogni giorno: lascia da parte il rancore e, soprattutto, l’arroganza. Se non è amore sarà pietà. Davvero riesci a non aiutarlo?
Il figlio fa il muso duro pure al suo cuore e non cede. Fino a quando saranno i figli, un giorno, a bussare alla sua coscienza: papà come sta il nonno?
Non lo so, risponde loro infastidito.
Stai tranquillo papà, noi sappiamo che a te non capiterà.
Cosa? Grida quasi il padre/figlio.
Di avere dei figli che non sanno come stai, risponde uno.
Se avrai bisogno, noi ci saremo, aggiunge l’altro.
Mi sono meritato il loro affetto e il loro rispetto, pensa l’uomo bruciando subito il soffio del rimorso.

I figli sorridono: è il tema che dobbiamo scrivere per domani, papà. E vogliamo prendere un buon voto. La maestra sarà felice della nostra bontà e della nostra piccola saggezza. Si è tanto prodigata a insegnarci a non essere egoisti, spietati, freddi, ostili. E a non disprezzare chi è in difficoltà. Sicuramente anche il nonno sarebbe fiero di noi.
Racconto realtà liberamente ispirato dalla storia di Paolo, l'uomo figlio e padre, oggi "ravveduto" e felice. Scritto per suo espresso desiderio.

giovedì 7 novembre 2013

Bill De Blasio: uno dei sogni di Grassano

Anna Briganti lasciò Grassano (MT) nel 1881, forse senza mai farvi ritorno. Ora a tornarci  è la sua memoria, con il nipote Bill De Blasio diventato Sindaco di New York.
In qualche modo, oltre oceano, i sogni di Grassano si avverano.
E tutto finalmente si compie. Con la libertà, la cultura, la
civiltà. Con una splendida moglie nera, Chirlane, in prima linea per i diritti degli omosessuali. Con nuovi orizzonti e nuove speranze.
Il Sindaco De Blasio ringrazia in italiano ma pensa in americano. Ne sono felice e per nulla stupita, in verità. Ecco, questo è il cammino di una Piccola impresa meridionale, partita da Grassano e da Sant’Agata dei Goti (BN), il paese del nonno di Bill.

Potrebbe compiersi ovunque se solo, per trasformarsi in realtà, i sogni non fossero costretti a varcare il confine.

martedì 5 novembre 2013

Nel paese si accendono tutte le luci

Qualche volta la felicità sta in un vecchio baule di una vecchia casa. Nell’eredità delle emozioni, quelle che contengono le risposte a tutte le domande.
Finalmente scopri che senso ha stare lì, con le mani che frugano tra lettere e cose, gli occhi bagnati dalle lacrime, il cuore che batte all’impazzata.

Nel paese si accendono tutte le luci, grazie a un vecchio baule di una vecchia casa. Sono le ragioni e i sentimenti a premere l’interruttore. Quelli che hanno bisogno di un vecchio baule di una vecchia casa per scattare dentro di te tutti insieme, come pupazzi a molla. 

lunedì 4 novembre 2013

La camicia degli uomini

Ci sono centimetri di materia che riescono a contenere colori e profumi in enorme quantità. Li noti subito, basta uno sguardo. E diventano punti fermi. Per tutta la vita.
Gli uomini stanno bene con la camicia a maniche lunghe arrotolate, altro che odiosi camiciotti a manica corta. Quel pezzo di stoffa in più che allunga o accorcia fa le stagioni o le circostanze. Ecco tutto, bastano un pezzo di stoffa e un gesto, dice la signora Lia.

Non c’è da pensarci su troppo. In una scelta è già tutto scritto. Chi vede deve solo leggere. Lo so, penserete che il rigore matematico della buona vecchia Lia non si possa applicare al costume, mutevole e zeppo di sfumature. Invece è solo un’allucinazione la pratica freschezza promessa dalla forbice, dunque chi ci vuole scivolare dentro più che abbracciare l’abito del tempo e del luogo ne diventa sciocco servitore. Ammettiamolo, è difficile contestare la signora Lia.