Pagine

venerdì 26 settembre 2014

La Buca, un film di Daniele Ciprì

Uscito ieri, 25 settembre, nelle sale cinematografiche, La Buca di Daniele Ciprì, con Sergio Castellitto, Rocco Papaleo e Valeria Bruni Tedeschi, è un salto nel buon vecchio film. Il vintage più attuale che mai. La foto grottesca della realtà. Il coltello nella crisi sociale.
Perché quella de La Buca non è la storia dell’onesto e candido Armando (Rocco Papaleo) che sconta da innocente 27 anni di prigione, Oscar (Sergio Castellitto) misantropo avvocato azzeccagarbugli dei raggiri e delle cause fasulle che ne intravede la grande opportunità per un nuovo processo che lo risarcisca, Carmen (Valeria Bruni Tedeschi) la dolce barista che fa in qualche modo da trait d’union tra i due sottolineando tutte le umane debolezze della crisi morale e culturale che ci attanaglia e Internazionale, il peloso randagio che ‘sceglie’ Armando fuori dal carcere e ne diventa fido compagno.
E’ uno spaccato lucido e sferzante sulla giustizia (e sull’ingiustizia), sull’arte
della truffa, sulle scorciatoie della sopravvivenza, sulla corruzione, sulle deformazioni del nostro costume. Il nostro è il tempo dei furbi, dei forti, degli imbroglioni e dei cinici. I puri soccombono. Chi non ha santi in paradiso è destinato alla sconfitta, chi non è figlio di o amico di è nessuno, chi crede nella verità e nella lealtà è un ingenuo senza futuro.
I falsi invalidi, il cavillo legale, le scappatoie e le deroghe, le azioni da furfante quanto un sistema giudiziario fragile, deviato e insensibile sono al centro di una pellicola di grande cura e qualità, dove le scene e i dialoghi svelano con assoluta schiettezza un sistema di (dis)valori potente, profondo, lacerante.
Ciprì affonda il dito nella piaga con una narrazione senza fronzoli ma viva, ironica, fantastica. Con la buca a simboleggiare l’occasione, il tranello, la deriva, l’insidia. Sergio Castellitto a incarnare il vizio diffuso, la perfidia della tentazione e l’egoismo gelido. Rocco Papaleo a resistere strenuamente alla logica perversa dell’inganno. E Valeria Bruni Tedeschi a reggere il filo di questo divario, a tentare una sorta di impossibile congiunzione.
Il finale, giocoso quanto doloroso, ci sbatte in faccia tutta la tristezza possibile. E’ Rocco Papaleo a cedere, ad accettare la logica imperante, a scendere a patti con l’imbroglio. Con tutta la gioia di Sergio Castellitto. E la resa di Valeria Bruni Tedeschi ai due strampalati ‘amici’.
Ottima fotografia e ottima regia. Decisamente all’altezza dell’interpretazione l’intero cast. Anzi, la coppia Castellitto-Papaleo rimanda a grandi combinazioni del passato, apre a una formula di intesa molto peculiare, quasi di sintesi. Castellitto in chiave dinamica e a tratti comica, Papaleo in una dimensione surreale, intensa e sentimentale.
Degno di nota il ritmo musicale, merito forse di quel Pino Donaggio che si ispira a George Gershwin e di una recitazione che si lascia guidare dalle note. Un risultato poeticamente esplosivo. Che se qualche risata scappa è amara. Eppure mi piace leggerci un messaggio in bottiglia, un’esortazione. Forse addirittura il desiderio di uno spiraglio di luce, di un riscatto. Qualcosa che solo l’indignazione e un senso ritrovato della moralità potrà finalmente risvegliare.
Basta ‘filosofia del diritto’. Ci vuole una buona ‘filosofia di vita’. 
Un film intelligente, una regia raffinata, una grande prova di bravura per Papaleo e Castellitto, La Buca di Daniele Ciprì. Un film italiano di spessore, fuori genere.

martedì 16 settembre 2014

La virtù nelle mutande

C’era una volta la virtù. E, chissà, forse c’è ancora. Magari vestita diversamente o bellamente nuda.
Che quando ha iniziato ad andare di moda l’elastico delle mutande in vista fuori dai pantaloni a cavallo calato fino quasi alle ginocchia, la delizia è parsa concentrarsi tutta lì, nell’esibizione di una griffe. Poi ad esaltare le grazie è saltato fuori il tatuaggio, magari a forma di farfalla a sottolineare la libera leggiadria, proprio accanto al filo di un perizoma, là dove normalmente avremmo detto non battesse il sole.
E infine le mutande sono sembrate una vecchia convenzione, un inutile pizzo, una barriera ipocrita. Roba da superare, allegramente. Perché le virtù meritano di spiccare il volo, insieme alla farfalla tatuata. O almeno così evidentemente si ritiene.
D’altra parte non c’è mutanda che provi la bontà di qualcuno. Magari nelle parti intime più o meno in mostra c’è una nuova naturalezza, qualcosa che sfugge agli antichi e pudichi pensieri.
Di certo si nota una certa questione anagrafica, dettaglio che potrebbe indurre a perfide considerazioni ma – sia detto – è meglio non cedere alla tentazione di simile giudizio. Può darsi che l’avanzata età che invoglia a togliersi la lingerie del piano di sotto sia solo indice di serena convivenza con la propria fisicità…Ecco, ribelliamoci a quelli che pensano che dopo gli anni ci si spogli di un tanga solo perché il passo disinibito è l’ultima chance per un passaggio di piacere.

Così è se vi pare, davvero.

giovedì 11 settembre 2014

La poesia del dopo

La poesia del dopo ha le rime del sollievo. E’ leggera, ha il profumo della pace. In quello che temiamo e non capita, nella sciagura evitata ci sono tutte le melodie del mondo. I muscoli che si distendono, il sorriso che non finisce più di allargarsi, le mani che smettono di tormentarsi.
Che tra un verso e l’altro quasi dimentichi quello che hai sofferto, l’angoscia che mordeva, il cuore che saltava via. Ti tocchi e ci sei, intero. Proprio come quando guardi l’arcobaleno dopo il temporale e pensi che c’è sempre la luce dopo un tunnel.

Se mai resta lo specchio, a ricordarti che tutti i prima e i durante restano sulla pelle. Che l’anima ha proprio le stesse rughe. Che la vita non ti restituisce la serenità che hai perso. Ma a te basta, deve bastare, avere un’altra pagina davanti. Fuori dalla tortura. Anche solo per il tempo della speranza.

lunedì 1 settembre 2014

E' scritto nel silenzio

Qualche volta tutto quello che puoi sapere è scritto nel silenzio. Quello da ascoltare. Appeso ai rami, seduto al tavolino di un bar, poggiato sullo schienale della sedia a dondolo. Nei colori, nei respiri, nei profumi.
Tra le emozioni. Come un fiore nelle pagine di un libro. A raccontarti di un tempo e di un cuore che lo batteva in velocità.
Nelle cose. Che conservano una sagoma, un gusto, un’abitudine. Sensazioni di affetto indelebile.
Sulla punta delle dita. Mute, che loro non hanno voce, eppure possono indugiare e accarezzare sprigionando tutte le parole del mondo.
Chissà poi perché cerchiamo di imparare diversamente. Ci ostiniamo a credere ci siano dimensioni più importanti dell’universo dei sensi, sciocchi, noi.

Lei invece aveva capito subito, che era tutto lì. Nel silenzio. Da quel primo sorso di vino. Novello come la primavera dei sentimenti e rosso, rosso come le labbra eccitate da altre labbra.