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sabato 27 aprile 2013

Dalla parte dei soldi


I conti della serva, dicevano i nonni. Quelli che tornano, sempre.
A uno che non ha un euro in tasca non vai a dirgli che i soldi non fanno la felicità. Però lui sa meglio di chiunque che desidera molto di più qualcosa di simile a una vita dignitosa che a un’esistenza da nababbi. Non sogna la Ferrari e non ha bisogno di trastullarsi con lo shopping. Ma vorrebbe tanto poter mangiare quello che più gli fa gola, non sudare freddo a ogni bolletta, portare i bambini in gelateria, pagare l’affitto di casa e magari dormire senza angoscia la notte.
Non credo che il ricco che lo lascia in povertà gli faccia invidia, se mai rabbia. Una rabbia così umana che la devono comprendere tutti. Una rabbia così umana che può diventare difficile contenere e perfino punire.
Se il rischio se ne infischia siamo nella giungla. E allora la legge della giungla è quella del più forte, in qualsiasi senso e modo. Se il povero vince con i calci e i pugni diventa il leone, tout court. Altro che raccontargli che bisogna essere succubi pacifici.
Direte voi che tra gli opposti poli c’è la “massa”, quella che sopravvive o che non è ricca e non è povera. Una massa ridotta assai, mi pare, ma consideriamola pure. E avanti giungla allora, perché in una società stagnante, avvilita e sfibrata la massa tenderà facilmente al basso e quindi andrà a aumentare le fila della povertà. Non sarà un cuscinetto insomma.
I conti della serva, quelli che tornano sempre, non dicono se sono più potenti i numeri o i
mezzi però io una modesta teoria ce l’ho. Fino a un certo punto, l’ora X, prevalgono i mezzi: molti mezzi concentrati in poche mani tengono in scacco molte mani vuote. Quando poi l’orologio raggiunge l’ora X, quella della fame, della disperazione, dell’indignazione, del terrore o come vi piace chiamarla, le mani vuote iniziano a menare colpi, a stringere gole, a fare razzie e molte altre cosucce più o meno simpatiche.
E’ la natura, people! Assomiglia a quello slancio impetuoso e febbrile dei ricchi quando difendono il loro recinto, si alleano per conservare i privilegi, cacciano indietro i poveri.
Qualcuno lo chiama istinto. Spazza via tutto l’ordine costituito della pazienza, del buon senso, del garbo, della civiltà.
Brutale e orribile, è vero.
D’altra parte se governa quelli che stanno bene come possiamo ostinarci a credere che non possa governare chi sta male?
Sono i conti della serva, quelli che tornano sempre.
Roba che pure i soldi conoscono. Quasi fanno i Robin Hood da soli, si consegnano con piacere ai portafogli rotti dei poveri perché almeno li rispettano, dice la signora Lia.

MANIFESTO per donne fighe


Il Manifesto per donne fighe procede a puntate, chi ha perso la prima può trovarla qui.
Care amiche, non siete fuori moda o poco eleganti. Non siete in sintonia con la vostra essenza, tutto qui. Ci saranno pure le influenze astrali, per chi ci crede. Sarete insomma prede delle vostre insicurezze, se ci sono. Ma, diciamolo, siete anche tutte vittime quasi innocenti del disastro epocale.
E’ un’assoluzione costruttiva. Ovvero giustificare serve per archiviare velocemente la pratica e ripartire con la marcia giusta.
La moda dovete dettarla e l’eleganza averla nel carattere: ecco il Manifesto per donne fighe.
Manifesto per donne fighe, regola chiave: fighe non si nasce, si diventa. Dunque questa è l’operazione numero due. Liberatevi dalle ossessioni del guardaroba all’altezza delle pretese altrui e ossessionate il vostro guardaroba con i vostri gusti.
D’accordo, qualcuna potrebbe partorire una passerella degli orrori. E allora che mamme, sorelle e mariti siano incaricati di consulenze utili, accidenti. Ovviamente, previo accertamento delle loro qualità intellettive: sono utili solo i suggerimenti che non mortificano la vostra indole e che non vi rispediscano in pasto alla moda squalo.
Non basta, è vero. Ci sono troppe incognite.
Allora osate quello che siete in estetica dell’abito, anche a costo di figurare come carciofi
al posto di fiori, ma tirate a lucido il lato B, ovvero l’eleganza interiore non il sedere. Uno o l’altro aspetto dovrete pure governarlo no? Magari difettate in buon gusto ma eccellete in raffinatezza di spirito, ecco, puntate sulla seconda che è sicuramente un passepartout.
D’altra parte pure il carattere da fighe si costruisce se non l’abbiamo nel DNA. Se non ne fossi convinta non sarei qui a sforzarmi di formarmelo. Già, dovete sempre ricordare, che questo è un corso di lezioni senza docenti, siamo tutte allieve sfigate alla pari. Ma diventeremo fighe. E fighe reali, non virtuali.
Manifesto per donne fighe: è necessario stringere un patto di ferro con il sogno e la buona volontà. Crederci insomma. Che non vuol dire sentirsi fighe, giammai, ma lavorare per diventarlo davvero. Donne che si amano e amano, innanzi tutto la vita, sostanzialmente per rispetto, della vita stessa intendo. Che non è un giro di parole assurdo, un frullatore che confonde i pensieri, un tentativo patetico di placare qualche insoddisfazione. E’ zelo illuminato. Questione di sorrisi autentici e morale inossidabile.
A questo ambisce il Manifesto per donne fighe. A ispirare un’evoluzione che ci trasformi in donne fighe. Senza passare dal travestimento trendy, dall’appiattimento della personalità, dalla bruttura emotiva. Bersaglio preso in pieno. La bruttezza emotiva è il derivato inevitabile della natura svilita e mascherata, amiche. Abbiamo bisogno di affermare la nostra bellezza autentica e per questo dobbiamo spogliarci di ingombri che ci misurino in base a squallidi parametri.
Fate pace con le smanie di aderenza ai modelli, voi state bene con il vostro stile. Se dovete emulare qualcosa o qualcuno, a dirla tutta, scegliete esempi di genialità o sensibilità. Basta logore e deprimenti frontiere del fashion calato dall’alto. Voi siete donne in cammino per diventare fighe: sfoderate il cervello e appassionatevi alla cultura dell’esistenza. Ce la possiamo fare, of course. Manifesto per donne fighe continua.

venerdì 26 aprile 2013

Memoir


L’album fotografico non è solo una manciata di ricordi.
Non riavvolgo il nastro, non sono neanche in cerca di un filo e, francamente, la selezione esclude qualsiasi nostalgia. Qualche volta è lo spot per un sorriso o, magari, per vedere l’effetto del tempo e dei momenti. Distrazione pura, quasi.

D’altra parte ogni immagine è anche un pezzetto di storia. E allora dilettandomi nel puzzle saltello nel recente passato per sentire che profumo ha. O per vederlo tra le righe, come uno spiritello in movimento.
Ho l’impressione che non sia, infine, un passatempo tanto frivolo. Se mai è un’operazione di primavera, in stile grandi pulizie domestiche o cambio del guardaroba. Più che cosa tenere e cosa buttare potrebbe funzionare cosa ricordare e cosa dimenticare. Ma non sono in missione radicale, spolvero, spazzolo, al più lucido quello che trovo opaco.

Naturalmente fuggo a gambe levate dall’idea di un bilancio. Roba privata, quella.


Qualche fotografia lasciata scivolare in rete come ironico esorcismo all’oblio, ecco, una nota quasi romantica. O un omaggio? Omaggio alle situazioni, intendo. A quelle fissate in quel click. Bello, rimanere nel campo delle ipotesi. Perché l’inflazione di flussi in circolazione continui ad alimentarsi fino quasi ad annullare il significato. Oppure perché corra un’idea di libertà e leggerezza.

Memoir? Ma no, istanti colti al volo.

mercoledì 24 aprile 2013

Caro Beppe Grillo – lettera aperta -


Mesi fa, mentre partiti e pensatori prezzolati lanciavano l’allarme per la delusione che avresti rifilato agli italiani, ho espresso il serio rischio che alla fine il deluso potessi essere tu. Tu e quelli che credevano in un popolo “pronto”.
Ribadisco, repetita juvant, ai lettori che non ne faccio questione di scelta politica. E’ sostanza culturale, civile e giuridica, questa. Il punto non è condividere “programmi” ma scegliere tra cittadinanza passiva e attiva, tra affidamento al “sistema” o concepimento e partecipazione a un nuovo corso della storia del Paese.
Su questo però, caro Beppe Grillo, qualche responsabilità dovete assumervela altrimenti si sgretoleranno davvero molte speranze di cambiamento sociale.
Ha ragione Debora Serracchiani: gli italiani hanno bisogno di leader. Non sono cittadini maturi, non sono riusciti a diventarlo e i partiti hanno lavorato bene perché non lo diventassero dal 1948 ad oggi. E allora il M5S, piaccia o non piaccia, deve avere un leader anzi, deve averne due. Uno c’è, d’accordo, sei tu. Ma tu sei un perfetto leader emotivo, da piazza. Adesso il M5S siede in Parlamento e serve dunque che abbia un leader “istituzionale”. Poi ti occorre, lo ripeto, un comunicatore giuridico. Il tuo blog è emotivo come te, fai gestire a qualcuno del Movimento un blog di “educazione civica” alla democrazia.
Il PD ha dimostrato, ecco appunto quanto sia condivisibile l’affermazione della Serracchiani, che senza un leader a Roma arriva l’armata Brancaleone. Il PD ha dimostrato che non ha alcuna autentica e limpida connotazione culturale-giuridica.
D’altra parte il PD non vi ha accolto a braccia aperte anche perché non ha potuto riconoscere il sentimento popolare. Nel PD non giudicano cittadini quelli del M5S ma contestatori. E non puoi davvero immaginare che questi vecchi volpini (volpi politiche non sono, per carità, ma almeno volpini bisogna concederglielo) non conoscano un po' i loro polli.
Senza offesa ma l’italiano odia le lotte e ama le scorciatoie, caro Grillo. Se capiscono che la democrazia si deve sudare ti voltano le spalle in un nanosecondo. Figurati poi se non lo prepari a puntino cosa ti combina!
Questo il PD l’ha provato sulla pellaccia un numero quasi incalcolabile di volte.
Ecco perché per un attimo mi sono augurata potesse salire al Colle il prof. Stefano Rodotà. Sarebbe stato un Maestro, per voi e per noi, di diritto, democrazia, laicità, libertà. Però, credimi, anche molti di quelli che su facebook (la mitica rete) convergevano appassionatamente su Rodotà si chiedevano “chi fosse”. E le risposte erano ancora più illuminanti: ricordavano due o tre cariche ricoperte, punto. C’era davvero una conoscenza miserabile del patrimonio culturale di Rodotà e questo spiega tristemente molte, moltissime cose.
Nel nostro bel Paese è più facile che sia popolare Silvio Berlusconi, caro Grillo, che Stefano Rodotà. Capisci?
Adesso il momento è cruciale. Non è per lo spread o i mercati che non abbiamo tempo. Il
dramma è che uomini come Rodotà non hanno decenni a disposizione e, dopo di loro, rimarrà ben poco della civiltà di cui dovremmo essere fieri e rispettosi.
I discorsi emotivi non bastano più, è necessario costruire il consenso su profondi pensieri caro Grillo. Non sarà facile con gli italiani ma bisogna provarci, subito. E il leader “istituzionale” come il comunicatore giuridico dovranno parlare e ascoltare, ricordalo. Solo accettando il confronto potranno dimostrare di avere un substrato che ai partiti manca, solo così potranno diventare un riferimento reale per gli italiani.
Sono sicura che recepirai il messaggio.
Con la mia laurea in giurisprudenza in tasca e il sogno di un Paese “migliore” che non vorrei finisse nel cassetto sono una donna di sinistra che da molti anni non sa più se sinistra è un concetto sinistro, obsoleto, morto o solo negato dai partiti. Non credo di essere proprio sola e vorrei che i cittadini potessero ancora scrivere la Storia.
Per questo seguo molto la “politica”. Sui libri, in piazza, sul web, tra la gente, in tv, sui giornali, ovunque e comunque. Così ho seguito anche te e il Movimento. Vorrei tanto che al disastro della sinistra non seguisse anche il vostro. Perché alla democrazia voi e la sinistra dovreste essere indispensabili. Forse è tutto qui. 
Non importa, d’altra parte, per chi ho votato. Sono una cittadina e dovrei essere letta da tutti.

lunedì 22 aprile 2013

Statistiche: donne e Basilicata


Per allentare le tensioni del periodo mi tuffo per qualche minuto in acque amene: le statistiche di questo blog.
Limitando l’attenzione al fronte tra realtà e racconto le vie e i numeri di accesso segnano con forza un paio di successi. Uno è la “letteratura” sulle donne, quella della sfera un po’ ironica, un po’ psicologica, un po’ sentimentale, talvolta quasi sociologica e culturale. L’altro è la Basilicata (che stava nel turismo narrativo, dimensione che adesso gestisco in altro blog).
Mentre il primo è un dato largamente prevedibile e perfettamente coerente agli andamenti dell’interesse di navigazione e riflessione (tra serio e faceto), il secondo conferma la bontà di un filone inaugurato per esplorare le reazioni al “viaggio emotivo”.
Ovviamente il primo mi diverte molto, il secondo mi regala soddisfazione e stimolo.
Sui post dedicati alla Basilicata, d’altra parte, c’era già il numero di e mail entusiaste ricevute a dare il segnale illuminante. Deliziose, se mai, si rivelano le “piste”.
Si conferma in cima alla classifica Casa Coppola a Bernalda, tallonata da Pisticci con calanchi e tipica pacchiana, da Maratea con il Cristo Redentore e da Castelmezzano con il volo dell’Angelo. Ma sono più simpatiche le keywords che hanno portato qui per Montalbano Jonico, Tricarico, Grassano, Montescaglioso e Melfi. E sono veri “gioielli” di sensibilità culturale dei motori di ricerca quelle che hanno fatto trionfare il gatto di Scanzano Jonico, i fischi o l’uva spina di Lauria, il cesto di vimini di Pomarico, il giovane pastore di Miglionico.
Fossi su facebook clickerei MI PIACE su questa statistica. Di suoni e gesti, post miliare dell’incantesimo riconosciuto, è tutto lì, Basilicata coast to coast è in scena davvero.

Ai nuovi parlamentari PD e ai cittadini di sinistra


Avete scelto il pacchetto chiavi in mano, la politica con la p minuscola, la linea Berlusconi-Napolitano-Bersani. Avete rinnegato il vostro esponente di maggior successo politico, ovvero Romano Prodi, e soprattutto schifato la vera cultura giuridica della sinistra, ovvero Stefano Rodotà.
Al di là della vergogna che non provate c’è la vergogna di chi vi ha votato e ora vive l’angoscia della delusione e del tradimento. Il problema vero è che voi la cultura giuridica di Stefano Rodotà non la conoscete, non la rispettate e non avreste potuto reggerla. La bassa politica è molto più comoda e accessibile, indubitabilmente più adatta alla miseria spirituale e intellettuale nella quale trionfate.
A questo punto fate almeno atto di dignità: restate nell’ombra, state a capo chino e bocca chiusa dietro e sotto i vertici dell’inciucio. Godetevi la poltrona e basta. Non potete permettervi di dare ai parlamentari e ai sostenitori del M5S degli ignoranti, dei guerrafondai, degli improvvisati, degli arroganti e robaccia del genere.
La sinistra italiana non è rappresentata in Parlamento se non da chi non è iscritto al PD. Adesso al governo andrà l’inciucio anche a carte scoperte tanto non potete neanche fare finta di dissentire, vi accoderete tutti, sereni e beati.
Il guaio è per il futuro. Perché il popolo di sinistra da qualche parte dovrà guardare, a qualcuno vorrà aggrapparsi, a qualcosa deciderà di credere. Esclusi voi, nuovi parlamentari del PD, assolutamente impresentabili, si farà largo qualche altra grande trappola. Magari sotto forma di rottamazione, la stessa rottamazione che non ha accolto per acclamazione Stefano Rodotà e che quindi non merita il rispetto degli autentici cittadini di una cultura giuridica italiana moderna e illuminata, o di un “nuovo tecnico” che è ancora da studiare attentamente.
La sinistra che aveva già capito che il PD era solo sistema di conservazione sporca è ormai nelle fila di SEL o del M5S. Larga parte di quelli che hanno strappato la tessera in questi giorni, uniti a quelli che non ce l’hanno ma hanno votato PD e non lo voteranno mai più, confluirà lì. Ma ci saranno gli indecisi, gli ostinati, i romantici, gli ingenui che cercheranno di credere ancora al PD che verrà, da un rottamatore o da un tecnico o da qualche altro coniglio tirato fuori dal solito cilindro.
Comunque la pensiate vi sarete commossi perché la tristezza di Grillo per la morte della sinistra dei suoi genitori è la stessa di molti italiani.
E questo però deve far riflettere molto e in modo serio. Bisogna mettersi in discussione, ci vuole uno scatto di coraggio. La civiltà del popolo si misura in questi momenti. Non abbiamo un diritto di cittadinanza perché ci hanno schiacciati (e ci siamo fatti schiacciare) dalla distorsione della politica, quella bassa appunto. Ci siamo completamente dimenticati che uno Stato si fonda sul diritto, che una grande comunità repubblicana e democratica di questa epoca deve avere un tessuto culturale maturo di laicità e diritti civili, di principi sociali e di sostenibilità economica.
Le lezioni di Stefano Rodotà avrebbero elevato, almeno un po’, il livello di tutti.

Ma ci vuole la volontà. Che è coscienza, individuale e collettiva. E, ovviamente, onestà. Adesso tocca ai cittadini decidere se dimostrare di essere più onesti e forti della bassa politica.
Attivate tutti la memoria, non abbassate la guardia, reclamate la vostra cittadinanza. Questo mi sento di dire ai cittadini di sinistra.
Per i nuovi parlamentari del PD non ho altro da aggiungere se tacciono.

sabato 20 aprile 2013

Pierluigi Bersani, devi dire la verità


Il PD fondamentalmente non è abbastanza di sinistra e, soprattutto, non è abbastanza “fuori casta” (uso questa espressione per semplificare e tu capisci) per volere una SVOLTA per il nostro Paese. Ha voglia e bisogno di restare nel vecchio sistema e di allearsi con il PDL.
La parte nuova e minoritaria che vorrebbe Rodotà Presidente della Repubblica consegnerebbe finalmente il PD a un percorso di “rivoluzione” civile e laica che, ovviamente, spazzerebbe via tutto quello che ha distrutto il Paese e il popolo italiano. Ecco, il problema è questo. Andavi dicendo <mai con il PDL> ma credevi forse che Berlusconi ti avrebbe aiutato ciecamente pur di salvare il carrozzone della vecchia politica? Davvero l’hai pensato? Se mai potessi dimostrare questo ti prenderebbero per scemo. Non per ingenuo, per scemo.
Facciamoci passare per la testa un’idea. Che appoggiare Rodotà e il Movimento a 5 Stelle sarebbe costato troppo al PD che, a quel punto, ti ha chiesto di fare cose talmente ignobili o incomprensibili da generare il caos e poter fare l’inciucio con il PDL dando la colpa alla tua bassezza e inettitudine. Insomma ti sei sacrificato per la causa? Ma se mai potessi dimostrare questo ti prenderebbero comunque per scemo.
Volevi fare la Storia di questo Paese? Dovevi sostenere e votare, tu personalmente, Stefano Rodotà e smascherare quindi il PD che voleva rimanere con il PDL. Non saresti più stato il leader del PD ma il leader dei cittadini.
Se non l’hai fatto, caro Bersani, forse è semplicemente perché in politichese <mai con il PDL> vuol dire mai alla luce del sole e sempre nel buio.
Sappi che il tempo dei cittadini verrà. E allora non ci sarà sistema che possa ancora fare male. Se comunque hai un rospo in corpo tiralo fuori. ORA O MAI PIU’.

mercoledì 17 aprile 2013

Bersani, Rodotà può salvarti la vita


A mio modestissimo parere hai sognato, forse ancora sogni, un posto nella Storia dell’Italia. Che tu abbia meriti o qualità per un simile desiderio è questione che voglio lasciare alla tua coscienza e ai giudizi altrui, mi chiamo fuori, sono qui a permettermi da cittadina un ruolo “amichevole”. Come un suggeritore che, in piena libertà di pensiero, prova a dare il consiglio che crede giusto.
Le possibilità per la scelta di chi salirà al Colle sono sostanzialmente due: un Presidente gradito al PDL o un Presidente gradito al M5S. Le considerazioni che girano intorno alla figura “giusta”, la competenza e l’autorevolezza, sono sicuramente importanti, lo capiamo tutti. Ma non è su quelle che si incaglia il grande voto e, visto che ciascuno di noi riceve in dotazione un cervello alla nascita, i rappresentanti del popolo dovrebbero avere il buon gusto di non tirarle in ballo a sproposito ovvero solo illudendosi di infinocchiare tutti.
Facciamo un nome: Stefano Rodotà. Se deve inventarsi che non è abbastanza
“internazionale”, il PD è proprio alla frutta. Si consegnerà, per sempre, a Berlusconi e al berlusconismo. Con questo troverai sicuramente posto in una pagina che finirà nei libri di storia, lascio a te capire se brutta o bella, ma sparirai.
Se invece lo voterai, con entusiasmo e convinzione, lancerai un grande segnale. Non a Grillo, a noi. Al Colle ci sarebbe qualcuno che potrebbe ridarci il senso delle istituzioni e della democrazia, la voglia di credere ancora nell’Italia. Più che guadagnare una pagina nei libri, la scriverai e proseguirai il cammino.
Non è una decisione tanto difficile. Ci vuole competenza e autorevolezza, proprio come per il Colle: capacità di sentire il polso del Paese, coraggio, fiuto politico, statura da statista (o quasi). Considerando che ti ritenevi e ti ritieni all’altezza del ruolo di Presidente del Consiglio dei Ministri in uno dei momenti più delicati della Repubblica direi che queste doti devi averle.
Ci conto. Fallo per noi e per te. Realizza il tuo sogno. Dai il tuo piccolo contributo alla Storia: un primo cenno per la rinascita morale e culturale del Paese.  
Tre note:
  • scrivendoti di getto e con il cuore appeso al filo delle tue determinazioni, è stato immediato il tu, spero non ti infastidisca;
  • ho fatto il nome di Stefano Rodotà perché è uno di quelli che dovrebbero essere approvati dal PD per acclamazione, avrei preferito farne altri e lo sai (o dovresti saperlo);
  • questo è anche un appello, per favore, se proprio non vuoi farlo per te fallo per noi!

martedì 16 aprile 2013

Primo MANIFESTO PER DONNE FIGHE


Care amiche, non siete troppo grasse, troppo magre, troppo basse, troppo alte. Non avete il seno troppo voluminoso, troppo piccolo, troppo floscio. Non vi fanno difetto la caviglia troppo grossa o le braccia troppo muscolose.
Siete semplicemente troppo preoccupate. Preoccupate di fare brutta figura con la vita. Tanto preoccupate da perdere di vista la legge d’oro del tempo. Ogni minuto schiacciato sotto l’ansia o impigliato nel disagio è sottratto a possibilità migliori. In fondo lo sapete, non siete troppo sciocche.
Peraltro è inutile che vi racconti quanto vi capisco. E in verità temo pure di dover sorvolare sulla storia della saggezza che viene con gli anni, fareste spallucce. Allora posso solo scrivere un promemoria: non dimenticate la legge d’oro del tempo.
Questo è il primo MANIFESTO PER DONNE FIGHE. Per utilità, o per diletto, potranno seguirne altri. Leggere le istruzioni è consigliabile, seguirle è rigorosamente facoltativo. Anche perché, è bene chiarirlo, in materia sono un disastro. Confesso che assumerò la medicina con voi, cavie alla pari.
FIGHE non si nasce, si diventa. Questione di spirito. Se non è innato bisogna lavorarci su ma i risultati sono quasi assicurati. Occorre presentarsi già alla sfida del mattino allo specchio con occhio da figa e bocca aperta in esclamazione di gioia, stupore, ammirazione. Se ciccia, spigoli, occhiaie o capelli crespi remano contro bisogna fare esercizio di risata, insomma sbrodolarsi addosso il suono argentino della disarmante simpatia. Se ancora non dovesse bastare a fugare ogni dubbio sull’appeal da figa è necessario osare, infilarsi nell’abito che piace oltre ogni ragione e giocare con qualche trucco senza maquillage ovvero scoprire audacemente le virtù caratteriali più lodate. Per qualcuna sarà il romanticismo, per altre il piglio carismatico, per altre ancora la prestanza atletica. E via, in strada, a far svolazzare le grazie.
D’accordo, non sono riuscita a convincervi. Considerando che non vi inviterei mai, amiche mie, a considerarvi fighe “per paragone” cioè consolandovi della bruttezza altrui (la mia o di chiunque), vi propongo allora un cammino più sano e divertente: l’affermazione della diversità,  anzi del vostro tratto esclusivo, no meglio della coscienza esaltante.
Non è una roba tipo “tirarsela”, naturalmente, che quella è posa di chi nasce boriosa e a
noi proprio non calza. E’ un profilo nobile e sereno di consapevolezza briosa di sé. Non prendetela per rassegnazione, per carità. Se mai visione positiva, dignità gioconda. Solo perché siete così imperfette ai vostri occhi siete riconoscibili a quelli del mondo.
Ho capito, è ottimismo non contagioso. Devo escogitare percorsi più allettanti per persuadervi a calarvi nei panni delle fighe. Bene, chiudete gli occhi e immaginatevi esattamente come vorreste essere, più grasse, più magre, più basse, più alte, poi sparatevi una serie di domande e state in ascolto delle risposte.
Se con la bellezza delle vostre fantasie la vostra anima rimarrebbe identica siete indiscutibilmente FIGHE. Se con quella invece ingarbugliereste la legge d’oro del tempo con odiosi preziosismi siete assolutamente pregate di riaprire gli occhi al volo e, fighe o non fighe, a tirare avanti per risparmiare all’umanità un altro orpello insopportabile.
Insomma in entrambi i casi vi sarete convinte a far pace con le vostre smanie. E a quel punto, per magia, scegliereste di giocare a incoronarvi fighe per riappropriarvi in un balzo del pieno rispetto della legge d’oro del tempo.
Avverto che siete ancora decisamente scettiche, state per bollare queste righe come assurde, vane, stupide o giù di lì. Però io, vi sia ben chiaro, non getto la spugna. Prima o poi ce la faremo, lo prometto: tutte libere e fighe, dentro e…per riflesso incontenibile, anche fuori.
Medito il prossimo MANIFESTO.

L’accompagnatore


L’annuncio del destino è lì, in una pallottola di carta sulla scrivania disordinata. Forse non era finita nel cestino per lasciare traccia o magari sei corsa via e hai lasciato tutto alla rinfusa. Con zelo che la fortuna ha voluto maniacale lui l’ha spiegato e letto.
L’accompagnatore buttava un amo selvaggio e romantico in parti uguali, perfetto in ogni respiro per la tua anima inquieta, avevi sicuramente abboccato. Chissà come ti tremavano le mani quando hai fatto quel numero e ti sei schiarita la voce per ingoiare l’imbarazzo. Sicuramente hai srotolato le parole con furia perché dovevi fare in fretta, prima che l’impulso della disperazione si chetasse. Avevi bisogno di andare subito fino in fondo, di toglierti di dosso quell’angoscia maledetta.
Timida e inibita, così ti diceva. Troppo per scaldare il letto di pulsioni voraci. A lui della tua tenerezza d’amore non importava affatto, voleva un bruciore osceno che non ti apparteneva. Devi aver pensato che potevi imparare tra altre braccia di un altro a essere la donna di quel consumo senza cuore. Devi aver sperato di farcela, a allenare il corpo a godere senza occhi incantati. Volevi farlo per tornare da lui e, finalmente, essere desiderio delle sue mani, della sua bocca, del suo sguardo.
Il tuo cellulare è spento e lo rimarrà per sempre. Cosa sia accaduto al fatale appuntamento è un orribile macigno sulla sua coscienza stordita. Dovevi semplicemente lasciarlo, smetterla di inseguire un sogno impossibile, prova miserabilmente a pensare per nascondersi dietro la colpa della tua fragilità. Ma è solo un attimo, poi l’annuncio del destino si scaglia anche contro di lui sbattendogli in faccia una verità insopportabile. Se avesse coraggio sceglierebbe di seguirti. La viltà, più crudele, lo condanna a un’agonia che assomiglia molto alla tua.

venerdì 12 aprile 2013

Strada facendo


Siamo diventati grandi insieme, io e te, come Claudio Baglioni con i suoi occhi scuri. Ne
abbiamo fatti di passi, mano nella mano, magari urlando a qualcosa o a qualcuno perché ci riconoscesse, accidenti, perché facesse quattro conti e ci saldasse il debito.
Qualche volta invece abbracciandoci forte per non piangere. Magari appiccicandoci sulla bocca un sorriso per nascondere la tristezza.
Poi d’un tratto ho iniziato a non capire più il tuo respiro. O forse sei tu che ti sei allontanata. Non so come è andata davvero, non ricordo come abbiamo cominciato a vederci diverse, fatto sta che la corda si è rotta. Ci siamo pure messe a farci il nodo, perché buttarsi tutto alle spalle a volte sembra impossibile, insomma non volevamo dirci proprio addio.
A me faceva un po’ paura, lo ammetto. Con tutti quelli intorno che ci fingono sopra, non sapevo più da che parte eri. Diventavi sbruffona sulle facce dell’ipocrisia.  D’altra parte pareva che anch’io non ti piacessi più. Che io del rispetto ero l’amante migliore ma far passare tutto non lo digerivo proprio, non era quella lì la nostra giustizia. Non si chiama neanche bontà. Che quando sai dove è bene andare quelli che piazzano ostacoli o vogliono svicolare li prendi pure a pugni.
C’è voluto che si sciogliesse il nodo a forza di strattoni, che ruzzolassimo a terra per correrci di nuovo incontro. Siamo tornate a camminare a fianco, belle toste, che le mollezze fatue e le atroci convenienze a noi fanno venire l’orticaria. Stupidi e furbi, prima o poi, se ne faranno una ragione: tu sei la tolleranza, quella autentica. Tutto il resto è una manfrina che un giorno troverà il modo di prenderli a calci.

Grazie gabbiano Jonathan Livingston


Caro gabbiano Jonathan, ho scritto talmente tante volte di te che ai lettori può scappare di credere voglia candidarmi a tua biografa ufficiale. Tu ed io su questo abbiamo sorriso, spesso e molto. Tu sai la verità, sei con me da più di trenta lunghissimi anni e se posso sognare di volare lo devo a te, ecco.
Quando sono arrivata a mille ho smesso di contare i libri, li leggo e basta. Se mi chiedono le tre o cinque o dieci letture “preferite” mi viene la paralisi della lingua e delle mani. Un po’ perché i titoli mandano la mia memoria in corto circuito e le dimenticanze farebbero torto a me e a qualche capolavoro. Un po’ perché sono proprio terrorizzata da queste classifiche. Penso sempre che la risposta sia condizionata dal momento emotivo e così qualsiasi scelta offende la vita che ho ricevuto, pagina dopo pagina. Nella mia testa ci sono eccome, è naturale, i libri che hanno dato di più alla mia pasta, ma non li svelerò mai.
Tu però, Jonathan, conosci il tuo posto. Non è in una lista. E’ semplicemente nel cuore.
Non è perché sei un vero cult della “fiaba morale”, questo se mai è stato bello per l’amato Richard Bach. Tu eri lì prima ancora di essere scritto perché il destino ci ha riservato una fatica speciale.
La tua infinita pazienza è ancora qui, accanto a me. Sono certa che non smetterai mai di provarci, lo vedo nei tuoi occhi, anche se sono un’allieva maldestra a te importa solo che io abbia il tuo stesso desiderio. Le tue lezioni, che più o meno mi hanno fatto accumulare 300.000 ore di volo, sono la gioia con la quale ho sempre cercato di respirare.
Roba grossa, diciamolo. D’altra parte ti ho intercettato proprio perché eri sulla mia traiettoria sghimbescia, con le piume arruffate tentavi di aggirare il vento che viaggiava opposto.
Non ci sarà stanchezza o vecchiaia con te, gabbiano Jonathan. Forse sai anche che non guadagnerò mai il tuo cielo ma non mi abbandonerai e farai in modo che io muoia con il sogno stretto al petto e stampato sul viso. Nonostante tutto. E sai bene cosa intendo.
E’ già straordinario che il racconto breve che ha raccolto la tua storia e ti ha fatto diventare un simbolo sia per ogni anima avventura o libertà. Se poi intuissero cosa significa per noi, per te e per me, avrebbero la pelle d’oca perenne.
E’ il nostro segreto. Che anche se continuerà a procurarci dolore significa sempre e comunque “spirito dell’aria”. Vedi, ho usato il nostro codice, come vuoi tu. Perché la verità l’ho intesa benissimo, grande Maestro Jonathan.
Grazie amico mio, gabbiano Jonathan Livingston, per sempre.
Seguitiamo a istruirci sull’amore, come ci ha raccomandato Ciang.

giovedì 11 aprile 2013

Regina di cuori


Abita lì, sotto quel tetto di tegole che nessuna mano si cura più di sistemare, nella casa larga e bassa con due finestrelle per facciata, come occhi affacciati su un pezzo di terra incolta che una vecchia staccionata tiene raccolta con un decoro stanco.
Una volta c’erano le ortensie, così tante che ne raccoglieva sempre per il centrotavola, quello del salotto che accoglieva gli amici. Erano tutti amici, per lei.
In un mazzo di carte sarebbe stata la regina di cuori. Come Bocca di Rosa, lo faceva per passione. Le bastava quel poco per vivere e tenere linda la
George Luks, Old woman
casa, rinfrescare i colori, tenere il giardino. E amare quel tetto come un gioiello, che il padre prima di morire le aveva raccomandato di tenere la casa in salute.
Chissà se qualche amico entra ancora, a sedersi con lei sul divano rosso che le aveva regalato la sua vicina quando ha traslocato. Chissà se aspetta qualcuno che le porti delle ortensie. A me piacerebbe bussare alla sua porta. Anzi, voglio farlo, prima che il suo tetto diventi un cielo di stelle.

mercoledì 10 aprile 2013

L'uomo alcolico


Memoria d’uomo non sa dire chi coniò l’espressione. Ma non vi è dubbio che fu un genio. Tutto, in Fred, parla di quella linfa e solo la sua voce, fiera e romantica insieme, sa scatenare il brindisi collettivo. Che non è il preludio di una sbronza ma l’applauso a scena aperta.
Lui non è l’uomo alcolizzato, è l’uomo alcolico. Nulla di affine, ben lo sapete. E lui non ama sbrodolare differenze, giammai. Deve essere chiaro a tutti, a prima vista.
L’uomo alcolico non barcolla e non impugna ubriaco il volante. Beve con il gusto in estasi. E ha la favella fluida e sicura al punto giusto. In natura, dice Fred.
Non evapora. E’ lì sempre in fascinosa padronanza della propria semplicità dura e pura. Senza vezzi improvvisati, senza borie irritanti, senza sfide da urlare. In quiete calda. Che non è mai insulsa presenza ma tratto essenziale, asciutto fino al più estremo dei baluardi di genuinità.
Fred è Fred. Con quel portamento dello spirito che lo colloca sul podio senza muoversi a raggiungerlo. Come un campione per destino.
Che Fred non lo riesci proprio ad immaginare sul bancone faccia a faccia con un chupito da tracannare. Fred lo disegneresti in assorta contemplazione di un vecchio rum da intenditore quasi scontento di portarlo alla bocca.
E mentre pensi questo con il cuore commosso da quel portento di virtù non puoi
focalizzarlo con lo sguardo lì, tra scomposti aliti di bicchieri consumati di frenesia e stordimento. No, non può essere Fred. Neanche se Fred ti chiamasse con la lingua impastata di eccessi ci crederesti. Chi si è travestito da Fred?, ti interroghi con il cuore che sbraita rabbia e disgusto.
Fred invece vorrebbe essere riconosciuto. Vorrebbe che lo spingessi fuori. Vorrebbe che tu lo picchiassi come fa un amico. Non vuole più saperne di applausi. Vuole mani che lo tocchino, sorrisi che gli arrivino dentro. E vuole indietro l’amore che l’ha tradito con un uomo alcolizzato. Che è nulla di affine, lo sapete.

lunedì 8 aprile 2013

Di ago e filo


Io che ho ricamato molto, ci penso. Alle mani che increspano il filo, a ogni screpolatura che fa attrito nella trama del lavoro.
Ma le sue dita fanno correre l’ago senza il pensiero di un disagio, è qualcosa che ha accompagnato tutta la sua vita e che ripete come se non ci potesse essere nulla a cambiare le cose. Mi chiedo cosa sia stato, al principio. Passione o destino? Ma ora che, comunque, ha l’aria di essere quello che sa e deve fare, trovo sorprendente l’abile pazienza con la quale non sbava un punto, senza lamento. Come se la pelle e l'età non potessero reclamare.
Non c’è dolore o intoppo che tenga, l’arte e la fatica non si rinnegano. Lo ha imparato quando era ancora bambina, forse.

sabato 6 aprile 2013

Dal buco della serratura


Il guardone appoggia l’occhio per intrufolarsi negli amplessi, smania forte come la passione che vuole annusare, e affina la vista con la fantasia. Già, nel gesto proibito c’è il prurito già eccitato. E se non basta quello che intravede tira fuori dalla mente il pizzico torbido che insaporisce il piacere.
Ma lì ci puoi vedere tutto, magari un angolo di mondo. E c’è un barlume di amore pure nella curiosità, quella del nostro sguardo a caccia di vita.
La signora Lia cercava nella disadorna realtà di un’immagine sfocata le tracce di una storia. Perché ogni cosa, lì, narrava di albe e tramonti, di gesti piccoli e di miserie grandi nel fagotto del tempo. Non guardava per violare, lei voleva raccogliere ogni cosa nello sguardo perché non morisse senza memoria.
Ogni piccolo dettaglio era un tassello, nel sospiro della commozione. Io tenevo la mano
sulla sua spalla, volevo che sentisse che la capivo e che la sua tenerezza mi arrivava dritta al cuore come un abbraccio. Con le sue parole rotte entravo, in punta di piedi, nel passato.
Poi ci ha preso l’aria allegra del gioco, a intuire tra le forme l’uso, a calarci dentro una dimensione scivolata via. Con i pensieri così liberi da non poterli più fermare le risate si sono messe a sfidare serrature su serrature. Di buco in buco, a spasso tra puntini di sospensione.

venerdì 5 aprile 2013

Fare bene il proprio lavoro


Qualche anno fa sentii Roberto Saviano affermare che è rivoluzionario e può salvare il Paese fare bene il proprio lavoro. Trovai il concetto intelligente e ne condivisi lo spirito. Ammetto però che solo oggi ne colgo pienamente, oltre alla saggezza, la forza rivoluzionaria.
Quando scrivo del piacere e del valore della “fatica” alludo esattamente alla fierezza del dovere e del rispetto e alla serenità che ne deriva, in termini individuali e collettivi. Ma, appunto, non ne avrei colto la portata rivoluzionaria se non mi fossi applicata con buona volontà nell’osservazione dei nostri tempi. Tempi di deriva.
La corruzione morale generale, dice la signora Lia, ha partorito i “macro problemi” nei quali, peraltro, proseguiamo a infiacchirci con una presuntuosa pigrizia.
Guardandomi intorno, per strada, negli uffici, al ristorante, in un negozio, vedo la disastrosa realtà di uomini e donne che arronzano, sbuffano, trascurano.
D’altra parte nel Paese della furbizia, la scorciatoia e la disonestà regnano sovrani. Ormai non tendiamo “al massimo”, giochiamo sempre al risparmio di energie e qualità. Abbiamo addirittura il terrore di passare per fessi se facciamo più o meglio di altri. Tutto funziona in termini di paragoni scabrosi e non di modelli positivi. Senza alcun orgoglio di risultato autentico.
Il merito è una spina nel fianco, è vero. Evaporata la fiducia nella giustizia, la delusione e la rabbia sono feroci. Però se restiamo adagiati su questa infelice resa non vedremo mai splendidi orizzonti. Francamente, considerando la severità che riservo a me stessa, non vorrei dover essere il mio giudice! Insomma, è questione di coscienza. Non posso sottrarmi alla rivoluzione, mi punirei con crudeltà ineguagliabile.
Voglio fare bene il mio lavoro, voglio impegnarmi ogni minuto, ogni giorno perché la mia testa e le mie mani siano concentrate e dignitose. D’altra parte, credetemi, trovo eccitante la dedizione. Forse mi inebria la soddisfazione, d’accordo. Ma a farmi godere è anche la percezione di pace con me e con il mondo.
Questa è appunto la grande rivoluzione possibile: fare bene il proprio lavoro è giovamento contagioso, si diffonde e ricade su tutti. Evviva, confermato che sono una rivoluzionaria, mi sento davvero in forma.

giovedì 4 aprile 2013

A buon intenditore poche parole


“Vai con chi è meglio di te e lustragli anche le scarpe”, me lo diceva sempre, mia nonna.
Buon senso a doppia valenza: è preferibile chinare il capo dinanzi alla grande qualità di
qualcuno che andare a testa alta sotto qualche ciuccio e, d’altra parte, non vi deve essere insofferenza verso le altrui virtù ma rispetto o addirittura ammirazione.
Tu non hai avuto la mia nonna, è evidente. Ma c’è la nonna di tutti se vuoi davvero capire, la vita.
Guarda la luna. Se vuoi arrivare lassù è bene tu faccia il viaggio con un astronauta invece di ostinarti a fissare il tuo dito che, superbo, la punta.
Annullare le tue velleità ti porterà al successo. Condividere!: non esistono alternative se davvero ci tieni, alla luna. E, attenzione al tuo pasticcio mentale, l’astronauta conosce il mestiere e la rotta, non metterti a fare il navigatore a lui, impegnati se mai a fare quello che compete a te.
Ecco, questo è il secondo problema. Tu non sai cosa davvero compete a te, qualcosa che è essenziale per compiere davvero la missione. L’astronauta potrebbe spiegartelo.
Allora, cosa decidi?
L’astronauta aspetta un incarico adesso: certo e formale. Domani, non più tardi di domani. Che la notte ti porti consiglio.
(Sette giorni di silenzio indecente)

Pazzi per i pois


(Premetto che pazzi per i pois è un titolo intercettato, non potrebbe mai essere farina del mio sacco, è una pugnalata l’accostamento della “pazzia” alla frivolezza dei capricci).

Non me ne vogliano gli stilisti ma le campagne che fanno “impazzire” dalle smanie d’acquisto stanno al periodo esattamente come le macchie al giaguaro. Bucce di banana o rebus, ecco. Chi è in crisi economica profonda non se la fila proprio roba del genere, è chiaro. Ma pure gli altri, per quanto stiano ancora a galla, di star lì a pensare a quale abitino indossare durante la resistenza o in caso di acque turbolente, direi non hanno grande voglia.
Attenzione, direte. Dobbiamo pure tenere in piedi la moda altrimenti sono cavoli amari per chi ci lavora. D’accordo. Se produciamo noi e guadagniamo noi, ci sto e mi metto a fare promozione, davvero! Verso il mercato che può, ovviamente. Perché qui un po’ di urgenza di realtà dovremmo avercela tutti, ai piedi. Non è proprio momento di spalmare occhiolini di seduzione a tutti, suvvia, basta. Ci hanno già rimbecillito abbastanza, ora se riprendiamo qualche contatto con la lucidità non guasta, anzi. Indosserò tutta la tinta unita che ho nel guardaroba, non per fare anticonformismo di tendenza, per necessità e buon senso. Se l’armadio abbondasse di righe o fiori farei la passerella con loro, certamente.
Quanto ai pois che finiscano pure sui corpi ricchi, insomma. Ovvero quelli che hanno il dovere di mantenerlo, questo sistema di forzature estetiche ad oltranza, per questione di quattrini e di effimeri svolazzi mentali.
Non dovrei sprecare energie a scriverne? Può darsi ma il fastidio che mi procura questo dubbio è fonte preziosa di carica. Sul sentiero del fascino anche una certa irritazione affina gli strumenti per mettere le ali a un provvidenziale distacco…
Di stelle è piena anche la notte più buia.

mercoledì 3 aprile 2013

Il ghostwriter tra carta e web


Novara o il centro esatto del mondo, poco importa. Il ghostwriter viaggia e vive nel luogo mentale dell’autore o meglio in quello della sua storia. Che scriva un romanzo, faccia il ghostblogger o produca testi per il web, il ghost è senza fissa dimora. Dimensione peraltro perfetta per un ghost. Puro spirito che produce parole, studia, raccoglie, narra. E, naturalmente, sta incollato alla tastiera.
Qualche volta, come me, fa pure qualche comparsa, lancia segnali di fumo. Non è solo per battere un colpo di presenza e attrarre “clienti”, è anche elaborazione delle esperienze. Insomma digita qualche riflessione sul proprio lavoro, per diletto o per turbamento…
Talvolta, alle prese con gli elementi sottotestuali e il pubblico di riferimento, mi piace
una sosta di sorrisi e respiri mentre lascio fluire tra i pensieri di scrittura i grandi richiami di fondo e le sfumature evocative del giusto paesaggio emotivo.
Magari oggi è pure l’ebbrezza della sfida. Sono in uno di quei contesti di comunicazione che sparano addosso una raffica di fuochi d’artificio!
Non è come quella volta che dovevo essere la bottiglia per un naufrago e neanche come quando ho fatto la freccia di un arco. E’ un’altra pagina, questa volta sono un aquilone, che scappa dalle mani e fa piroette nel cielo.

martedì 2 aprile 2013

Antirughe effetto lifting


Hai sbagliato pagina, probabilmente. Capiti qui perché cerchi l’elisir di bellezza, il trattamento estetico anti-age, l’unguento che dona la pelle di venti primavere e invece ti trovi nella dimensione irrimediabilmente sospesa tra realtà e racconto, in vagabondaggio nella landa quieta e assolata della vecchiaia perfetta.
Torna a google, cambia strada, infilati nella cosmesi posticcia. Che io mi inchino all’arte effimera di curare l’aspetto per effimera vanità ma non ne vado fiera e non ne ho cognizione miracolosa da spalmare sul viso, mio e d’altri. E, se mai, mi diletto invece a cercare con grazia accondiscendenza serena alla vita che ruzzola negli anni.
Perché di questo si tratta. Di una verità che si compie, in ore, mesi, decenni che volano. Che al massimo possiamo godere ma non fermare. Che sta sempre avanti a noi, l’istante stesso del respiro è già passato si sa.
Osservo. E mi emoziona la beatitudine o la saggezza di certe rughe. Se non sono accigliate sotto il fardello dei mali, se non portano ancora l’ansia delle pene, si distendono senza creme nella vecchiaia perfetta. Li vorrei tutti così, i nonni del mondo. Non curvi di dolore e liberi dall’angoscia quotidiana accidenti. Il sogno grande è questo qui. Una terra di uomini e donne ai quali il cielo possa regalare almeno un decennio di vecchiaia perfetta. Sarebbe un patrimonio inestimabile per l’umanità.  
Avrebbero le mani piene di sapienza e gli occhi carichi di conoscenze, tutta roba che il
Rosanna Arena, Il saggio
loro cuore ci elargirebbe in cambio di niente. Sarebbero lezioni di pazienza e esempi di buon senso, merce rara che non sta in nessun carrello della spesa.
Ma, badate bene, li vorrei uomini e donne della nostra linfa. Non Grandi Vecchi ingialliti o ingrigiti da una vita alta e altra. Non facce di bronzo imbellettate, appunto. Vorrei materia viva e densa di dignità. Per le strade, tra la gente…ecco, li vorrei senza pompose patacche e con la sola esistenza a parlar per loro. Di quelli che incanterebbero di freschezza morale anche il giovanetto più scapestrato.
Osservo. Non sono estinti, davvero, ci sono. Pochi ma buoni. Che se aspettiamo troppo però finisce che li perdiamo. E mi sa che non ne verranno molti, dopo. Perché noi ho paura che invecchieremo in modo imperfetto, con troppo trucco dentro e fuori per avere qualcosa di meraviglioso da spandere intorno.
I vecchi belli, a lifting naturale, non sgomitano per farsi notare. Dobbiamo vederli noi.

lunedì 1 aprile 2013

Ciao, amici stambecchi



Sono loro gli abitanti più famosi della Valle Antrona, una delle splendide valli della nostra Ossola. Conosciuti in tutto il mondo e ammirati da una incalcolabile schiera di fan gli stambecchi arrampicatori sono gli acrobati della diga del Cingino, a più di 2200 mt. di altitudine.
Molto più agilmente dei più esperti rocciatori gli stambecchi della Valle Antrona danno spettacolo per ore nella loro meravigliosa scalata verticale stando aggrappati a leccare il sale del quale sono generose le rocce, passeggiando, sostando come star ai click dei visitatori.
I paesaggi, i borghi, gli alpeggi, il folklore accolgono in Valle Antrona con le consuete tortuose strade dell’Ossola lungo un susseguirsi di sussulti e meraviglie. Poi con diverse ore di buon cammino si raggiungono la diga e gli stambecchi.
Non bastava allargare il sorriso per tante pose buffe. Tenere il fiato sospeso per loro e con loro. Ammirare con eccitazione l’eleganza e la maestria. Arrivavano le lacrime, per quella chimica della gioia che strapazza il cuore e ti fa sentire quanto è bello essere lì.
Mi piaceva, allora, sedermi in silenzio e lasciare che il viso si bagnasse.
Mi sentivo un po’ Heidi con le caprette ma ero io a salutare gli amici stambecchi con la mano, quasi a ringraziarli, ad augurare loro buona vita, a fargli ricordare che li amavo. E che, un po’, avevo capito la lezione. Quella loro, della natura e della vita.