Nella
famosa opera pirandelliana i personaggi in cerca di autore convincono il capocomico a rappresentare la loro storia ma
vogliono interpretare personalmente il loro dramma senza che la parte sia
recitata da attori. Le loro vicende e i loro sentimenti non possono essere tradotti
in tutta la loro profondità dagli attori perché il palcoscenico non può
replicare la realtà della vita. Non c’è forma
che possa rispettare la dignità e la complessità delle sofferenze, dei
pensieri, delle emozioni. La vera esistenza, nel suo mistero, nella sua
tragedia, nella sua bellezza, fatica a essere narrata o recitata.
Sei
personaggi in cerca di autore ha indagato in quella dimensione di passaggio
dalla persona al personaggio, nel meccanismo teatrale di messa in scena e nella
stessa disintegrazione dello spazio artistico. E’ una sperimentazione teatrale
straordinaria per il tempo di Pirandello ma anche una grande analisi delle
umane lacerazioni.
Talvolta
mi capita di pensare a quanto invece capiti di avere in testa un personaggio, un
poco tratto dalla nostra anima un poco dalla nostra fantasia o desiderio, e di
immaginarlo nel corpo di un attore, sulla sua bocca, nei suoi gesti. Di vedere
insomma il nostro ‘io’ da spettatori. Raffigurato da altri occhi e mosso da
altre gambe.
Se
sul palco non può salire ciò che autenticamente siamo può farsi teatro almeno
la sua più lucida parvenza. Qualcosa che ci consenta di osservarci con l’illusione
del distacco.
D’altra
parte un altro percorso che tutti forse abbiamo provato è quello dell’immedesimazione.
Quella sorta di altro che ci assomiglia, che sembra davvero la nostra copia,
che quasi è calato nella nostra stessa condizione.
Che
intreccio, tra vita e teatro. Tra elaborazioni e ricostruzioni. Tra momenti
uguali che percepiamo diversi e tra differenze che scompaiono fuse nella stessa
gioia o nella stessa commozione. Troppo facile e troppo difficile. Tutto e
niente. Nel bisogno di poter ricoprire almeno il proprio ruolo o nella speranza
di uscirne.
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