Alice,
un nome che evoca avventure e meraviglie. Un nome che immagini come
un’inclinazione precisa, romantica o giocosa. Se non addirittura una scelta
profondamente significativa.
Pensi
in qualche modo di sapere perché i genitori diano alla loro creatura il nome
Alice. Non ti viene facile credere sia solo il piacere della parola e del suo
suono. O il primo balzato in mente, in tutta fretta. Questo è quello che capita
ai nomi che hanno una ‘storia’. Pare debbano averci molto in comune tutti
quelli che lo portano.
Conoscere
Alice smonta tutto. Lei se lo ritrova addosso come la più atroce delle beffe. Che
il suo è stato un Paese senza terra, di quei luoghi chiusi in quattro mura di
violenza. Dove ha provato solo l’orrore di passi, carezze, gemiti che non
avrebbe dovuto incontrare. E non ha potuto fantasticare su un mondo diverso. Le
sono mancati il tempo e le ispirazioni. Perché pure per costruirsi in testa una
favola bisogna avere risorse e orizzonti.
Alice
è quello che resta di un’anima abbracciata solo da un malato possesso. Uno
sguardo spento, incapace perfino della rabbia e del rancore. E un corpo minuto
che sembra piegarsi alla minima brezza, come se non potesse più resistere neanche
al più docile tocco. Quando accenna un sorriso, perché la crudeltà non le ha
tolto una commovente gentilezza, le tremano le labbra. Forse non versa più
lacrime e emozioni, timori, ansie premono tutte lì, sulla bocca rossa e bella.
Alice
potrebbe avere un futuro, chissà, se riuscisse a perdere la memoria. O ad
abitare davvero in un’isola felice che le consegni qualcosa di buono, almeno un
po’ dei sentimenti e della magia del suo nome. Perché la sola libertà di un
lutto non ha ancora guarito le enormi ferite. Anzi, paradossalmente, le ha
lasciato solo lo smarrimento della solitudine. E tante domande, troppe, senza
risposta.
Già,
capita così. Che un nome non porti avventure ma disavventure. Che le disgrazie
subite lascino sensi di colpa invece di sollievo.
Alice,
Alice. Vorrei tu vedessi il sole.
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