Terremoto,
vittime, disastri.
Un
po’ come una guerra, un po’ come un’esistenza nella fame, nella malattia, nella
solitudine, nella sopraffazione, nella paura, nella tristezza. Violenze, della
natura o dell’uomo, e dolore. Immenso dolore.
La
ricetta magica, la soluzione per tutto, non ce l’ho. E poi, anche l’avessi in
testa, chi cazzo sarò mai io per spargerla nel mondo?
Una
cosa però ce l’ho. Una, una sola. La dignità di persona.
Che
vuol dire tantissimo, se ci riflettete poco più di un secondo.
E
allora non posso. Non posso mancarmi di rispetto e mancare di rispetto così
tanto agli altri. Non posso bearmi del fiele che circola come fosse miele.
Contro
una massa di incattiviti, di dietrologi, di arroganti, di indifferenti, non
posso che urlare un vaffanculo. Giusto per alleggerirmi un attimo dal senso di
oppressione che mi provocano.
Alla
lista dei destinatari, già che ci sono, aggiungerei quelli che pontificano bene
e razzolano mai. Così almeno per qualche minuto posso provare un benefico stato
di liberazione.