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giovedì 28 maggio 2015

Antonio Pascuzzo è Pascouche

L’album Pascouche pare condensarne lo spirito, di Antonio Pascuzzo. Quello da chansonniere, da uomo passionale, da cittadino che fa pensieri di civiltà.
Li fa, nel senso che ci mette le mani dentro perché vive qui e ora, osserva i tempi, vuole esprimere opinioni, si ribella o insegue qualcosa.
Che poi, per carità, è un artista. Non è che deve spacciare ricette o formule magiche, tanto meno piacere a tutti o aver ragione su tutto. Però proprio per questo rischia, con coscienza, e ci mette faccia e voce.
D’altra parte l’arte è emozione ma è anche impegno sociale o almeno fotografia. Già, l’arte può cristallizzare momenti o situazioni. Talvolta svelare l’invisibile. Qualche volta consegnare una veduta alternativa.
Questione di sensibilità, dicono. Io approvo ma aggiungo questione pure di stile. La musica è un mezzo potente, universale. Abbraccia, scalda, perfora, rallegra, emoziona, turba. Quando viaggia con le parole può imboccare tante strade o sceglierne una. E’ lì forse che escono le impronte. Della personalità, del tocco, della direzione, della misura. Perfino della velocità. Già, il ritmo altroché se conta.
Pascouche affronta grandi temi, bisogna dirlo. E avanti che si può applaudire o dissentire. Non è mica questo il solo punto. C’è il valore di un lavoro, dietro. C’è lo spessore di una ricerca, dentro. C’è la forza delle armonie, in sottofondo.
Insomma Pascouche prende i sensi tutti, in quel surf di atmosfere e suoni.
Certo sfonda alcune porte per me spalancate ma è l’ultima delle mie riflessioni. Mica devo difendere le sue posizioni su questo o quello. Voglio però inebriarmi del fatto che le abbia espresse, giocandoci amabilmente con le note.
La libertà non è far trionfare quello che ci pare. La libertà è partecipazione, il signor G, Giorgio Gaber, docet. E’ occuparsi, della vita, delle idee, del Paese, della natura, dei sentimenti. E’ esserci. E’ avere la voglia e il coraggio di manifestare desideri, speranze, pensieri.
A me importa poco essere d’accordo. Interessano molto l’ispirazione, lo slancio, l’energia.
Abbiamo infinito bisogno di buona e bella musica. Ne abbiamo altrettanto di presenza. Fuori o dentro il coro, purché sia consapevole.
Comunque ascoltatelo Pascouche in quel formidabile manouche di Pascuzzo e soci. Roba che sa di jazz, taranta, calypso e genere da camera un po’ pop. Io, che non sono un critico musicale e me ne guardo bene da sparare concetti da esperti, ci sento storia, melodia, graffio, delicatezza.
A tutti i volumi.

giovedì 21 maggio 2015

Il bicchiere mezzo pieno

Ci sono persone che nascono dotate, di pensiero positivo.
Sono quelle peraltro che non lo perdono, mai. Pur avversate o affaticate dalla vita. Anzi, sono quelle che ne elargiscono un po’ anche agli altri: in sorrisi, generosità, presenza.
Sono uomini e donne dotate di senso dell’umorismo, pazienza, saggezza, umiltà. Godono delle piccole cose, non drammatizzano oltre il naturale, reagiscono con energia. Sono persone belle. Già, perché l’interiorità si dipinge pure sui volti, si spalma nei gesti, si distende nei passi.
Il guaio è per gli altri. Quelli del bicchiere mezzo vuoto. Perennemente insoddisfatti, cupi e pessimisti. Quelli che non si accontentano, mai. Sono uomini e donne parchi di entusiasmo, chiusi a riccio in elaborazioni complicate. Spesso vili, gretti, egoisti. Talvolta semplicemente fragili e tristi.
La speranza migliore che l’umanità possa coltivare è quella che si possa apprendere e abbracciare, il pensiero positivo. Che si possa combattere il cinico destino che ha dato natali alla sfiducia o al catastrofismo, insomma.
Ne avremmo da guadagnarci tutti, con il bicchiere mezzo pieno.
E non è certo questione di ingenuità o superficialità. Macché.

La vita è quella che è e, come le rose, non può nascere e morire senza spine. Però è del tutto inutile, per non dire gravemente dannoso e controproducente, sprofondare nel buio. Il sole qualche volta è lì, alto in cielo, sarebbe terribile non vederlo e anche smettere di credere che, prima o poi, possa fare capolino.

venerdì 8 maggio 2015

Amori (in)differenti

A me l’omofobia fa un po’ paura un po’ tristezza.
Là dove albergano ignoranza, presunzione, pochezza e quanto altro anima l’omofobo c’è ragione di orrore e terrore. D’altra parte il ‘modello’ cui l’omofobo è inchiodato insieme all’incapacità di apertura, sensibilità e leggerezza la dice lunga sulla penosa povertà umana e culturale. Ecco, insomma, che non può che far capolino anche una certa pietà.
Già. L’omofobo ha bisogno di convenzioni, concetti unti e bisunti, certezze sciocche e distinzioni. Sostanzialmente è un debole, un omologato, un conformista. Se mai si tratta di capire a cosa, è omologato e conforme. Ma non ci vuole molto, appunto. Non serve neanche scomodare fattori religiosi, bastano quelli sociali. Nella deriva della schiavitù mentale quello che non sa pensare e vivere liberamente nega la libertà altrui. Lo fa per cattiveria, per una fantomatica aderenza alla natura che gli hanno inculcato essere quella da seguire, per sfuggire alla tentazione, per sentirsi un duro con le carte in regola?
Chissà. Probabilmente sono tanti gli elementi malamente mescolati per produrre un machismo tanto bieco o una femminilità così spocchiosa e frivola. E comunque, ribadisco, c’è sotto un grosso problema. Chiamatelo come volete, disagio, rigidità, grettezza, resta un potente turbamento emotivo.
Riconoscono differenti gli amori omosessuali e le differenze, infatti, sono quelle che si valutano mettendo una cosa al confronto di un’altra. Ecco, è tutto qui. Non reggono il confronto con i loro termini di paragone.
Che, a dirla tutta, sono assai spesso purtroppo, quelli indifferenti. Non in senso buono, ovvero d’istinto, rivolti a chiunque, a prescindere dal sesso. In senso disastrosamente negativo. Lo sappiamo tutti che l’indifferenza regna sovrana negli amori incanalati, costretti al binario, tenuti in piedi con le stampelle, ciecamente votati come unici.
Chi si ostina disperatamente a smentire è disposto a tutto. Anche a soffrire in silenzio e a rimpiangere. Oppure a fingere e a tradire.

In definitiva mi mancherebbe davvero il coraggio, di prendere a legnate gli omofobi. Sono intellettualmente e spiritualmente infelici. Peggior condanna non c’è.

sabato 2 maggio 2015

Pensa

Sui ‘guerriglieri’ no Expo c’è chi fa dietrologia, chi condanna tout court, chi solidarizza, chi cade dal pero.
Francamente, al di là delle possibili congetture, mi sovviene il pensiero debole che c’è sempre dietro la violenza così mal indirizzata. Che insomma questi non hanno impallinato un politico o giù di lì, questi hanno fatto danni alla cieca per sollevare caos o per sfogare chissà cosa, chissà perché. E la tristezza è soprattutto in quel vuoto. Nel vuoto di chi non pensa. Autonomo o assoldato che sia, non pensa.
L’ideologia, per quanto si auspica comunque pacifica e civile, se sbotta prende la mira e si fa capire insomma. Questa getta più angoscia che attenzione. Peraltro insieme a tutto il proliferare di musi lunghi, commenti storti, entusiasmi sbiaditi, critiche bislacche e via dicendo ovvero tutta quella pletora di inutile e scivolosa scontentezza che non fa rimboccare le maniche, non smuove di un millimetro la storia, non pronuncia parole ascoltabili.
Per questo più di tutto rifletto sui commenti agghiaccianti. Sulle risate, sulle spallucce, sui cori di piacere, sulle manganellate verbali che fioccano a destra e a manca dal riparo di una tastiera e di un monito. Armati uno verso l’altro senza che uno sappia chi è l’altro. Per pregiudizi idioti, per totale mancanza di informazione, per assenza di spirito, per livello spirituale e culturale tendente allo zero.
Pensare è un verbo in via d’estinzione. Una specie di umano meccanismo che invece andrebbe urgentemente e fortemente protetta. Questione essenziale, per tutto e tutti. Che vivere e morire senza aver provato l’ebbrezza di far funzionare i neuroni non è bello e nuoce gravemente alla salute collettiva (se proprio a quella individuale non si vuole badare).

Ma come cazzo si fa a rivendicare libertà e dignità senza pensare?