Il
dolore può spezzarti in due. Letteralmente, in due. Tra un prima e un dopo, tra
il bene e il male, tra speranza e disperazione.
E
può farlo perché è netto, candido e forte come la verità.
La
gioia no, quella non la avvertiamo mai come un uragano. Non deve buttar giù la
porta, gliela lasciamo sempre aperta. Entra e esce come se fosse casa sua e noi
ci facciamo l’abitudine. E’ gradita, lei.
Il
dolore no, non ci trova ospitali. Il dolore è altro, altro da noi, altro dalla
vita, altro da casa nostra. E’ solo una terribile calamità.
Come
tutte le terribili calamità ci coglie sprovveduti. Sprovveduti ma dannatamente
attenti a condannarlo. La gioia no, quella può arrivare come e quando vuole, è libera
di fare quello che le pare. Non le facciamo complimenti, non le prepariamo il
caffè con i biscotti, talvolta neanche le sorridiamo. Quasi fosse la cosa più
naturale del mondo, l’aria impalpabile che respiriamo, l’unica possibile
compagna.
Che
banalità, penserete. Quale essere umano vorrebbe soffrire invece di essere
lieto? Oh, nessuno, ci arrivo anch’io agevolmente. Concepisco meno, se mai, che
la gioia non abbia un posto d’onore. Alla fine sembra quasi che all’indifferenza,
alla superficialità, all’ingratitudine, possa porre rimedio solo il dolore. Il dolore
che si prende cura di farti notare quanto è strepitosa e fantastica, la gioia. Il
dolore che ti riporta a te e a quei piccoli e grandi momenti di cui la vita è
zeppa. Quelli che lasci scorrere con disinvolto distacco.
Il
dolore può spezzarti in due ma può diventare medicina. Amara, magari, ma
efficace. Non dà nulla per scontato, lui. E impari che infatti nulla lo è.
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