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martedì 25 marzo 2014

Giuseppe Cirigliano il professore

Ama la filosofia, insegna lettere, professa l’arte della poesia e della musica, Giuseppe Cirigliano. O così mi piace ritrarlo, con i tasselli che possono comporsi e scomporsi e accomodarsi nello spazio e nel tempo in originali combinazioni.
Che forse è tutto scritto nel dna o nei pensieri che si sono intrufolati nei grandi e piccoli risvolti della vita, hanno baciato rime e camminato con le note. E un po’ nei fatali incontri, quelli che ha respirato e abbracciato con passione.
Già, Giuseppe Cirigliano è un personaggio per vocazione e applicazione. Perché la materia maneggiata bene fa meraviglie, concede grazie, compie percorsi. Dalle fondamenta, mattone dopo mattone, puoi sfiorare il cielo.
Capita così che lo trovi in cattedra, sul web a dilettare con Montaigne, Rimbaud, Leopardi, Pierro, ad accarezzare Totò, Tenco, Guccini o su un palco a interpretare il ‘suo’ De Andrè. Magari pure di leggerlo in un curioso divertissement intellettuale come ‘Filosofia in versi’, un libricino che ha la forza di avvicinare chiunque a Platone, Aristotele, Socrate, Cartesio, Kant e a tanti altri protagonisti della filosofia occidentale.
E, badate bene, sono tutti gli ingredienti mescolati sapientemente a fare la ricetta Cirigliano ovvero un piatto di cultura, ironia e leggerezza. Nulla sta lì a caso e nulla sta dentro a forza, nei versi scivola tutto come acqua nel letto del fiume.
Un uomo ‘alternativo’ ma alternativo a cosa? Alla noncuranza, alla superficialità, alla seriosità, alla grettezza. Di piglio ma anche di dolcezza. Lo spirito si nutre di profondità e di romanticismo e i toni, acidi o melodici, svelano un ritmo intenso, suadente, originale. Così, nei passi e nelle parole di Giuseppe Cirigliano ci sono amore e studio, gusto e audacia. Ma anche l’instancabile cura delle sfumature. Tutta roba che non è così comune, bisogna dirlo. Soprattutto perché di sensibilità, umiltà, dedizione non è proprio pieno il mondo.
D’altra parte altro non poteva fare, altro non poteva essere. Lui, Giuseppe Cirigliano,
segue la sua stella. Con garbo e vivacità, due timbri che insieme sono già metà dell’opera. L’altra metà è quella di ogni riga, di ogni canzone, di ogni lezione.  E di un libro come ‘Il primo De Andrè’.
Che dirgli? Complimenti, è un piacere conoscerti!

Sulla mia cattiva strada, diceva De Andrè. La migliore, direi io. E tu ci sei.

venerdì 21 marzo 2014

Ciccio Accardo una chitarra per Rocco Papaleo

Lo associo alla voce di Rocco Papaleo, al suo teatro-canzone, alle sue performances live su e giù per l’Italia, a quella band che dal palcoscenico suona e narra.
Ciccio Accardo ha quasi la faccia della sua chitarra. Come quelli che la musica ce l’hanno nel cuore e si vede. Con gli occhi della sua calda terra e uno stile misurato, come se i colori e i ritmi fossero solo nelle note. Un po’ dolce un po’ compassato, a rispettare la scena e la melodia. O così mi è sempre parso. Nel sorriso aperto e nelle pieghe tese alla perfezione, in quel tocco accurato mosso con scioltezza e nel mazzo di sogni che intravedi nella sua testa.
Io l’ho ascoltato sempre con Rocco Papaleo e a teatro in Una piccola impresa meridionale bis con gli altri straordinari strumenti animati da Jerry Accardo, Guerino Rondolone e Arturo Valiante. E in qualche modo mi è arrivato come il tassello di un percorso e di un’impronta. Una chitarra che è parte di una storia, ecco.
Mi è piaciuta la spontaneità e quel vago, forse malinconico, silenzio che ogni tanto gli cala addosso. Oltre alla bravura, naturalmente. Che sa di passione e lavoro ma anche di una sferzata di cultura delle origini e di lieve magia.
Limpido e gradevole Ciccio Accardo. Lo immagino alle prese con i pensieri e le armonie, magari intento a formulare desideri o a sorridere dell’accordo giusto. In scena e nella vita. E mi auguro di poterlo sentire ancora e ancora.

Grazie, Ciccio Accardo, per il divertimento lieve e le emozioni.  

giovedì 20 marzo 2014

Non sono più giovane

Già. Arriva l’età che non ti ha ancora cambiato ma che agli altri suona adulta. Quella che magari si vede anche se non hai ancora archiviato l’aspetto della ‘giovinezza’.
Che poi è più o meno anagrafica, più o meno biologica, più o meno culturale.
Ed è quella sospesa, tra la tendenza suicida al rimpianto, ai rimorsi, ai bilanci e l’istinto alla giornata, alla vita che hai e che viene. Ogni tanto si infila dentro qualche sogno condito da buoni propositi quasi come dire che è il momento di stringere in mano qualcosa, di realizzare un desiderio, di togliersi uno sfizio, di tentare il non rinviabile. E qualche volta ti scappa di pensare che quello che non è stato è perso.
Ti accorgi che cambia la relazione con la speranza. E’ il tempo che preme, il futuro imminente, la consapevolezza che quello che ti auguri, se non capita oggi o domani, potrebbe essere decisamente in ritardo. D’altra parte però ti inventi pure un po’ di pazienza, è una finzione per non avvilirti. Hai capito che il destino o quello che puoi farne non hanno orizzonti lontanissimi ma devi prenderti un po’ in giro, lottare, progettare, fantasticare. Fortunatamente hai anche scoperto che delle volte la vita non ha calendari, carte d’identità e filtri. Fa di testa sua, sorprende, punisce, rallegra o intristisce secondo scalette fuori dal tuo controllo e allora la respiri e ci cammini dentro con qualche smania in meno.
Tutto si arrotola tutto si srotola. Vallo a comprendere, fino in fondo, il meccanismo. Altro che esperienza, altro che saggezza. Quella che accumuli è, se mai, una buona dose di ironia. Utilissima per darsi risposte argute o non darsene affatto e anche per dare un calmante alla mania delle domande. Che non addormenta l’intelletto e, anzi, fa i conti con una sensibilità alla quale sfugge niente ma che è consolatoria. L’ironia è l’unico passepartout della sopravvivenza, diciamolo. Diventa una compagna, allegra e affettuosa. Una pillola di benessere.

E poi ti accorgi che se hai conservato la dolcezza, se non sei scivolata nelle trappole acide della cattiva scontentezza che sprizza invidia da tutti i pori sei salva in barba a qualsiasi incontestabile quantità di candeline. Non sei più giovane, punto. Non potrai tornare indietro e, forse, invecchierai giorno dopo giorno con discreta rapidità. Te ne fai una ragione sentimentale per raccontarlo e parti alla ricerca di un po’ di indulgenza…Già, l’obiettivo che segue è perdonarsi mancanze, errori, occasioni tradite.
Sopra ogni cosa ricordare la lezione di Jep Gambardella: non puoi più perdere tempo a fare cose che non ti va di fare!

venerdì 14 marzo 2014

Italiani noiosi, arroganti e fessi

Siamo così, devo chiedere scusa per la realtà? Chiedo scusa ma non troppo, ecco.
Nord, sud, sud, nord. Noi del sud siamo bla bla, quelli del nord sono solo brutti e antipatici. Noi del nord siamo bla bla, quelli del sud sono solo brutti e antipatici.
Al nord sono zeppi di pregiudizi su quelli del sud. Al sud sono zeppi di pregiudizi sul quelli del nord. Il sud è arretrato perché il nord l’ha sfruttato. Il nord non avanza perché ha la zavorra del sud. Se non ci fossimo noi del sud sai che tragedia nazionale. Se non ci fossimo noi del nord sai che tragedia nazionale.
Basta!!! Le graziose interpretazioni di Benvenuti al sud e Benvenuti al nord non sono sufficienti ad archiviare la stupidità. Siamo cocciuti come muli, aridi come rape. Altro che popolo della cultura, del calore, dell’eccellenza. Siamo una manica di provinciali presuntuosi.
La diversità diventa un baratro invece di una vivace ricchezza. E quasi ne andiamo fieri, del baratro. Io sono del sud, io sono del nord. Mai io sono italiano. Una come me ci sperava. Che la crisi fosse un’occasione, finalmente, per compiere l’unità mai raggiunta, accidenti. Che la ‘modernità’ significasse apertura mentale, confronto, scambio. Che le differenti caratteristiche diventassero strade da esplorare, energie da mescolare, virtù da condividere. Macché. Siamo ridotti a un colabrodo prima ancora che economico umano.
Abbiamo un patrimonio di artisti che fa teatro, tv, musica, cinema che spesso viene ingabbiato dai fan che lo rivendicano come trofeo locale. Come se a un artista fosse utile e sensato tarpare le ali. Come se un cantante dovesse prestare le corde vocali e l’interpretazione solo alla sua regione. Come se un attore fosse bravo solo perché è nato al sud o al nord. Altro che generose, entusiasmanti, efficaci contaminazioni. E’ quasi più accettato che uno del nord o del sud vada a fare esperienze, esibizioni, ricerche in Australia, in America, in Giappone piuttosto che al sud o al nord Italia.
Ma che diavolo abbiamo in testa?
Basta!!! Voglio una ‘patria’ dove stare tutti insieme e far vedere al mondo intero quante straordinarie carte sappiamo giocare oppure preferisco non averne alcuna.

Cari amici del nord e del sud, del sud e del nord vi chiedo una cortesia: prima di straparlare da noiosi, arroganti e fessi collegate qualcosa che si chiama cervello e mettetevi anche una mano sul cuore. Secondo me, se ce la fate, prima o poi mi darete ragione. 

mercoledì 12 marzo 2014

Il pianista: Arturo Valiante

Una specie di tastiera ambulante, come l’autentico musico. Quello fatto di note, con la testa incessantemente a ritmo. Tutto teso al suono, Arturo Valiante. Con il sorriso che racconta di un amore e di un groviglio di pensieri. Con quelle mani nate per il pianoforte. E uno spirito così caldo che pure lo strumento ringrazia.
Questione di passione e bravura, certo. Ma anche di giocoso ghiribizzo, di infinita curiosità, di genuina ricerca, di tenera umiltà. Ingredienti che, shakerati, sognano e regalano melodie.  Dalla vita del jazz alla musica pop Arturo Valiante è il pianista degli slanci, delle delicatezze, delle avventure. Buono ovunque, nella sua carica umana e nel tocco sempre lucido e suadente. Gode. Si, Arturo Valiante, suonando raggiunge un piacere visibile, elettrico, contagioso.
Ed ecco quello che arriva a me, al pubblico. Un inchino al pentagramma e a tutto quello
che ci può viaggiare sopra. Un volo, dolce, brioso o serrato. Che poi la magia può stare nelle atmosfere che accompagna, sottolinea o introduce, su un palcoscenico che accoglie poesie e canzoni, tra le scene di un film, nelle combinazioni di un concerto.
Così Arturo Valiante si fa un po’ attore a teatro con Rocco Papaleo in Una piccola impresa meridionale bis insieme a Francesco Accardo, Jerry Accardo e Guerino Rondolone, veste l’abito da Maestro sul palco dell’Ariston al Festival di Sanremo, si destreggia sui tasti in studio con Paolo Mengoli, Giorgia, Pino Daniele, Michele Zarrillo e molti altri.
Le sue numerose partecipazioni discografiche, in rassegne musicali e nelle colonne sonore cinematografiche scrivono una carriera ma, soprattutto, un destino. L’unico possibile, credo, per Arturo Valiante pianista e frizzante ‘soffiatore’ di una preziosa diatonica. Il man, l’uomo delle emozioni al piano e del garbo ammaliante.
Bravo, molto bravo, Arturo Valiante. A insinuarsi sotto pelle e a comunicare l’assorto e vibrante rispetto per l’Arte. Questa è musica. Perché è interpretata e offerta con timida e commovente estasi. Perché è sempre vissuta con stupefacente armonia.
Chapeau!

p.s. un grazie speciale per i brividi e la simpatia.

We Are Happy

Grazie Pharrell Williams. Finalmente spopola qualcosa che non è solo un ‘tormentone’ contagioso, è pure un lieto e giocoso stimolo creativo. I video si moltiplicano, di città in città, con grande coinvolgimento di facce di ogni età. Che bellezza!
We are happy. Magari non è vero ma è un mantra buono da ripetere all’infinito per caricarsi di energia, per sprizzare speranza da tutti i pori. Ritmo e ballo sono medicine fantastiche per l’umore. Portati sulla strada sono anche una vitale scoperta di luoghi e colori, una sorta di book in movimento che regala qualche minuto di sorrisi. A me We are happy era giunta subito come una giornata di sole, adesso nelle rivisitazioni amatoriali mi piace ancora di più. Ci sono epidemie positive qualche volta…e ne abbiamo più che mai bisogno.
We are happy ovunque. A Parigi, Roma, Napoli, Milano, Torino, Bucarest, Tunisi. Una globalizzazione stuzzicante e rasserenante, bisogna proprio dirlo. Un trionfo di contentezza e un viaggio turistico. Cultura a portata d’orecchio e un’irresistibile fermento nel corpo. Evviva. Che ci salvi l’arte, in tutte le sue dimensioni ed espressioni!
)

lunedì 10 marzo 2014

Guerino Rondolone: basso e contrabbasso

Che a me già piace il suono delle parole prima ancora che gli strumenti siano all’opera: basso e contrabbasso. C’è dentro un po’ di tutto. E Guerino Rondolone lo sa talmente bene che ci gioca, fa sul serio, li governa e si lascia guidare.
Già, il musicista fa l’amore, con la musica. Strizza l’occhio all’accordo. Magari ai compagni del piano e delle percussioni, con la voce che canta, con una batteria, con il pubblico rapito. Guerino Rondolone, di basso e contrabbasso vive da diversi anni, qui e là, navigando tra i generi, in differenti contesti.
Lo trovi sul palcoscenico con Rocco Papaleo, Arturo Valiante, Francesco e Jerry Accardo, ad accompagnare il velluto jazz di Sandy Muller, nell’avventura musicale di Neri Marcorè, in festival e serate su e giù per lo Stivale e in tante collaborazioni di qualità: nel RafFerrari Quartet, con Diana Tejera, Alessandro Haber e molte esperienze trasversali. Magari a tinte rock o su fondi melodici.
Un ruvido morbido, Guerino Rondolone. Di quelli sui binari del pentagramma ovvero sulle scale artistiche. Che poi è bravura e passione ma anche un po’ filosofia. Un jazz mosso.

E d’altra parte io, che non sono un critico musicale, vado a orecchio e sensazioni, metto insieme i pezzi come dovessi comporre un puzzle, ci provo gusto a guardarlo e sentirlo. Forse pure per quel distacco lieve, per la presenza sui generis, perché mani e occhi fanno il paio simpaticamente. O perché nel panorama dei nomi gridati da qualche programma tv i musicisti che fanno musica come Guerino Rondolone ti consegnano umani e autentici momenti di piacere.

sabato 8 marzo 2014

8 marzo insieme

‘La vera rivoluzione sarebbe che le donne amassero le donne e si ricordassero di amare la vita. La vera rivoluzione sarebbe che gli uomini amassero gli uomini e si ricordassero di amare la vita. La vera rivoluzione sarebbe che le donne e gli uomini amassero le persone e si ricordassero quanti piccoli e grandi prodigi fanno insieme. Solo insieme’.
La signora Lia questa volta consegna un’insolita dolcezza.
Non che lei sia mai belligerante, cruda o irrimediabilmente scettica. Ma qui ci leggo un tocco proprio soave, seducente, persuasivo. E, se la conosco bene, credo intenda effettivamente servirsi delle sublimi maniere per esortare e convincere.
Mi ritrovo grezza. Io che di solito sono quella che arrotonda la sua saggezza schietta. Io che avrei scritto ‘la vera rivoluzione sarebbe ridere di una festa come se fosse la scena di un film, una cosa di fantasia, roba che nel mondo reale non ha posto e senso. La vera rivoluzione sarebbe chiedersi l’8 marzo che cosa? La vera rivoluzione sarebbe la pacifica libertà, il pacifico incontro, i pacifici destini. La vera rivoluzione sarebbe la festa della verità, della nudità, della dignità’.

Comunque la pensiate la signora Lia ed io auguriamo pace e abbracci, intelligenza e ironia, allegria e complicità alle donne e agli uomini. Soprattutto a quelle e a quelli che ne hanno più bisogno.

mercoledì 5 marzo 2014

Jerry Accardo: una statua musicale

Jerry Accardo lo trovate sul palco alle percussioni in Una piccola impresa meridionale, teatro-canzone di e con Rocco Papaleo insieme a Guerino Rondolone (al contrabbasso), Francesco Accardo (alla chitarra), Arturo Valiante (al pianoforte).
E lì un po’ lo respirate, l’artista di strada. Che coniuga il suono alle espressioni, che insegue un guizzo, che esprime un percorso di fantasia. Quello che come statua quasi convince e confonde. Plastico, suggestivo, perfetto. Con tutto il talento nel pensiero immobile.
Un po’ di calore, un po’ di colore e una verve lieve, di quelle che sussurrano con gli occhi. Magari nei panni del cowboy o, appunto, armeggiando con qualche insolito strumento.
Un percorso e forse un mazzo di sogni. Una specie di ventaglio della fantasia che si agita appena, alla ricerca di qualcosa che non è proprio a portata di mano. Il sorriso sciolto su un accenno di malinconia e le mani pronte al trucco, quello dell’attore in attesa di una parte.

Tutto qui o molto ancora da scrivere perché lui, Jerry Accardo, forse avrebbe molto da dire e da fare. E chissà quale strada, tra note, pose e parole, si profilerà all’orizzonte. Nei suoi desideri, nelle sue occasioni. Nell’emozione che potrà regalare.