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martedì 29 gennaio 2013

L'uomo depilato


Avrà iniziato il bodybuilder per spalmarsi agevolmente la crema o l’olio e evidenziare meglio i muscoli oppure il sub per infilarsi e sfilarsi la muta più comodamente. Comunque, chiunque abbia dato l’avvio, è stato un successo. E’ diventato un fenomeno di costume, come si ama dire di questi tempi. Consacrata dalla moda la depilazione maschile si è diffusa in un lampo, a casa, dall’estetista o nello spogliatoio della palestra l’uomo ha preso confidenza con cerette e affini.
E se proprio non aveva ragioni di praticità sportiva ha sfoderato questioni di igiene. La verità è che forse è piaciuta la pelle liscia, oggi la bellezza passa anche da lì.
D’altra parte, che sia comfort o vezzo, si leva un coro “che male c’è?”
Non ho mai avuto simpatia per il pelo folto e per costituzione non ho mai dovuto fare guerre contro l’invasione dei grovigli di villo ma se anche volessi perorare la causa della natura che ha fatto gli uomini più dotati (di peluria) dovrei stare in guardia. Guai a negare a un uomo il piacere di una depilazione altrimenti passi per una nostalgica della puzza maschile o per una fan degli scimmioni, ecco.
Anzi. Fuggo da qualsiasi tentativo di critica o da espressioni di perplessità e mi limito ad osservare l’ossessione. Perché almeno questo spettacolo è uno spasso!
Il terrore degli sbuffi di pelo in zone intime, del boschetto ascellare o della gamba pelosa non è più solo un tormento delle donne: adesso c’è comprensione e condivisione.
Sono stati lungimiranti costruttori e venditori che hanno pensato in tempo ad abitazioni con doppi o tripli servizi così da evitare che le lunghe ed estenuanti opere di toilettatura (per umani, s’intende) recassero liti e disagio.
Addio petto villoso che sbuca dalla camicia!
Gaudio e giubilo, tutti belli e glabri come i culetti dei bambini. E tutti complici a scambiarsi consigli e confidenze sulla ricrescita, sul rasoio, sull’intervento di depilazione definitiva. Prove avanzate di scambio che danno risultati eccellenti: se tu vuoi indossare i pantaloni io voglio mostrare sotto il costume una bella gamba senza orridi peli, disse il modernissimo Adamo alla novella Eva…

sabato 26 gennaio 2013

Un angolino di Matera


La visuale pittoresca di dense architetture in un groviglio di profili singolari, di volte irregolari, di piani discontinui scorre sotto un loggia dalla quale due turisti ammirano il panorama aperto. Il decoro del luogo, l’ordine grazioso dei vasi, il tempo fermo regalano un’atmosfera rarefatta. Ogni pietra e ogni crepa sembrano emanare l’odore della pazienza lucana. Quasi l’impronta di un garbo sapiente e sobrio, quello della terra e della fatica, quello del contegno forte e schivo. Il passo sospeso sulla gradinata verso l’angolo che sfugge alla vista è una nota perfetta che racchiude tutta la poesia della salita e dell’arcano che qui è vita e morte.
(Acquerello di Fabrice Moireau)

venerdì 25 gennaio 2013

La saga del formaggio


Sotto quella dura crosta rigata di un giallo rossiccio si cela una pasta morbida leggermente piccante che mescola latte ovino e caprino alla lavorazione con olio e aceto in stagionatura. Più che la tradizione può l’amore. La sapienza antica di un rito di passione, del lavoro e della tavola. Ecco il segreto.
In quelle forme e negli occhi quasi chiusi per la delizia dell’assaggio c’è il carattere di un uomo ruvido e genuino come le sue zolle e le sue bestie. Ma c’è anche il canto nuovo di un orgoglio che si rinnova, forte e limpido. E’ il fermo immagine di un incantesimo, ponte tra passato e futuro.
Operosa realtà arroccata sulla storia perché nobile e austero il castello è ancora là, a memoria e bellezza, a dominare l’orizzonte.  

giovedì 24 gennaio 2013

Lì, sullo Jonio


La sfilza di linde dimore che si affacciano sulla piazza è l’immagine emozionante di una vita che pulsa di slanci, di una umanità intessuta di calore e relazioni, di vicinanze e di aperture. Guardi la dignità essenziale e incontri una dimensione di pace.
C’è una luce che mette gioia e insieme ammorbidisce il passo, indugi tra l’odore dell’aria e quello della materia, ascolti il tuo battito che rallenta e entra in ritmo con l’origine della terra, passi con le sguardo ogni dettaglio.
Poco distante da lì, la sabbia e il mare come meraviglia sulla meraviglia eppure tu in quello spazio grande e bello sotto il cielo blu scruti e respiri l’anima di quei focolari così raccolti, quelle tracce intense di passi, gesti e sorrisi lievi.
Dai panni stesi ti figuri corpi grandi e piccini, gusti e mestieri. Macchie di colore in volo. Li guardi asciugare sotto il sole e con il vento e aspetti che sbuchino le voci e le mani delle donne che li raccoglieranno scambiando parole e sguardi con la vicina della porta accanto. Sai che arriveranno, quelle voci e quelle mani, come un rito.
Osservi quella semplicità asciutta e vorresti bussare a una a una a tutte le porte. Ti farebbero accomodare, pure questo sai. L’accoglienza qui non è una forma, è una virtù innata, alla quale non potresti neppure sottrarti.
Uno sfondo di Basilicata coast to coast.

lunedì 21 gennaio 2013

Paese


Una discesa che rotola nel vuoto, una salita che leva il fiato alla vista, un budello che spacca le case e si infila in un cono d’ombra. E voci festanti che vanno e vengono ignare di quella bizzarria, avvezze al divenire essenziale del tempo.
La perfetta simbiosi tra un crocicchio insolente e una baldoria delicata. Di odori e anime, in uno scorcio di sublime realtà.
Sulla roccia, con lo sguardo ai monti e alla valle, tra le contrade, nella villa. L’eco delle piazze tra le pietre, gli archi, le scale. E quello scorcio meraviglioso di botteghe colorate di vita e umori, di usi antichi e di gesta nuove, in quella lenta quiete di un mondo che non avanza mai troppo, che ti guarda dalle finestre, che sospira in una cantilena ruvida.
Le mani affettano salame e tagliano pane, ti danno il benvenuto così, con un sorriso lieve, ringraziando Iddio e il Venerabile per la salute e la buona sorte.
(S’aggiu sbajatu mavìita scusà –dalla Tarantella lauriota)
(la prima foto ritrae l'amico Rocco Papaleo, la seconda è un'immagine "familiare" in memoria)

venerdì 18 gennaio 2013

Il cesto di vimini


Le mani che intrecciano e le gambe che fanno tavolo di lavoro. Lì, su una vecchia sedia impagliata, con la testa sotto il cappello e il sole che ti scalda. Case bianche e silenzio fino a quando arriva il carretto con le parole di una canzone che pure tuo padre cantava, nei campi. Porta la frutta e canta. Tu gli sorridi e riabbassi il capo sul cesto. Quando è ormai lontano torni a guardarlo, un puntino giù verso il fondo del paese dove le case, chissà perché, sono tutte di un giallino che a te fa pensare ai limoni. Quei limoni che quando i denti erano buoni mangiavi a morsi mentre tutti ti dicevano che potevano essere ancora aspri…
Per te la vita è quella magia che ti sfiora e non sai raccontare. Il profumo che esce fino in strada con le donne affaccendate in cucina. E le urla che ora si levano gioiose, tra le corse dei bambini, su alla piazzetta. Quella valle, quel cielo. E quel cesto finito che ti ha rotto le dita ma è bellissimo.

lunedì 14 gennaio 2013

Che bella la sposa novella


D’accordo, potevo far lavorare la fantasia per una rima più originale. Però mi piace questa, mi piace così. Semplice come quell’immagine. Con un pensiero che intenerisce il cuore. Là mentre si schiude appena la porta del futuro. Quando è ancora lo stesso amore, la stessa storia.
E’ gioiosa così, la rima vecchia e ancora candida. Con il sorriso largo dell’emozione e l’euforia delle cose liete, senza cercare troppe parole per raccontare qualcosa che è già poesia. Forse è uno stato di serenità, quella gioia a fior di pelle che sta nella libertà di un arrivo che è principio. Perché è tutto in quel treno, in quel viaggio, con mille soste e senza meta. In un abbraccio di grazia e passione, con gli sguardi che si cercano e si incontrano, con le bocche che baciano e chiedono baci.
Nel viso ridente e disteso c’è l’incantevole felicità di un attimo desiderato che porti nel cuore con la leggiadra tenacia di un volo infinito. Lo accarezzi con le mani, morbido tesoro, lucente gioiello, splendida pace. E sciogli il passo, gli stai camminando accanto, fiera e bellissima.
(Dedicato a P.)

mercoledì 9 gennaio 2013

Suono il clacson, scendi giù


Vengo a prenderti stasera sulla mia torpedo blu. Suono il clacson, scendi giù.
La cantava Giorgio Gaber.
In una riga ci sta tutto. L’aria da gagà, l’emozione, l’aria d’amore, l’entusiasmo. Quella voglia di correre a divertirsi, di presentarsi all’amata al volante dell’auto sportiva, di sublimare l’intesa con un colpo di clacson.
Le parole restano frizzanti, nel tempo che passa ma ha sempre dentro gli stessi slanci e gli stessi desideri. Forse in sospensione, tra gioia e ironia. O forse proprio romantiche.
Quella torpedo è anche la memoria di un’epoca che aveva l’esuberanza delle speranze e del futuro. C’erano il rombo del motore e la linea della carrozzeria da affinare, c’erano grandi numeri di potenziali guidatori che ancora potevano sognare di possedere una torpedo blu. C’era un mondo da scoprire e che forse abbiamo voluto divorare con troppa fretta…
Adesso ho in mente il pensiero geniale e il sorriso malinconico di Giorgio Gaber. E mi sento appesa a un filo. Nella voglia di tenerezza e spazio infinito, nella semplicità di un suono che accende la scintilla.
Mi incammino a piedi, improvviso un fischio sotto il tuo balcone, scendi giù.

lunedì 7 gennaio 2013

Ghostwriter


Eccomi, presente. Un fantasma…in carne ed ossa felice di scrivere al servizio di qualcuno.
L’unico problema è che vivere nell’ombra non facilita le opportunità e i contatti. E il giro dell’editoria, diciamolo, non è proprio di quelli a ingresso libero e facile. E allora? Come fa uno scrittore fantasma a promuoversi da solo, a trovare incarichi, a incontrare chi gli sta dando la caccia?
Lancia un appello sul web, come se fosse una vetrina davanti alla quale gli aspiranti autori passano regolarmente a sbirciare.
Allora ci provo. Dovrei confezionare una presentazione così affascinante e convincente da attirare almeno la curiosità di tanti potenziali “clienti” ma la rete è fatta ancora per ami e messaggi veloci. Ammiccamenti stringati e incisivi, ecco.
Ho disperatamente bisogno di scrivere un libro per te che hai una storia in testa e ti mancano le parole per raccontarla.
E chi mi chiamerebbe con un annuncio simile?!
Riprovo.
Non lasciare che la tua vita resti sconosciuta a molti, lascia che io la narri al mondo!
Forse potrebbe stuzzicare l’ego di qualcuno ma è ancora un invito mediocre.
Insieme possiamo fare faville, contattami e non te ne pentirai!
Bruttissimo, sembra invogliare a un appuntamento ad alto tasso erotico.
Realizza il tuo sogno attraverso il mio lavoro.
Banale, roba da pubblicità commerciale.
Amo scrivere e mi metto al tuo servizio con professionalità e dedizione.
Serio, lineare. Adeguato ma senza verve.
Voglio essere il tuo ghostwriter. Lo voglio con tutta l’anima, davvero!
Questo a me piacerebbe: ne colgo uno spirito romantico e spiritoso insieme. Diciamo passionale con allegria. Si, vorrei questo ghostwriter!
E tu? Mi affidi il tuo libro o no?

giovedì 3 gennaio 2013

Quel poco quel tanto


Domenico Palumbo mette l’amore in poesia. Lo sfiora, lo respira, lo narra. In sospiri e pensieri. Tra dimensioni lievi, emozioni calde, baci appassionati le parole inseguono un filo, anelano alla pienezza, ascoltano i sensi. Un rapimento tenero e sensuale in un cammino di volo, con la compagnia dei grandi filosofi e poeti del passato, con la tensione intellettuale della ricerca.
E’ un viaggio, quello di Domenico Palumbo. Una riflessione intensa e profonda tra le pieghe del sentimento, delle pulsioni, della vita. Nel silenzio, nei piccoli pezzi del puzzle, nei gesti e nei segni della natura e degli uomini. A indagare l’Amore, la dimensione che viviamo ma non afferriamo, la condizione dell’anima che si tocca…
“L’amore è un traboccare della propria vita, è un andare oltre il proprio abitare”.
Perché proprio l’amore è la libertà della nudità.
La dotta e affascinante meditazione di Domenico Palumbo, sospesa tra le pagine di prosa e i versi, ci conduce all’amore che significa e compie il Noi, sopra e oltre tu e io. Non è romanticismo puro ma alchimia di incontro e sublimazione.
“io ti amo per amarti
perché quest’amore sta tra le tue braccia
senza uscire dalle mie”
Un’ode all’amore ma anche un saggio sull’amore. Non per trovare definizioni ma, appunto, per coglierne l’essenza. Domenico Palumbo svela qui l’ispirazione e il rigoroso lavoro di contemplazione con sensibile e peculiare fluidità.
Quel poco quel tanto è un’opera densa eppure soave. Una lettura gradevole e aperta, una meravigliosa porta spalancata sull’infinito, una grande raccolta di sensazioni e stimoli.
Bravo, Domenico Palumbo.
Avevo letto “Una lettera dal passato” e "Parole d'amore" diversi anni fa, oggi lo ritrovo più maturo nello stile e nella struttura narrativa, ma ancora splendidamente sentimentale.