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venerdì 29 marzo 2013

L'isola che c'è


Le farfalle nello stomaco e un sibilo lieve e lento, una nota musicale che accidenti non sai da dove arriva. Chi l’ha detto mai che in un corridoio stretto, tra la storia scrostata degli anni, non sbuchi fuori in un balzo un folletto?
Lì per lì è passione, te lo dicono le vene in
subbuglio e quel volo d’ali che non si ferma. Vorresti acchiappare il guizzo discolo e irriverente e riempirlo di baci perché per quanto ti burli ti fa impazzire di sorrisi e dolcezza. Ma quello salta e balla senza posa, si affaccia a una finestra, poi ti bussa alle spalle e non fai in tempo a girarti che si materializza davanti a te ridendo a crepapelle.
E’ l’anima del vicolo, lui. Gioca da padrone e sa che sei già innamorato e paziente. Che quel luogo sarà anche tuo perché lui ti ha dato il benvenuto. Se lo vedi vuol dire che sei della sua pasta, ecco tutto.
Isola di San Giulio, Lago d’Orta (NO)

Sensuale


Senza tempo come i desideri e gli istinti, l’uomo levigato dal sole e indurito dalla vita,
sollecita scabrosi pensieri.
Che te lo immagini con le mani forti e la voce roca, con lo sguardo nero che ti spoglia, con il corpo tirato di fatica e di sangue.  
Nelle maniche della camicia arrotolate, quelle che adoro, sotto il panciotto di eleganza consumata che è come una piuma di decoro. Nella faccia che racconta la verità sotto la coppola di antica eredità.
Sensualità asciutta e essenziale come il bianco e nero che ti fa increspare l’anima e la pelle e ti accende di calore e fantasie. Aspra virilità che racconta di amore muto, di natura che si compie in urgenze, di impulsi viscerali.
Non è più giovane, direte, e lo so, ma l’odore è ancora lì e freme.
E’ la sua tristezza, se mai, a sopirmi il fiato. 

giovedì 28 marzo 2013

In treno a spasso nel cielo


Con lo sguardo in su e in giù, che tocchi tutto con un dito e non c’è più respiro che non sia un sospiro. Centovalli e il trenino blu, una storia, una favola e un brivido.
Una corsa di acque e rocce, con un pittore
che schizza colori sulla tavolozza e insegue le sagome tortuose del viaggio appeso a un paracadute su un’ottantina di ponti. Luci e ombre di una trentina di gallerie giocano a scombussolare le sfumature e sorridono mentre ti aggrappi per un attimo al sedile. Solo l’affascinato turista ha il guizzo della foto, mai e poi vorrebbe perdere il piacere di rivivere l’ebbrezza, gli altri srotolano lo sguardo come una lingua golosa e si infilano in qualche avventurosa fantasia.
Sull’express è tutto possibile, specie se si tratta di sogni ad occhi aperti. Roba che non puoi narrare, sciaborda nella tua anima come onde sugli scogli e non vuole proprio saperne di portarti parole.
E’ così che capita. Le immagini migliori più
che finire nell’album dei ricordi sono la culla delle emozioni nella quale coricarti di tanto in tanto, da solo, per ritrovarti un po’.
Pensi pure che ce ne siano sempre altre, nuove e sorprendenti, per le quali vale la pena percorrere altri passi in terra e in cielo. Ecco, si, sul trenino delle centovalli, capisci che il mondo ti arriva addosso come la vita, nella natura che non si spiega.

mercoledì 27 marzo 2013

La decrescita felice di Maurizio Lupi


Durante la puntata di Ballarò, senza alcuna indignazione di Giovanni Floris, il vice presidente della Camera dei deputati Maurizio Lupi del PDL accennando con tono critico (o ironico) alla decrescita felice dice più o meno “credo che nessuno possa essere felice se impoverisce”.
Il fastidio per la decrescita felice è feroce nella classe politica. Lupi non è affatto isolato, insomma.
Possiamo rispettosamente prendere atto di qualsiasi idea contraria, evviva la libertà di pensiero. E’ intollerabile però l’interpretazione della decrescita felice, assolutamente deviante oltre che idiota, che la politica si ostina a propinare alla gente. Se davvero un politico non avesse capito cos’è la decrescita felice non meriterebbe di rappresentarci e ricoprire il ruolo che ricopre. Se finge di non comprendere per prendere per il naso i cittadini gettando fango su una intelligente e opportuna “filosofia” di qualità della vita è necessario sia subito smascherato.
Un chiarimento, accidenti. Almeno in nome di quella informazione che i giornalisti vantano di difendere e diffondere. Se Beppe Grillo non si concede ai microfoni o alla carta stampata i giornalisti insorgono perché si sentono offesi, umiliati, ingiustamente considerati tutti schiavi dell’ordine costituito. Quando poi hanno per le mani qualcosa o qualcuno da smontare per esercitare con dignità e correttezza il mestiere svicolano.
Per fortuna c’è il web, direbbe qualcuno. Ma il guaio è che milioni di italiani stanno incollati alla tv e le danno ancora parecchio credito…
Non mi resta che augurare comunque a tutti una decrescita felice, politici permettendo.

lunedì 25 marzo 2013

Il Grillo canta sempre al tramonto


Comunque la pensiate, sarebbe bello leggeste Il Grillo canta sempre al tramonto di Dario Fo, Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo.
Non per conoscere o apprezzare il M5S ma per compiere un viaggio di riflessione culturale. Essenziale e immediato, come una conversazione improvvisata tra amici, il percorso di Fo, Casaleggio e Grillo è importante per tutti. Favorevoli e contrari, intendo. Perché è un dialogo tra desiderio e verità, passato e futuro, politica e sociologia.
Perché è un concentrato di domande e risposte assolutamente avvincenti per chiunque viva a disagio nei riferimenti economici e sociali della nostra epoca.
Perché è uno splendido spiraglio di luce per chi brancola nel buio di un tempo francamente mesto.
Perché usa la nostra lingua. Perché più che coccolare un sogno romantico, già cosa di per sé non miserabile, accarezza la bellezza di una realtà possibile.
E soprattutto perché vola alto. Ecco, si, vola alto. Ed è proprio questo il punto: comunque la pensiate, non vi potreste trovare umanità strisciante ma respiro d’ali.
Quello che trovo triste, delirante e avvilente del nostro Paese ufficiale è proprio, viceversa, l’orizzonte asfittico. Saranno stati i denari, le ansie di potere, la bassezza morale a ridurci a un groviglio di malesseri, corruzioni e disastri?
Lasciamo andare le congiunture sfavorevoli, per favore. Mezzo mondo, o il mondo intero, è in crisi per ragioni (dis)umane. All’Italia poi manca forse da sempre la saggezza della lungimiranza, della misura, dell’onestà. Manca un progetto di popolo. O, addirittura, un senso di popolo.
Altro che protesta o alternativa. Il M5S ha colto innanzi tutto il grande vuoto e in questo, accidenti, c’è già una dose di sensibilità che fa impallidire i nostri minuscoli statisti. Chi sta lì a fare le pulci al programma non ha proprio capito che non c’è libretto di istruzioni per inseguire la “giusta felicità comune” e che verso la libertà dobbiamo incamminarci tutti insieme, sudando.
Non c’è una proposta da condividere. Non ci sono posizioni dalle quali prendere con veemenza le distanze. Il Grillo canta sempre al tramonto è una boccata di ossigeno per le anime che non trovano più pace nello squallore intellettuale della “politica” del nostro sistema. Tutto qui. Da quelle pagine non dovete uscire elettori del M5S ma cittadini e, prima ancora, persone con entusiasmo, fiducia, dignità. Uomini e donne capaci di fare, chiedere, sapere, decidere. Uomini e donne che possono e devono scegliere dove andare e come. Uomini e donne che dicono basta. Basta al profilo meschino, alla testa bassa, al panorama corto, alla vita di qualità mediocre.
Oltre. Iniziamo a vedere oltre guardando quello che siamo e quello che abbiamo. Naturalmente ben sotto l’effimero che rischia di accecarci, per sempre.
Visto che non sono una voce del M5S posso augurarmi accogliate l’invito alla lettura.

Meravigliosi Orridi


Sappiamo che l’opera dell’uomo non può essere stupefacente quanto il gioco di forme e colori che ci offre la natura ma quello che conta è mantenerlo in memoria. Qualche volta, insomma, è bene portare i sensi là dove l’assioma è così forte e limpido da accelerare di emozione i battiti del cuore.
Non è solo per la gioia di tanta meraviglia che incanta gli occhi, è appunto una lezione che giova assai alla saggezza e alla consapevolezza. Questione di misure e di verità. Essenziale e imponente la bellezza di un Orrido è anche l’espressione dell’infinito possibile che sfugge alla nostra fantasia più fervida. La testimonianza della potenza dell’acqua, del tempo, del vento. E la prova della nostra piccola statura.
Ecco, infilato nella dimensione surreale e maestosa degli Orridi di Uriezzo ti senti piccolo esattamente come sei. Non che la ragione sia solo nelle proporzioni di altezza e larghezza, intendiamoci. Lì sei proprio un puntino invisibile dell’universo. Tutto e niente.
Non c’è orpello, ovviamente. Solo inarrestabile trionfo di vita. Puoi respirare, esplorare, scalare, immergerti però non provi la sensazione di possedere o dominare qualcosa. Anzi. Avverti esattamente la tua dimensione frastornata e fragile.
L’atmosfera perfetta per richiamare subito alla mente la sapienza della realtà. E, non vi è dubbio, per allontanarti dalla stupida e feroce ansia di una grandezza impossibile quanto fallace.
Forse narrare quello che hai il privilegio di vedere e vivere è davvero l’unico vezzo che puoi concederti.  
Per chi avesse voglia di viaggiare alla scoperta dei meravigliosi Orridi di Uriezzo e delle Marmitte dei Giganti e fare quindi un salto nell'era glaciale preciso che si trovano in Valle Antigorio (Ossola) zona di Baceno,  sono molti i link utili per ogni opportuna informazione comunque i migliori orientamenti sono già nei siti della Comunità Montana Valli Ossolane e in quelli turistico/naturalistici del Lago Maggiore e delle sue valli.

martedì 19 marzo 2013

La bellezza che non si vede


Mi incammino nello spiraglio di sole con l’aria ancora odorosa di pioggia e un volo di farfalle nel cuore mi fa sussultare. Mi si para davanti lo scorcio sgangherato del tempo e delle crepe su forme e disegni di antico garbo e invece di procedere spedita sotto gli archi per spuntare altrove fisso la quiete surreale.
Ancora mi stupisce la bellezza che non si vede!
Nell’impietosa crudezza della rovina si leva la storia della verità e degli uomini, forse è per questo che mi emoziona questa malandata armonia. D’altra parte nello sbilenco senso di vecchiaia pulsano materia sgretolata ma viva, umanità silente sotto la cenere e manciate di sorrisi pronti a scendere dalle scale, con il rito del giorno che comincia.
Perché già sento che si leva il brusio largo della colazione. In un lampo il silenzio lascia il posto al rumore delle case sveglie e da lì a poco i passi, accanto ai miei, cammineranno sotto le volte di pietra. 
(Il testo non è fedele alla foto perché purtroppo non posso postare l'immagine originale)

lunedì 18 marzo 2013

Fischi


Ero atterrata in platea nel bel mezzo di un musical sconosciuto.
Suoni che trasportavano allegrie e amarezze tamburellavano nelle mie orecchie e io mi fermavo, in ascolto, cercando di captare la provenienza e le conseguenze. Perché qualcosa accadeva, dopo. Qualcuno si muoveva, una voce si levava, una porta si apriva.
Insomma intuivo che erano richiami o messaggi e che arrivavano subito, forti e chiari, a destinazione.
Fischi e reazioni. Di questo si trattava. Di un linguaggio fatto più o meno di sibili e gorgheggi declinati in varianti corte, lunghe, mosse o uggiose.
In balia di quelle vibrazioni mi misi a indagare fra cinguettii e trilli, quella comunicazione in musica più che un costume mi stuzzicò la misteriosa idea di un codice. Talvolta  dal balcone scorgevo a fatica un’ombra, altre volte nulla più del budello che a destra si inerpicava tra le pieghe dell’area spaccata dalla frana e dello scorcio della piazzetta che a sinistra si inabissava fino a un altro groviglio di vicoli.
Ma era questione di attimi. Qualcuno si affacciava dalla finestra oppure si avviava in strada.
Nel dedalo di vie, in quel viluppo acrobatico di case tra salite e discese, iniziai a intuire che il fischio era una scorciatoia geniale e in qualche modo intima e discreta. D’altra parte, in piena magia, ciascun timbro era riconosciuto senza dubbi. Come fosse una voce, come se contenesse tutte le parole note, come se lasciasse un’inconfondibile impronta. Una freccia che colpiva subito il bersaglio, una spilla che in un volteggio rapido e essenziale si puntava sul petto giusto.
Denso e intenso come i loro cenni, che dicono sempre più di qualsiasi discorso.

Uva spina


Riempie i tuoi occhi, l’uva spina. Come un affresco rosicchiato dal tempo il cespuglio appena discosto dal muro di pietra fa capolino a pochi passi da te, in fondo allo stretto budello che sbuca nello slargo di case basse ammassate ai piedi della salita.
Nello strambo cono d’ombra che investe i gradini verso l’uscio della tua “tana”, così la chiami, ti siedi e la fissi, con lo sguardo che si fa fessura nello stordimento. Pare cuocersi, l’uva spina, al sole alto che fa brillare il pulviscolo sottile di quel groviglio di viuzze. Stringi tra le mani il bastone e ci appoggi il mento, con la giacca grigia che ricorda quando la indossavi a schiena dritta. E le ore scorrono uguali, per te e per l’uva spina. Fino a quando, nel gioco naturale del buio e della luce, riconosci la sagoma riflessa di un passo lento ma sicuro sotto la gonna che ondeggia piano. Ancora qualche istante e Caterina sarà vicina all’uva spina. 

sabato 16 marzo 2013

La forza del principio

Francesca Armento
foto di Mario Carbone

Non siamo che terra plasmata dal vento e scavata dal sole. Il tempo ci cammina dentro, anche quando avanziamo la pretesa di esserne padroni. Saremmo felici se capissimo che il privilegio della vita è proprio quello di sentire il vento, il sole e il tempo sulla pelle e nell’anima.
Temo che solo ai puri non sfugga l’incanto della verità. Ma la consapevolezza adesso sta già liberando i miei pensieri. Devo passare per fuoco o acqua, a compiere il cammino di natura. Lo spirito poetico dell’universo è solo negli occhi semplici.

venerdì 15 marzo 2013

Cupo cupo


Cupo cupo (o cupa cupa nelle varianti dialettali) corrisponde, se vogliamo trovare un parente vagamente più noto, al putipù campano.
E’ uno strumento musicale, più o meno rudimentale, della tradizionale popolare realizzato con un recipiente (spesso di terracotta o di latta) coperto da pelle di capra o da stoffa e da una canna legata al centro. Il suono è prodotto dallo sfregamento della canna che il suonatore esercita a mani nude e bagnate. I gesti richiedono un’abilità che solo il costume dei luoghi elargisce. Ci vogliono tecnica e sopportazione del dolore per suonare i cupi cupi, doti che i suonatori acquisivano per amore e per rispetto di antichi riti di comunicazione.
Musica di tutti, musica di strada. E’ la musica semplice e improvvisata che evoca la ricerca di espressioni emotive e di messaggio di ogni angolo del tempo e del mondo. La più affascinante, per cammino e simbologia. E forse anche la più difficile, così affidata a mezzi di fortuna e alla fatica delle mani.
Quella dei cupi cupi è una musica oscura, grave e fremente che spande nell’aria un richiamo primitivo. E’ la sapienza dei movimenti del suonatore a dare il ritmo e a trasmettere l’intensità della melodia ma in fondo è la stessa conoscenza antica delle occasioni a tradurre il significato e a depositarsi, chiara, sulla pelle di chi ascolta.
Ero curiosa, la prima volta. Ne avevo tanto sentire parlare del cupo cupo, occhi e orecchie avevano bisogno di metterne a fuoco l’energia e l’effetto. Lo ricordo ancora quel momento, in Basilicata. Un languore stupefatto che pulsava come quel rimbombo.

Giallo ginestra in Basilicata


Spavalda, sotto il sole, la ginestra narra la storia dei luoghi e li ammorbidisce, con grazia. Più che di bellezza splende di forza, nella sua resistenza e nella sua generosità.
Il profumo giallo è come una farfalla che danza nella terra brulla, un canto che accarezza la roccia. La ginestra, arbusto che predilige i suoli aridi e può vegetare anche sui terreni argillosi, dipinge la scena arsa dei pendii.  
Ginestra (PZ)
Vedo i canestri colmi di fiori e penso alle mani che li hanno raccolti, nella tradizione del tempo che si rinnova. In Basilicata cresce in grande abbondanza e ha conosciuto gli usi e le lavorazioni, delle donne lucane prime e di quelle albanesi giunte poi, come una vera risorsa di economia e costume.
Castelsaraceno (PZ)
La ginestra. Il colore che spicca, l’odore intenso. E’ la breccia del destino, dell’ordine perfetto dell’universo. Ecco, c’è sempre qualcosa, nell’incanto della natura nuda, che disegna l’arcobaleno nel cielo e nel cuore. E c’è quella virtù immensa di pazienza e amore, la ricchezza della povertà.
Nella terra come doveva essere la ginestra è il filo del cammino! La guardo e ricambio il suo sorriso. 

giovedì 14 marzo 2013

Il giovane pastore


Seduto su un bizzarro ricciolo di roccia, accanto a una pianta di fichi d’india, il giovane pastore guarda giù, il suo gregge si muove placido nella valle. Tra i mille spruzzi di verde c’è tanto posto per i pensieri, per il canto antico della natura e per i novelli sogni.
Ci vuole forza e spirito, tanta forza e tanto spirito, in un tempo vero, senza lancette. Non ci sono troppe cose a ingombrare l’orizzonte, a distrarre il cuore, a ingannare la mente. E’ tutta realtà, quella. In ogni filo d’erba, nella corsa del cane, nelle nuvole che fanno capolino, nel fiume che scorre lontano. L’aria è quasi muta e se non ci fosse il verso di qualche rapido volo sulla sua testa non avrebbe che la musica dei desideri e delle emozioni.
Volge lentamente gli occhi appena a sinistra, verso un piccolo rilievo che a metà della discesa si issa contorto e appuntito come un artiglio verso di lui, e sorride. Ho la sensazione che là c’è appiccicato qualche suo ricordo. Vorrei avvicinarmi, sedermi accanto a lui e guardare giù. Ma non posso rompere l’incantesimo. Resto a distanza, con i miei occhi lucidi e la commozione in petto. Per un momento, almeno per un momento, trovo la sua forza e il suo spirito.

Craco, il paese fantasma


Un set cinematografico, la vecchia stampa di un libro di storia, un quadro surreale.
E, soprattutto, un enorme viaggio della fantasia. Perché a Craco (MT) non puoi fare altro che immaginare, pensare, cercare. Il tempo è sospeso, nel silenzio della pietra e nell’odore schietto dell’aria. Sotto il cielo Craco è la memoria di un passato stravolto dalla furia impietosa della natura e della improvvida mano dell’uomo. Ma è anche un teatro della terra e della vita. Interamente evacuato negli anni ’60 Craco, il paese fantasma, è un vuoto da colmare nel gioco stimolante degli spunti.
Attraverso il panorama dei calanchi il complesso arroccato sulla collina ha qualcosa di spettrale e di seducente insieme. E’ impressionante l’impatto e lo è ancor più addentrarsi con la guida (e l’elmetto per motivi di sicurezza) nelle vie e negli anfratti del passato, quasi a frugare nel vissuto di quelle case su e giù per il tortuoso cammino di scale e strettoie. Più dei dettagli mi colpiscono l’atmosfera di quella realtà desolata e monumentale, la spiritualità di quella solitudine, le luci e le ombre che proiettano sagome ovunque.
Rammento le scene di qualche film girato lì, come La lupa di Lattuada, Cristo si è fermato a Eboli di Rosi, La passione di Cristo di Gibson, Basilicata coast to coast di Papaleo. Ecco, è facile qui scivolare nel cinema, dal mistero al pathos, dall’avventura al dolore, dal sentimento alla celebrazione. E’ il portento di quello che evoca un luogo vivo eppure deserto, è il niente che si fa tutto, è l’eternità.
Il richiamo di Craco è fortissimo. Mette i brividi ma ti accoglie poi, con una rigorosa grazia di architetture, in un abbraccio caldo. D’altra parte è ancor ben leggibile il valore artistico e culturale di Craco. E la curiosità che suscita lo spaccato storico è davvero enorme. Senti ancora gli aliti degli uomini e delle donne, le loro voci, i riti di ogni giorno. Sono lì, nelle crepe, negli squarci, sotto i tetti, nelle pieghe curiose delle vie.

mercoledì 13 marzo 2013

Il Cristo Redentore di Maratea (PZ)


Non me ne voglia il mondo se metto Maratea tra i posti più belli e a me più cari.
Maratea è un gioiello, di acqua, roccia e aria. Un luogo di disarmante splendore e di travolgente fascino. Nulla a che vedere con le appariscenze di posti ben più noti, a Maratea è tutto a misura di natura e vita. Maratea è profumo che inebria di emozioni.
Tutto è limpido e autentico in questa terra di montagna e mare che apre l’anima all’infinito. Raccolta e delicata come un fiore raro, misteriosa e seducente come una sirena, si penetra a passi lenti, con il cuore appeso al filo della libertà e della fantasia.
Accarezzando il paesaggio, camminando in silenzio, ascoltando il rumore delle onde, scrutando nelle grotte.
Il contrasto pittoresco tra i monti e le coste è indescrivibile. D’altra parte è proprio in questo impatto che già si intuisce la complessa peculiarità di Maratea. Dal porto alle spiagge fino al centro storico e ai borghi Maratea incanta. Tutta da scoprire e respirare, in mille sfumature e in differenti ambienti che convivono in un’armonia da favola. E’ la realtà del sogno, Maratea.
Sotto quella statua del Cristo Redentore che domina e protegge dalla cima del monte San Biagio.
(La costruzione della statua fu concepita da un piemontese e poi, grazie al suo impegno, realizzata da un artista fiorentino negli anni ’60. Da allora il Cristo, nonostante all’epoca non venne neppure riservata all’opera una cerimonia di inaugurazione, è diventato uno dei simboli più importanti di Maratea e fonte di afflusso di visitatori da tutto il mondo).
E’ amore quello del Cristo. Un abbraccio a Maratea e al visitatore, l’imponenza sublime di una sentinella del tempo e del candore. Maestoso e attraente il Cristo è la guida spirituale di quest’oasi di magia dei sensi e della storia.
Sono tornata a Maratea dopo tanti anni quasi con il timore che la visita avrebbe deluso l’eccitazione dei ricordi e dell’affetto e invece ho ritrovato intatti i sapori intensi di una meraviglia che resta indelebile sulla pelle. Ho goduto di una gioia immensa e ho trattenuto a stento le lacrime per quel commovente spettacolo di natura e umanità.
Ho voluto salire fino al Cristo, per quella stessa vertiginosa salita elicoidale che custodivo nella memoria, a un passo dal cielo. L’esperienza garantisce brividi anche ai più avventurosi, lo assicuro. E, arrivata al cospetto del Cristo, in un miscuglio di sensazioni straordinarie, ho finalmente lasciato che le lacrime bagnassero il mio viso.
Avevo bisogno di mettere alla prova i miei pensieri. Avevo bisogno di un temporale di allegria, turbamento, estasi. Sapevo che solo lì avrei trovato ogni risposta. E, istante dopo istante, ogni sequenza del percorso.
Logiche impalpabili, come sempre in Basilicata. Aliti primitivi di verità.
Da lì, da quel Cristo Redentore di Maratea, parte Basilicata coast to coast di Rocco Papaleo. Un viaggio che, più che celebrare e narrare, illumina.
Bailicata on my mind: Maratea, ti amerò per sempre.

martedì 12 marzo 2013

Il finanziamento pubblico ai partiti


In questi termini in verità è stato formalmente abolito dato l’esito netto del referendum abrogativo tenutosi dopo la bufera di Tangentopoli. Cacciato dalla porta è rientrato dalla finestra, secondo la peggior logica del nostro Parlamento, sotto forma di rimborso o contributo spese che dir si voglia.
A me Pierluigi Bersani non deve spiegare che potrebbe essere un fondamentale principio di democrazia il sostegno economico ai partiti. L’ho studiato, l’ho capito, ci ho creduto. Ma la cattiva prova che i partiti hanno dato per decenni lo ha letteralmente travolto.
Adesso è assurdo sentirgli ricordare che la politica non deve essere in mano alle lobbies che foraggiano e che i soldi pubblici sono garanzia di libertà di esercizio politico soprattutto per i partiti piccoli o che non hanno capitali(sti) alle spalle. Non è momento, è fuori tempo. La gente è semplicemente disgustata.
E comunque, parliamoci chiaro, la necessità si è fatta sentire con forza per un paio di ragioni da valutare con attenzione. La prima è che il tesseramento in vorticosa picchiata non assicurava più fondi e questa era già la dimostrazione forte e indiscutibile di una disaffezione spaventosa per il sistema partiti. La seconda è che la “struttura” partito si è fatta sempre più ingombrante e pretenziosa, appesantita da portaborse, zecche varie, sedi pompose e occasioni di “rappresentanza” a base di lussi spesso debosciati.
Questo è il cuore del problema, Bersani.
Il principio, bellissimo, l’avete mandato a ramengo tutti voi politicanti di destra e sinistra. Che il M5S chieda subito un atto di rinuncia al contributo statale è OVVIO, UMANO E CIVILE, accidenti. Perché il Paese ha bisogno di quei denari per altro. Perché i cittadini hanno bisogno di giustizia. Perché i cittadini aspettano segnali di moralità. Perché i partiti sono distanti anni luce dalla realtà. Perché ormai nei partiti conta più l’apparato della base.
D’accordo, vorresti una “regolamentazione”. Già, in politichese per tutto è indispensabile o opportuno un corpo di norme che confonda con la giustificazione di mettere punti fermi. Potrei accettare un dibattito ma DOPO. Dopo la partenza per un governo del popolo, dopo il risanamento economico e sociale del Paese.
Qui e ora c’è la crisi, qui e ora c’è una situazione drammatica che richiede responsabilità. Qui e ora i partiti sono i primi a doversi mettere seriamente in discussione. Ecco tutto.
Questo è il discorsetto ai partiti, al PD in particolare che insiste improvvidamente sulle sue posizioni. Altro vale per noi cittadini.
Allora, se è vero che comunque chiunque, pure uno sparuto gruppetto di cittadini, dovrebbe avere il diritto di fare movimenti politici e che non dovrebbe essere penalizzato dalla povertà di mezzi dobbiamo capire e ricordare sempre che non è facile come sostiene Grillo racimolare consensi via internet e in piazza. La rete, fantastica rete, per il M5S ha funzionato alla grande perché fondatori (Casaleggio e Grillo) e voce (Grillo) avevano tutto l’appeal necessario.
Parliamoci con franchezza, quello di Grillo era più o meno l’unico blog italiano ai vertici della classifica mondiale insomma era visitato, letto, seguito perché Grillo, al di là delle recenti campagne politiche, è un personaggio. Non è solo il suo caso. In Italia i frequentatori della rete non cercano molto l’informazione diffusa, libera, anonima. Quelli gettonati restano i blog, i siti, le pagine fb dei “vip”, per intenderci.
Questo, intendiamoci, non vuole togliere nulla allo spessore del blog di Grillo. Anzi, rinnovo ammirazione e piacere. Voglio solo spronare ancora una volta tutti noi alla ricerca, all’apertura, alla coscienza civile, a una riflessione generale veramente profonda. Lo ripeterò ancora molte volte: è tempo di leggere, sapere, confrontarsi. D’ora in avanti, per amor vostro e di tutti, se siete per negare quattrini pubblici ai partiti, tenete presente che le buone idee circoleranno in rete, anche nelle righe di blogger sconosciuti, non perdetele.  

Pisticci (MT)


« ... Bianca sul suo colle argilloso la piccola città silente, sovrana coronatrice del vasto paesaggio tra i fiumi Basento e Cavone, svetta da vie tortuose e chiare. Il sole indugia in lunghi ozii meridiani fra le ospitali case basse e cuspidate, sullo sfondo delle montagne gibbose orlate di agavi aguzze, di secolari ulivi e di fichi d'india... » (Concetto Valente).
Lo spettacolo aspro e struggente dei calanchi sembra placarsi e distendersi nel candore della città che dai colli domina un panorama immenso di forme e colori fino allo Jonio. Di notte confondo le mille luci dell’orizzonte con le stelle, terra e cielo sono un unico sfondo di stupore e desideri nell’aria fine.
Le strade sulle quali mi arrampico sprigionano una bellezza essenziale. Accecante di nudità e naturale eleganza Pisticci mi accoglie fiera e incantata, come un gigantesco teatro di virtù e vezzi di decoro antico, con eterea grazia. I piani sconnessi, gli andamenti sbilenchi, il saliscendi di una terra di frane invece di creare un disegno disordinato e angoscioso generano una suggestione di atmosfere, scorci, brividi.
Le case a precipizio del rione Dirupo come le splendide chiese, i palazzi storici, il castello, l’abbazia e il rione Torrevecchia sono un meraviglioso intreccio di armonia e fascino, un trionfo di garbo e gusto. Un labirinto di storia e umanità, nelle architetture e nella ricercatezza dei dettagli. Così bianca eppure così calda…
Partic. Lucania61-Levi
Giova alle emozioni il contrasto di stile con l’asciutta rudezza dei calanchi e ammalia la composta raffinatezza di monumenti e abitazioni nella linda semplicità di quella tinta immacolata. Vivace orgoglio, quello di Pisticci. D’altra parte nel pregio estetico c’è il tratto di un popolo, l’energia e la buona vanità di una tradizione, la forza e il senso delle ambizioni. Non è capriccio, credo, ma indomita essenza. Nel divenire, anche sciagurato, del tempo, Pisticci e la sua gente sono stati pazienti amanti e custodi di una bellezza che è patrimonio di valori.
Nel decoro di strade e piazze, nei manufatti a contrasto tenue e naturale con il rigore bianco dell’insieme, in ogni angolo di vita, nel geometrico susseguirsi di case avverto la dimensione di una identità vigorosa.
Tutto è fluido e avvincente. Una sintonia perfetta.
Leggiadria, ecco cosa evoca in me Pisticci. Una sensazione di leggerezza artistica e spirituale. Non è un caso che Carlo Levi descrivendo due donne con la pacchiana, il vestito tradizionale di Pisticci, incontrate ad Aliano al tempo del confino, scrive che le “facevano somigliare a strane farfalle”.
E nel 1960, molti anni dopo il confino, in uno dei suoi viaggi in Basilicata, Carlo Levi posa in foto a Pisticci proprio con una anziana donna in costume.
Svolazzante è pure l’accento, quella cantilena del balcone sullo Jonio, che trasmette una mollezza vagamente leziosa. Qualcosa di felino, nel passo e nel carattere dei pisticcesi, che nelle strutture del luogo diventa seduzione.
E da questa Pisticci collinare, sullo strappo impressionante dei calanchi, fa capolino a pochi chilometri il mare: geografia generosa!

lunedì 11 marzo 2013

La democrazia diretta di Beppe Grillo


Considerando l’ovvio e strenuo impegno dei politicanti e dei media per affondare la lotta per una sovranità popolare piena di democrazia diretta è essenziale e urgente che il pensiero di Grillo e Casaleggio espresso nel M5S arrivi forte e chiaro a tutti i cittadini. TUTTI.
E’ difficilissimo, lo so. Ma il grande “progetto” di civiltà e felicità di una democrazia diretta non deve rimanere un sogno solo perché tra le persone difetta la conoscenza, l’informazione, la capacità e la possibilità di sceglierlo. Il rischio qui e ora è proprio questo. Siamo imbevuti di sottocultura politica di partiti, delega, potere, rassegnazione, indifferenza, superficialità e quindi facciamo una fatica immane a intravedere la luce di un obiettivo di spessore enorme. Un obiettivo rivoluzionario.
Forse non è stato intuito neanche da tutti i votanti o i simpatizzanti del M5S: non è protesta, non è antipolitica, è politica del popolo.
Altro che alleanze e riforme e programmi. Dovremmo partire dal principio: vogliamo mantenere questo sistema di democrazia indiretta o compiere la radicale trasformazione del Paese in uno stato a democrazia diretta?
Democrazia diretta vuol dire esercizio della sovranità da parte del popolo in modo attivo, legislazione e governo insomma.
Il referendum o le proposte di legge di iniziativa popolare che attualmente il nostro ordinamento giuridico prevede, pur essendo istituti di democrazia diretta, sono assolutamente lontani dalla concretezza del modello.
Al di là del fatto che attualmente in Italia è ammesso solo il referendum abrogativo e non quello propositivo, meraviglioso oltre che importantissimo, sappiamo bene che in pratica le procedure, i tempi e le storture burocratico-politiche rendono titanica l’impresa di affermazione del pensiero popolare. Altrettanta disgrazia grava sull’iter e sulla considerazione dei disegni di legge di iniziativa popolare: l’estenuante percorso di proposta è quasi sempre vanificato dall’insabbiamento della stessa quando arriva in Parlamento.
Ecco, democrazia diretta vuol dire “avere in mano il proprio destino”: DECIDERE.
Nell’era di internet una stupenda e-democracy.
Naturalmente il potere è responsabilità. Amministrare il bene comune significa esserci, sapere, lavorare, discutere, sudare. Avere voglia di mettersi in gioco e costruire. Vuol dire avere a cuore la comunità, ben prima e ben oltre se stessi accidenti.
Questa è RIVOLUZIONE. Del pensiero, innanzi tutto. E quindi della vita.
E’ uno strepitoso salto culturale. Siamo pronti?
Non si tratta di rimescolare le carte, si deve buttar via il mazzo. E ragionare su altre basi, con altre energie, su altre piste, sgomberando il campo da tutte quelle strutture e quei riferimenti che per decenni e decenni ci hanno tenuto fuori dalla nostra esistenza in questo Paese.
Comunque la pensiate, questo è il punto su cui riflettere subito.
Non c’è destra, non c’è sinistra. Popolo o “rappresentanti” del popolo, ecco l’opzione che abbiamo davanti.
Dopo questo si può e si deve discutere tutto il resto.
Altrimenti non ci capiamo, parliamo lingue diverse, ci facciamo infinocchiare da Grillo si Grillo no, ci lasciamo terrorizzare dalle solite strategie dell’ordine costituito.
Comprendo che non è facile riattivare il cervello e l’anima. Purtroppo ce li hanno quasi schiacciati. Ma sono lì, dentro di noi, basta scavare un po’ e balzano fuori.
Sarà dura, questo è vero. Occorrono lucidità e consapevolezza. E’ una salita sfiancante, ci vogliono coraggio e determinazione. Non abbiamo la bacchetta magica, il sogno dobbiamo inseguirlo con intelletto e mani.
Solo se qualcuno ritiene più allettanti la ricchezza materiale e la povertà morale non può percepire il sublime richiamo di una sfida epocale. Pensateci, almeno.
Avevo scritto di un Governo degli Illuminati. Un governo che ci traghettasse sulla sponda della democrazia diretta, un Governo che potesse pacificamente e saggiamente seguire la bussola nella giungla di laccioli di quella indiretta. Ma, per ora, non si sente che la resistenza feroce del vecchio.

Rocco Scotellaro: “E’ fatto giorno” a Tricarico



Le pietre, le colline tonde e la natura di tanti colori mi accompagnano a Tricarico (MT) che mi accoglie movimentato, quasi caotico nell’esteso complesso che accoglie le architetture e l’urbanistica di sovrapposizioni e comunioni culturali e temporali.

La radice storica di Tricarico è nel borgo denominato Rabatana, l’antico quartiere arabo-saraceno, ma a questa si affiancano le successive tracce normanne e degli insediamenti ebraici. L’ambiente intorno è un trionfo di varietà in una natura affascinante che si mostra nella vegetazione boschiva e nelle aree agricole fino ai terrazzamenti degli Orti saraceni.
La giornata è splendida, l’aria è tersa e qui più di ogni visita d’arte voglio camminare, annusare l’aria, guardare il panorama e provare a sentire e vedere con i sensi di Rocco Scotellaro, il poeta contadino, il politico, l’amico di Carlo Levi.
Fu sindaco di Tricarico, Rocco Scotellaro. E fu proprio nel 1946, quando Carlo Levi si candidò all’Assemblea Costituente, nella circoscrizione di Potenza-Matera, che Scotellaro lo incontrò per la prima volta. Credo fosse inevitabile la grande amicizia che da lì nacque! Levi fu il suo mentore, ebbe a dire lo stesso Scotellaro. Entrambi peraltro fortemente impegnati per la “questione meridionale” si frequenteranno assiduamente fino alla precocissima morte di Scotellaro.
Rocco con l'asino- Carlo Levi
Così come lo zelo e la passione di Scotellaro per il riscatto della Basilicata dall’arretratezza e dalle condizioni di povertà e abbandono che la ponevano fuori dalla  “civiltà dello Stato” come la sua lirica di amore vibrante per l’anima di quella terra trovarono in Levi uno dei più grandi e profondi spiragli di luce.
Sono stati passi commossi, i miei. Di dolore e rabbia.
Non avrebbe dovuto morire a Portici, Rocco Scotellaro. Avrebbe dovuto essere abbracciato da quei volti, da quelle ginestre, da quegli asini, da quelle pietre che lui aveva cinto di speranza e lotta. Chissà se oggi il ricordo può essere risveglio…
Questo mi metto a cercare e a pensare. Ma sgomberando l’orizzonte dal “progresso” delle case, delle cose e delle macchine la realtà è ferma a quel tempo di speranza e di lotta. Sessant’anni.
Ma non voglio rassegnarmi, non posso. Questione di coraggio e ardore.
La politica e la stessa letteratura di Scotellaro, e vieppiù di Levi, non sono state mera celebrazione. Raccolgo la denuncia, l’urlo di allarme e indignazione, la coscienza umana e civile per ricordarle, per continuare a dare loro voce e senso, perché non sia infinita agonia.
Sosto solo qualche minuto in piazza Garibaldi, per un caffè ottimo. Ho bisogno di allontanarmi, trovo quiete in una frazione silenziosa, perché la preziosa eredità non si disperda in quelle voci confuse del quotidiano.
Che il cielo sia lieve, Rocco. E grazie, di tutto.
Lascio Tricarico con “il suono del campano al collo di un’inquieta capretta”.

venerdì 8 marzo 2013

Rosy Bindi ha detto a un cittadino: lei mi DEVE far parlare!


A me i politicanti non stupiscono e non indignano più. Mi stupiscono e mi indignano i cittadini, se mai. Non mi riferisco ovviamente a quelli che, in buona fede, credono ancora in tizio e caio e non capiscono il movimento civile. Ma a quelli che preferiscono lo sfascio nel tiepido guscio del sistema al quale sono ormai rassegnati.
Inizio a credere però che adesso che l’ariete ha fatto la sua parte saranno in molti a trovare il coraggio e l’entusiasmo.
Basterebbe un breve governo di illuminati e poi via, porte spalancate al governo del popolo. E’ a questo che dobbiamo prepararci davvero, con testa e cuore. Perché il governo del popolo ci chiama a capire, fare, rispettare, amare. Perché il governo del popolo incolla alla verità e alla realtà. Perché il governo del popolo è impegno, passione, onestà. Una sfida meravigliosa, di intelligenza, libertà e responsabilità, sulla quale concentrare energie, attenzioni e profonda lucidità.
Bene. Allora iniziamo a prendere le distanze dai media. Per inquadrarli meglio!
Comunque ieri sera Lerner, Santoro, Travaglio e il mitico Enrico Mentana ce l’hanno messa tutta per fare da ponte tra la gente e Rosy Bindi ma non c’era proprio storia. Accidenti ma il PD è proprio ingessato e impermeabile! Bersani in testa, a qualsiasi costo, e tutto il resto è niente. Così suona il loro vuoto, è impressionante. Cacciari sbotta ma il PD non lo ascolta. Non so se è ridicolo o drammatico ma adesso il PDL disgustosamente astuto, con la Santanché come al solito in prima linea, grida che bisogna abolire il finanziamento pubblico ai partiti e Bersani invece fa le lezioni di diritto e democrazia per spiegare al popolo affamato che il principio è da tutelare…Aiuto! Qualcuno della “base sana” del PD, per cortesia, provi a spiegare al suo grande leader che non è questo il momento di fare i giuristi e i filosofi, per carità.
D’altra parte basta accendere la tv o leggere i giornali per essere catapultati sulla luna. Bersani non è solo. L’informazione, giuridicamente e democraticamente altrettanto nobile come i mezzi di sostentamento della libertà politica, è prona, molle, intellettualmente corta o disonesta. E’ sbando totale, anche sul fronte media, da decenni. O meglio, deriva consapevole e pilotata, bisognerebbe dire.
La vita quotidiana è lontana anni luce da quella ribalta di parole, inciuci, cavilli, ricchezze. Eppure sono ancora lì, lor signori politicanti e uomini di carta e video, a ingarbugliarci di concetti astrusi, a parlarsi addosso, ad arrampicarsi sugli specchi.
Sono lì perché Grillo e il M5S stanno facendo una rivoluzione pacifica.
Sono lì perché pensano di potersela cavare anche oggi con discorsi che non esprimono niente.
Sono lì perché ci credono deboli, sgomenti, incapaci e stupidi.
In effetti siamo stati lungo tempo al guinzaglio, rimbecilliti da reality, calcio e escort, tenuti a bada con qualche contentino e tante promesse. Sembra quasi che Monti sia stato mandato apposta a darci la batosta dell’austerità per scrollarci dal sonno.
Si, diciamolo, è riuscito a far inviperire gli italiani più Monti che Berlusconi…Roba clamorosa, il mio sospetto è più che umano!
Come ha detto la Litizzetto: cosa altro devono combinare di male (o non combinare di bene) i politicanti per non avere il nostro voto?!?!?
Politicanti, già, lo ripeto. Perché non meritano di essere definiti politici. Capito Bersani? Giuridicamente e democraticamente, come piace a te, i politici sono alti, voi tutti a destra e a manca siete nani.
A Sandro Pertini: mi manchi...anzi, ci manchi!

giovedì 7 marzo 2013

Il business della ripresa


C’erano una volta l’agricoltura, lo scambio, il lavoro, il piccolo commercio.
Poi è venuto il tempo dei grandi affari, delle illusioni, della pigrizia, della smania.
Dove è rimasta la terra sono nate distese monoculturali comode e redditizie per ridurre rischio e fatica e vendere il raccolto prima ancora della semina. Tutto in pasto all’industria che confeziona, surgela, inscatola e distribuisce nel mondo. Con buona pace della qualità e del gusto, naturalmente. Produzione su larga scala, si è cominciato a dire. Che coccolava il pensiero della miniera d’oro e ci faceva sprofondare nel baratro dei cercatori falliti.
Il contadino è diventato imprenditore nel modo peggiore possibile. Ha smesso di rispettare la terra e ha cominciato a strizzarla per ricavare in fretta tanti denari per investire in borsa. Ha smesso di amare l’aia e le galline e ha stipato i polli in enormi allevamenti prigione perché sfornassero uova a ripetizione. Ha smesso di andare al mercato a vendere la frutta di stagione di qualche albero, molto meglio trasformare l’intero podere in frutteto predestinato ai grandi stabilimenti che fanno tonnellate di marmellata.
Adesso la crisi è peggio della iattura della cattiva annata, della siccità o del gelo, tutte quelle avversità di natura che erano rovello per mio nonno.
Il pesce grosso nei decenni ha divorato il piccolo: la terra non era più dei contadini ma delle super aziende che dopo aver imposto la coltivazione hanno pagato sempre meno i prodotti. E oggi, con i consumi ridotti e la debacle generale del sistema, i pescecane non ritirano neanche più tutto ciò che l’agricoltore produce.
Risaie su risaie, per chilometri non intravedo altro, difficile perfino scorgere un piccolo orto. E il prezzo del riso crolla. Ricordo che qualche anno chiedevo ai risicoltori perché non diversificavano e non si rimettevano a pensare al chilometro zero, ai bisogni locali, a un commercio più ristretto ma forse più sostenibile…e mi rispondevano che ci volevano investimenti, competenze, risorse umane. Accidenti, come avranno fatto allora mio nonno e i suoi coetanei, poveri e con mezzi assai meno avanzati?
Di questi tempi evito di addentrarmi sulle storture della globalizzazione, sul tortuoso cammino delle merci e delle quote e delle logiche europee, ma è evidente che è ora di pigiare il piede sul freno per poi ripartire con ben altra prospettiva.
Più che lungimiranza, sensibilità e intraprendenza temo però che sia richiesta anche una qualche dose di fatica. Insomma, non sarà proprio questo il problema?
La terra è bassa, qualcuno lo mormora, altri lo gridano proprio. Meglio una onorevole laurea in disoccupazione, forse. O la chimera di una ricchezza che ci ha accecato e ora ci presenta anche il salatissimo conto.
Io francamente le mie braccia e la mia schiena le offrirei volentieri, alla terra. Possibilmente però vorrei lavorare la terra di una volta, non gli sterminati campi di soia alla moda. Considerando la mia passione per il latte potrei anche imparare a mungere le mucche, forse troverei occupazione in un lampo. I mungitori che conosco sono rigorosamente indiani e pakistani, loro non lo considerano un mestiere inaccettabile come gli italiani, trattano bene le bestie, potrebbero prendermi come apprendista.
Quando la smetteremo di ragionare in termini di “crescita” impossibile e inutile e inizieremo a pensare veramente a fare bene quello che serve?
Non è una logica piccola quella locale, è semplicemente logica.
Il business della ripresa è nell’economia reale.