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mercoledì 21 dicembre 2016

L'acquisto emotivo

Io lo chiamo acquisto emotivo. Sarà capitato a molti, di comprare un biglietto per una partita di calcio, di darsi allo shopping, di entrare in libreria e prendere un libro al volo, di trangugiare due brioches una in fila all’altra. Intendo di farlo così, per rispondere a una domanda che non tace, per colmare un vuoto, per occupare il tempo, per cercare un conforto.
E’ una cura fugace e blanda, lo abbiamo provato. E ci ritroviamo allo stadio senza voglia, con l’armadio zeppo di vestiti con il cartellino, un libro che prende polvere su una mensola, un etto in più a mò di ciambella intorno alla vita.
Allora ho provato a giocarci, con la compera di consolazione. A prendere davvero l’energia del calciatore, a indossare una maglia come talismano, a vestire i panni dell’eroina del libro, ad assorbire la dolcezza della brioche.
Era notte e lei, la luna, mi guardava. Tonda e grande come mai. Lei che c’è sempre e che abbraccia silenziosa per lenire i nostri pensieri al buio. Faceva così tanta luce che stentavo a crederci, fosse proprio notte. Ho chiuso gli occhi e le ho chiesto di regalarmi quella forza lì, quella di prendere emozioni da tutto senza acquistare un fragile surrogato di virtù.

Non so se il dono arriverà, però mi è parso sorridesse. Forse ha apprezzato la buona volontà, chissà. Quella di provarci, a credere che basti il sogno di farcela.
Ringrazio Sonia per la fotografia.

giovedì 8 dicembre 2016

Non c'è più religione

Seguo Luca Miniero e il cast del film e approdo al cinema nella serata di uscita di Non c’è più religione.
Il film, con il suo improbabile (o probabile) presepe del terzo millennio, nel paesino di Portobuio messo in subbuglio da tre ex amici che si riscoprono amici, da un Gesù Bambino da trovare a qualsiasi religione appartenga, da un circo farsesco di personaggi umani e animali, parte dal dato di un Paese -il nostro- che invecchia, che vede la natalità in decrescita costante, che vive il confronto con altre culture e altri credo portatori, tra l’altro, di bambini.
Per il presente vivente di Portobuio l’unico bambino disponibile ha un’età e una mole fisica decisamente incompatibili con la parte. Il sindaco (Bisio) pensa che la soluzione perfetta sia chiedere in prestito ai musulmani del paese un bambino adatto al ruolo. Le resistenze della suora (Finocchiaro) e degli abitanti del paese si sciolgono o si adattano all’esigenza. Così parte il ‘lavoro diplomatico’ di Bisio e Finocchiaro che si rivolgono al terzo amico di gioventù (Gassmann) convertitosi all’islam col matrimonio. Rocambolescamente e con una serie di compromessi e di gag comiche sembra davvero possa combinarsi un presepe destinato alla celebrità. Già, Bisio fa presto a intravederla come opportunità politica, tutti i media accenderanno i riflettori su quella realtà di riuscita integrazione. Gassmann ci intravede una sorta di riscatto su Bisio, per vicende sentimentali di anni prima con la Finocchiaro contesa tra i due. La suora Finocchiaro in fondo confida al suo Signore che il bacio giovanile con Bisio è ancora nel suo cuore e che la tonaca è solo arrivata ad alleviare la pena.
La storia in realtà ha altri sviluppi che arriveranno dall’incontro con il buddismo inaspettato della stessa figlia del sindaco, di stanza a Londra ma rientrata al paesello per svelare la sua gravidanza al padre (e non solo) e lieta di offrire la creatura al presepe.
Tra i tre ex amici, Bisio Gassmann Finocchiaro, vengono al pettine i nodi del passato con tanto di reciproche ripicche e scaramucce ma anche l’affetto e la stessa voglia di divertirsi e di non prendere troppo sul serio la fedeltà a una religione o all’altra.

Il finale, che non svelo, è una sorta di esilarante o commovente conciliazione di tutto e tutti che non deve passare dalla credibilità ma da una sorta di leggerezza auspicabile, quella stessa della vita che la figlia di Bisio darà alla luce. Ci intravedo in realtà un’altra possibile interpretazione ma forse è un passo avanti alle intenzioni di Luca Miniero e del film. Quello che è più evidente è invece che Non c’è più religione smaschera e mette il dito in qualche piaga in puro stile Miniero: con un’ironia scanzonata che non fa sconti ma neanche condanna troppo. Insomma una fotografia. Di come siamo e di quanto quell’ “è la vita”, che ricorre spesso nel film, ci porta a fare…

mercoledì 7 dicembre 2016

Incontrare la vita

Succede ai bambini. Che si mettono all’altezza dei piccioni e danno loro da mangiare senza affatto pensare che sporcano o portano malattie o invadono le piazze. Quelle sono cose che tristemente scoprono dopo. Quando diventano adulti e la vita la incontrano meno.
Succede ai bambini. Di ridere, piangere, giocare perché così è la vita, nel momento preciso in cui la toccano e con le emozioni che provano. Dopo crescono e tutto è diverso. Si ritraggono, quasi. Puntano il dito, tengono a bada l’istinto, si fanno furbi o aridi o ciechi. Sanno cose strabilianti ma quasi smettono di godere, dei piedi nudi, di una pozzanghera, delle creature intorno e di quello che è lì, a toccare loro il cuore.
Per fortuna che davanti a una fotografia che immortala la tenerezza della semplicità siamo ancora capaci, grandi e vecchi che diventiamo, di commuoverci o sorridere.

Foto di Sonyetta, che ovviamente ringrazio per l’ispirazione. 

lunedì 5 dicembre 2016

Chapeau, Chef Maria Antonietta Santoro

Chef M.Antonietta Santoro
Ci vogliono amore e audacia, per essere come Maria Antonietta Santoro, chef e anima del ristorante Al Becco della Civetta di Castelmezzano nel cuore delle Dolomiti Lucane.
E non solo, a dire la verità. Testa, ecco, ci vuole testa. Quella della chef Santoro è un’intelligenza lungimirante ma costantemente in armonia con la tradizione. Capace, sanguigna, eclettica e frizzante, Maria Antonietta rappresenta un’eccellenza italiana, di quelle che portano la cucina ai massimi livelli partendo dal territorio, dalla storia e dalle bontà genuine.
Giovanni Romano e Teresa Palazzo
Fa della buona arte culinaria della sua regione un trampolino di lancio della ricerca e dell’estro. Avevo assaporato da lei, Al Becco della Civetta, una cena memorabile dove tutto, proprio tutto, aveva il profumo e il sapore di un armonioso lavoro di passione, cura gentile, creatività e sapienza tecnica. Cose che prendono il palato e il cervello, davvero.
Finalmente sono tornata alla sua tavola al temporary restaurant allestito a Eataly Smeraldo di Milano. Cucina a vista e un nutrito numero di degustatori affascinati dalle prodezze di Chef Santoro e della sua brigata: dai peperoni cruschi alla pasta fatta in casa realizzata al momento ai legumi sublimi fino a una mousse di ricotta con salsa di arance e foglie di cioccolato fondente passando da una serie di deliziosi ingredienti e abbinamenti. Tutto bagnato, nel mio caso, da un ottimo Aglianico del Vulture.
Mousse di ricotta, arance e cioccolato
Non è un elogio al ristorante, è un elogio alla persona e al percorso. A quel patrimonio culturale che spesso trascuriamo. A quella saggezza del rispetto per le esperienze emotive che dovremmo sempre onorare. Al cammino di tenacia, speranza, fantasia e zelo che potremmo tutti prendere ad esempio.
Non è facile, farsi conoscere, quando muovi i tuoi passi in un piccolo -se pur splendido- territorio. Eppure chef Maria Antonietta si è rimboccata le maniche e la sua cucina l’ha portata qua e là in giro per l’Italia facendola conoscere e apprezzare a molti, moltissimi.
Forza Chef Santoro. Hai l’energia giusta per non mollare, mai.

Chapeau. E grazie, grazie per la vita che metti nei piatti.