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mercoledì 31 luglio 2013

Lavagna magnetica

Non che io sia una figlia della lavagna magnetica. Sono della vecchia guardia, gesso e ardesia. Al più ho fatto abbondante uso di spilli colorati su sughero, a conficcare, più o meno letteralmente, i pensieri. Però il clac, quello dei magneti che fissano saldamente, è un sigillo. Consegna biglietti, foto, cartoline, locandine al suono delle cose memorabili, sembra immortalare l’attimo.
Insomma, quasi mi scopro a immaginare i ricordi o le note come frange di musica appiccicate nel cuore, tra le nuvole di sensazioni e stati d’animo, a mo’ di campanelli.
Chissà perché scatta qualcosa, un giorno qualsiasi, davanti a una lavagna magnetica, con l’adesivo in mano pronto a fare clac. Roba che rimango un attimo sospesa, quasi dovessi compiere un passo di quelli grossi e seri. Mi piace, forse. Specie il cuore trasparente, che lascia leggere il messaggio sotto anzi, come una lente, lo ingigantisce.

E’ l’attrazione. Ecco, la forza di un corpo a corpo inevitabile, che meraviglia!

giovedì 11 luglio 2013

La signora Lia e i presuntuosi

-Non sopporto i presuntuosi, quelli che si credono capaci in tutto.
La Lia altera difficilmente il tono di voce ma questa volta è troppo tirata per mantenere il timbro quieto.
-Ti capisco, è una faticaccia tollerarli. E sono pericolosi, per se stessi e per gli altri. Con la smania di competenze in tutto fanno guai. Però non essere così dura.
-Invochi dolcezza per gli arroganti?
-No, Lia. Ci sono gli altezzosi fanatici contro i quali puoi scagliarti allegramente. Poi però ci sono pure i combattenti, quelli che in buona fede ritengono che con buona volontà si possa fare proprio tutto. E’ vero, sono piuttosto immodesti e fastidiosi pure i secondi però magari sono giustificabili e digeribili…
-E come li giustifichi e li digerisci?
Quando la Lia mi punta addosso con decisione i suoi fanali mi disarma.
-Lia, dai, sono entusiasti, zelanti, ottimisti. O forse sono bisognosi di riscatto o cercano di farcela per soddisfazione personale. O, chissà, sono tipi che faticano a fidarsi e a delegare, preferiscono agire direttamente.
-Piantala, cara. Non riesci a convincere neanche te stessa. Uno che non rispetta il talento o le conoscenze altrui non può essere difeso. Chiuso.
La Lia è incontenibile. Mi chiude la bocca in un lampo e, in effetti, ha tutte le ragioni del mondo. Non so perché provo comunque a insistere: certo, Lia, ma te la senti di escludere che dietro tutta quella cocciutaggine ci sia semplicemente un limite umano?
-Il limite umano di quei figuri è la stupidità, accidenti. E allora?
-Insomma Lia sono sicuri di se perché non sono ricchissimi di spirito, pensano che bastino quattro ragionamenti e due maniche rimboccate per conquistare qualsiasi traguardo.
-Ma se provi tu, incompetente, a mettere il becco nell’unica materia in cui loro sanno davvero, ti sbranano. Ovvero riconoscono le proprie esperienze e conoscenze mentre quelle degli altri sono giochi da ragazzi.
-Lia, hai vinto, non posso oppormi oltre.

E’ così. E c’è solo da sperare che non facciano troppi disastri al prossimo.

giovedì 4 luglio 2013

Il ritratto: Conci Rinaudo, fotografa

Magari sono intrecci. O ingranaggi, spirali, inconsuete armonie. Più che visibili all’occhio sono percepibili dai sensi.
Storia di passione, curiosità e sfida. Perché l’ansia artistica cela un tratto del carattere, quello della ricerca. O forse della trama. E, chissà, magari anche della consapevolezza un po’ arzigogolata dell’ombra e della luce che è racchiusa in ogni cosa.
Quello che Conci Rinaudo cattura con l’obiettivo è ciò che è da svelare o da interpretare.
Qualcosa che assomiglia a un piccolo enigma. Le infinite combinazioni di forme che, talvolta, possono far godere la fantasia. Sicuramente non è un’anima piatta, quella di Conci Rinaudo. Se mai, invece, è un’anima in viaggio. Uno di quei segugi di sfumature che non chiude mai il cerchio. Che lascia sempre aperta una porta al suo pensiero in corsa.
D’altra parte più che la tecnica, della quale francamente un po’ se ne infischia, in lei può l’istinto. Quello irriverente o allegro o acuto. Fotografa con la pelle, Conci Rinaudo. Come se sfiorasse oggetti e luoghi per sentirne il battito, per captare l’onda del momento, per inventare immagini. L’altra realtà, ecco. Quella che sfugge all’ottica rituale. Quella che non risponde ai confini della bellezza e della bruttezza. Quella che non bilancia tutto con il rigore delle regole. A lei la voglia di un click balza in un lampo, quando può ribaltare le apparenze e le prospettive, quando vede che ciò che le si para davanti è molto diverso da quel che sembra.
Estrosa, forse. Ma più che altro in movimento. Come un motore a ciclo continuo.
E’ facile che il suo spirito fatichi assai ad accettare le definizioni, le assolutezze, gli schemi. Ha bisogno della libertà di elaborare ogni istante, ogni punto, ogni dettaglio. O, semplicemente, di immaginare che tutto possa avere risvolti o regalare sorprese o meritare riscosse. La trovo audace. Perché in fondo per lei il mistero non è che quella grande opportunità di risposte da inseguire!
Così, con le immagini, ingaggia un gioco senza fine. Una partita che, almeno qualche volta, si diverte più a disputare che a vincere. D’altra parte è fiera e cocciuta ma, impossibile negarlo, sensibile al richiamo di qualsiasi materia, di un volto, di un cielo, di un guizzo di vita.
Personalità in work in progress, si direbbe. Peraltro nel dinamismo avventuroso si può
scorgere più di una chiave per intravedere risposte. E le sue fotografie parlano!
Questa Conci Rinaudo combatte ogni pena con la vitalità, ecco tutto. Della serie: arrendersi, mai. Che poi la tristezza è ottima per il fermento creativo, verità amara ma pur sempre inconfutabile.
Penso debba confortarla la magnificenza delle sue espressioni. Diciamo che alla fine contagia il suo ombelico di buon umore distraendolo con la grazia dell’arguzia, della vivacità, del calore. E a me piace questa bacchetta magica.
Vede oltre. Per destino so che può essere molto doloroso. Ma valutati i risultati fotografici per Conci Rinaudo è anche un dono prezioso!

Bravissima, cara Conci.
Tutte le fotografie sono, ovviamente, di Conci Rinaudo.

martedì 2 luglio 2013

Il gabbiano di Portoferraio

Scendiamo dal traghetto e attendiamo al molo di attracco il gommone che ci porterà a bordo della Bonita, imbarcazione a vela e motore che ci ospiterà per una settimana nelle acque intorno all’Isola d’Elba.
L’allegria della vacanza è smorzata da una nota triste. Lì, su una catasta disordinata di legname e rottami, c’è il gabbiano che non vola. Il gabbiano adottato dai marinai del porto, il gabbiano di Portoferraio, il gabbiano che a ali spezzate non potrà mai diventare Jonathan Livingston. Una vita amara e sospesa, penso.
Che farà mai un gabbiano prigioniero di un corpo che non libra libero in quel fantastico paesaggio? Chissà se la vista gli restituisce dolore o speranza. Chissà se desidera morire o ha trovato la pace della pazienza.
Questione di destino. Ma il gabbiano di Portoferraio forse crede sia solo un lungo momento sfortunato.
Lo guardo. Sembra fiero e curioso come tutti i gabbiani, garrisce fragorosamente come gli altri, ha l’aria sana e nutrita. E’ come se fosse stato adottato, qui si prendono cura di lui, mi rassicurano. E allora l’idea che non possa solcare i cieli, planare sul mare a caccia di prede, volteggiare con lo stormo mi sembra un po’ meno crudele. Provo a convincermi che ha stretto un patto con i compagni: lui, di vedetta, terrà in caldo un posto per partenze e ritorni e loro gli porteranno il diario di bordo. Lui diventerà il loro consulente meteo e loro gli narreranno ogni avventura porgendogli con il becco un po’ di cibo prelibato.
Capisco che è un’illusione romantica. La storia del gabbiano di Portoferraio non è un romanzo, è vita vera. Però ho bisogno di immaginare, almeno per un attimo, che sia possibile una felicità della generosità e degli affetti. Che il gabbiano senza ali abbia tanti amici che fanno a turno per tenergli compagnia. Che i gabbiani dell’Isola d’Elba volino più forte e più in alto grazie al verso di incoraggiamento del fratello terrestre.
In fondo qualche volta una bugia è l’unico antidoto alla malinconia…
Ma il provetto skipper che ci carica sul tender mi riporta alla realtà. Scherzi? Sarebbe contro natura.
Ecco, contro natura. Quindi un gabbiano che non vola non è più un gabbiano. E non c’è gabbiano con le ali funzionanti che possa stare al fianco del gabbiano di Portoferraio.
Non c’è vacanza senza spina. Questa è la mia.

A sfamarlo provvedono gli umani. Tutto il resto è buio.