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giovedì 31 luglio 2014

L'ora di sesso

L’ora di sesso, dice lui.
Pare l’ora d’aria dei carcerati, commenta la signora Lia.
Poi cala il silenzio. Che in fondo era un pensiero: lo segna sull’agenda come appuntamento da non perdere, pratica da sbrigare, piacere quotidiano?
Un lampo dopo compare lei, quella dell’ora di sesso con lui. Praticamente pronta, roba da orologio svizzero.
La ‘spiegazione’ è arrivata più tardi, in verità non richiesta ma ascoltata tra educazione, curiosità e stupore. L’incontro tra i due è un po’ clandestino, così dice lui, quindi ci sono luogo e orario da rispettare.
Un po’ è lingua corrente, quando tutti lo sanno ma nessuno deve saperlo è un po’. Sarebbe completamente clandestino solo se l’ora di sesso fosse goduta ma del tutto taciuta. Se lei non si presentasse con la faccia di chi sta sollecitando erotiche frenesie.
Però, chissà come è eccitante il sesso un po’ a timer, spara la Lia insinuando un po’ vagamente ironico.
Come una bomba a orologeria. Ti scoppia in testa e tra le mani, ribatte lui.
E questa volta davvero non so cosa avesse dentro il silenzio. Mute, la Lia e io. Era una battuta esplosiva, un rivoltante omaggio ai campi minati o una laconico rigurgito di squallore?

Il sesso non fa male. L’ora di sesso un po’ clandestino invece nuoce gravemente alla brillantezza dello spirito. Credo io. E crede la Lia.

sabato 26 luglio 2014

Donne belle

Donne belle. Di brio e virtù. Perché c’è il gioco, sulle facce. Ma anche il guizzo, della passione e del gusto. Così, per civetteria o per allegria.
E la bellezza è tutta lì. Nella magia che fa incontrare brio e seduzione. Un po’ ricercata un po’ casuale. Come una danza sotto un cielo che all’improvviso porta pioggia. Tra risate e corse, con l’aria da bambine e il passo adulto. Con tutte le moine del corpo e quegli occhi che raccontano storie.
Che magari ci sono i dolori, nascosti. Ma non ce la fanno. Non ce la fanno a farle brutte, quelle facce. Messe in posa con il sorriso per celebrare e celebrarsi. Con tutta l’energia di un istinto. Perché il passato dei vestiti, delle scarpe, dell’acconciatura disegna tutti i colori del mondo. Il mondo delle emozioni.
In realtà, forse, tutto si spiega, altro che improvvisazioni. Qualcosa che ritorna annuncia e svela, così funziona nel terzo millennio. La moda, i balli, le musica scandiscono gli andamenti, dell’economia e del costume. Martellano per farci entrare, uscire, rientrare. Ci collocano in un’epoca. Ma ci lasciano l’illusione di averla scelta.
Ci sono facce che si rassegnano, facce che si ribellano, facce che allargano le braccia e accolgono quel che viene. O lo cavalcano, addirittura. Ecco, queste sono facce che fanno di necessità virtù. Donne belle. Perché, in fondo, in quello che è stato, c’è un amore che – se tornasse davvero – non sarebbe poi una catastrofe. Anzi. Un costume spiritosamente romantico al quale levare i calici in un brindisi. Che tanto, signori, avanti non si và, tanto vale arretrare con l’anima raggiante.
Vintage. Che spiega, se si vuole intendere. La storia si ripresenta, sempre. Quando le rendiamo omaggio, invece di farle spallucce o deriderla, significa che siamo al capolinea e non possiamo che rifare la corsa.
Allora, almeno, godiamoci le donne belle.

(Grazie a Conci Rinaudo per le fotografie sempre meravigliose)

giovedì 24 luglio 2014

Gli uomini ritornano, sempre

La terra insegna. Lei è madre e noi figli: noi abbiamo bisogno di lei.
Le mani che la lavorano apprendono dunque più di quelle distratte dalla manicure o ingannate da nobili mestieri.
Questo è. E gli uomini ritornano, sempre. Alla terra e al vento. Civiltà muoiono per lasciare il posto ad altre. Ciclicamente. Perché agli uomini sale la bizza di essere ingrati e superbi, degeneri e scellerati. Corrono fino a schiantarsi.

Alla madre non resta che allevarne altri e ripetere, all’infinito, le vane lezioni. Dalla zolla in avanti, senza che venga mai il tempo delle genti in autentica armonia con la vita. La vita, si, quella che solo la natura custodisce nella sua unica essenza.

lunedì 21 luglio 2014

Dalle 'radici' in poi...

Rispettiamo e difendiamo le nostre ‘radici’, sono il nostro patrimonio.
Ogni uomo è figlio di mamma e papà, dove mamma e papà sono anche la terra e la sua cultura.
Sono d’accordo. Le nostre origini, il nostro bacino di riferimento, il nostro bagaglio sono essenziali al viaggio della vita. E, d’altra parte, sono anche ciò che spesso lo consente, il viaggio.
Ma… trovo che le radici siano molto importanti anche perché sono la cosa più difficile da ‘superare’. Già. Che non si tratta di tagliarle, perché un albero sradicato muore, ma di non rimanerci troppo vicino. Ecco perché esistono i rami, loro sono il movimento verso il cielo.
Dalla natura possiamo imparare anche questo. A tenere sempre cara la stazione di partenza senza perdere l’avventura del cammino e il piacere degli approdi. Non che sia facile una sintesi perfetta. Però è questa la saggia libertà dell’esistenza. Quella di crescere, incontrare, scoprire, amare. Quella di confrontarsi. Quella di non avere barriere. Quella di aggiungere significati, emozioni, risposte. Quella di non permettere alle radici di limitare lo sguardo.
I rami sono fatti per spingersi oltre, in su, intorno. E, naturalmente, per attraversare le stagioni. Anzi, pure per godere delle opportune potature nei giusti tempi. Il terreno, l’acqua, l’aria, le cure garantiscono buoni frutti, si sa.
Vale anche per gli uomini, veramente.

Per questo mi rattrista chi non ama le radici ma sono addirittura terrorizzata da chi vi rimane schiavo come se fossero catene. Per non dire poi di chi non conosce altro che l’orgoglio dell’appartenenza invece della dignità della vita e dell’universo.

mercoledì 16 luglio 2014

Famolo strano

Che non è sempre un pensiero indecente.
Talvolta è piacere del groviglio, voglia di alternative inusuali, gusto dello
scabroso. Nell’attrazione horror, tra ribrezzo e paura. O in quello spazio in squilibrio con tutto, nel punto di rottura insomma. Magari oltre il consueto naturale, nell’uomo con la testa di capra, nel maiale parlante, negli alberi motorizzati.
E’ un suono che deborda, una sagoma che spacca, uno scatto che sorpassa la luce. E’ una caricatura, un’audacia, una veduta torpida. Un gioco, una pretesa, una sfida. E’ l’uomo che si misura con l’ossessione dell’immaginazione. Sempre lì, a tentare in tutti i modi di sfondare tutte le porte del mondo.
Capita nel bene e nel male, in bellezza e bruttezza. Come se davvero la fantasia potesse superare la realtà. Che se è gradevole la vorremmo poter inventare superlativa e se è spiacevole abbiamo bisogno di poterla pensare risolvibile o aggirabile.
E d’altra parte guai a toccarci i sogni, pare che siano diritto inviolabile. Accidenti però…dovremmo imparare a sognare il possibile o a non desiderare l’impossibile. Del tipo convivere con la realtà senza prendere per tormento la rassegnazione. Che diavolo è la ‘rassegnazione’ se non l’immutabile, insindacabile, intoccabile verità della nostra vita? Non respiriamo su questa terra per duellare con la realtà, se mai abbiamo il privilegio di cuore e polmoni per conoscerla.
Già, non è di enorme conforto in molti casi. Anzi. Ma tutto sommato non lo è perché il punto di vista è sbagliato. Noi ci mettiamo allo start come se dovessimo davvero partire per il combattimento invece di camminare nelle vie che ci è dato incontrare semplicemente per compiere il viaggio.

Famolo strano serve anche a me. Per trovare una formula di consolazione come questa, fuori dalle piste ufficiali. 

sabato 12 luglio 2014

Il vaso rotto

I giapponesi riparano il vaso rotto valorizzandone le crepe. Uniscono infatti i cocci con una resina mista a oro, argento o platino così da mettere in risalto i ‘punti di sutura’ e illuminare il vaso e il suo percorso. Già, il percorso. Quello della sua vita che, come quella degli uomini, conosce vicissitudini e sistemazioni.
La filosofia giapponese, al contrario della nostra che diffida degli incollaggi di equilibri spezzati, si affida alla natura degli eventi e alla buona volontà delle mani. Che è un po’ come ricordare sempre che ci vuole pazienza e amore per risollevare le sorti di qualcosa che cade e va in mille pezzi. E che bene e male fanno parte del ciclo, insieme. Forse il vaso sarà ancora più bello, dopo. Quando tornerà a splendere dimostrando che tutto si può superare.
Chissà. Chissà se un vaso, una cultura, un’idea possono esprimere il senso di una direzione di saggezza o di speranza. Chissà se possono racchiudere lo spirito positivo e gagliardo della resistenza e della lotta.
Certo quello che conserviamo custodisce qualcosa che altrimenti perderemmo. Un ricordo, una lezione, una commozione. Pure un dolore, è vero. Ma chi può negare che anche il dolore abbia la sua utilità nel nostro bagaglio emotivo?
Ci penso perché lo raccolgo come un segnale, l’ennesimo, al valore delle cose in termini di rispetto. Rispetto della nostra storia e della nostra vita. Di quel legame affettivo che allacciamo con gli attimi in cui le usiamo, le cose. In fondo è quello ad appartenerci, il nostro modo di prenderle, curarle, utilizzarle. Le impronte che lasciamo su di loro sono i nostri sogni, le nostre azioni, i nostri caratteri. Roba che non può andare cestinata per uno scivolone, una spaccatura e qualche scheggia.
E poi sono così affascinanti le cose usate, consumate e sbeccate dai nostri anni e dai nostri pensieri…Sono come le nostre rughe, inquietanti solo se non sappiamo sorriderci su.

Grazie a Monica Ravera per l’ispirazione.

mercoledì 2 luglio 2014

Vintage 2014

Ringraziando Conci Rinaudo per foto e ispirazione, parte vintage 2014, il gusto del retrò. Che è tutto nel profumo di atmosfere. Nel vecchio che comunque sembra o è sempre meglio del nuovo. Nel patrimonio della memoria. Nel gusto delle riscoperte. Nel fascino di forme che troviamo decisamente più originali.
Vintage 2014 è una riflessione.
Vintage 2014 forse è anche una partenza.
Già. L’aria che tira ci riporta indietro di qualche decennio. Lo annusiamo nella moda, nella musica, nelle tasche. Però è anche quella del futuro. Abbiamo vissuto troppi anni senza un domani in vista, insomma incollati a un presente zeppo di cose e svuotato di sogni, speranze e progetti. Al più avevamo smanie e pruriti, mai belle audacie. Con il lato B più o meno per terra possono tornare in testa e nelle mani piccoli e grandi spunti, colpi di genio, voglia di avventure.
E magari anche una sana brezza romantica.
Perché è anche questo, vintage 2014: un viaggio sentimentale. Non nei rimpianti d’epoca ma nelle emozioni gioiose. O almeno che come tali vogliamo vivere. Perché gli oggetti di culto sono un fatto di cultura e costume. E allora vuol dire che siamo davvero capaci di portare nel cuore qualcosa che non c’è più, di farlo in qualche modo rivivere, di comprendere che un po’ di passato è ancora desiderabile.
Vintage potrebbe essere l’autentico domani. Quello che ci libera dalla corsa forsennata a un’inutile e fredda avanguardia e ci riconsegna a valori di qualità, creatività, durata. Vintage resiste. E questa è già una lezione.

Che per migliorare si deve affinare quello che di buono e grande abbiamo, non stravolgerlo. Le grosse brame di convulsa modernità si sciolgono come neve al sole. A sfidare il tempo, e non è un caso, è sempre quello che appartiene a un mondo che ha pensato, amato, rispettato, costruito.