In
tempi di disoccupazione qualcuno non trova di meglio che consigliare inventiva
e audacia. Impossibile dargli torto se non altro per non esortare al suicidio
di massa, ecco. Trovo peraltro che la crisi, potenzialmente, potrebbe davvero
svegliare ingegno, creatività, coraggio, intuito.
Però
siamo in Italia, dobbiamo ricordarlo. Rimboccarsi le maniche e “costruire” un
nuovo lavoro può anche essere, se non facile, almeno pensabile e fattibile. Il
guaio successivo è confrontarsi con la realtà delle regole e della remuneratività.
Annusando
tra le “professioni” di fresca generazione troviamo il blogger professionista,
il community manager, il consulente filosofico, lo chef a domicilio, l’house
sitter (declinazione avanzata del vecchio maggiordomo) e l’agricoltore di orti
urbani. E fin qui, a occhio e croce, possiamo immaginare formule giuridico più
o meno collaudate di qualificazione e gestione di un’attività secondo le norme
del mondo del lavoro. Ovvero possiamo riuscire a inquadrare l’attività per
similitudine e metterci “in regola” con lo Stato.
Ce
ne sono altre più scivolose per le quali immagino il tortuoso cammino per un
riconoscimento “legale” che ci metta al sicuro da controlli, sanzioni, divieti
e difficoltà varie. Il declutter, ad esempio, ovvero l’organizzatore di spazi
per aumentare ordine ed efficienza, o l’home stager che aiuta il proprietario a
valorizzare una casa per favorirne le possibilità di vendita. Per non parlare
dell’etiquette coach, cioè l’insegnante del moderno galateo, al quale non so
bene cosa si richieda perché gli sia attribuita la libertà di “docenza”.
Nell’eventualita' comunque che si superi “l’inghippo linguistico-burocratico-classificatorio”,
cosa già ardua perché in Italia non esistono fiducia e accordo interpersonale
ma profili professionali, requisiti, obblighi, categorie e adempimenti ferrei,
nel nostro amato Paese scopriremmo altamente improbabile la sostenibilità del
lavoro faticosamente inventato, regolarizzato e svolto.
Già. L’ombra lunga e
tenebrosa dei costi di un lavoro autonomo, tra contributi, imposte,
commercialisti, limiti, soglie, tetti e chi più ne ha più ne metta
costringerebbero subito a chiudere la saracinesca della buona volontà.
Vivere,
e mi riferisco solo ad arrivare a fine mese con un’entrata appena dignitosa, in
Italia non è roba da persone valide, ingegnose e intrepide.
Una
“politica del lavoro” invocano e promettono tutti, in quel di Roma. Con tanto
di allarme per il precariato, per la cassa integrazione che scoppia, per i
giovani inoccupati. E francamente a furia di sentirli mi cresce dentro il
terrore che non sappiano da dove partire.
La
crisi è drammatica e la prima cosa urgente sarebbe semplificare (enormemente) e
alleggerire (molto) il fardello del costo del lavoro.
Aggiungerei
che ci vorrebbero onestà intellettuale e realismo ma questa è storia
universale. Allora mi fermo a un’altra considerazione. La disoccupazione è
soprattutto giovanile, lo sento in tv e lo leggo sui giornali. Per strada
rilevo un dato opposto: il ragazzo qualche chance, magari a tempo, ce l’ha,
la persona che ha superato i 40 anni è fuori, di sicuro non lo assume nessuno. E
allora? Rendiamogli almeno la possibilità di inventarsi un lavoro senza
intrappolarlo tra burocrazia e gabelle, accidenti.
Liberamente
ispirata da L’inventaLavoro di Andrea Sartori, guida alle professioni creative
e innovative.
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