Quello che rinuncia al suo nome sulla
copertina.
Già, spesso è così che viene identificato
il ghostwriter. Io non la considero una rinuncia ma colgo il senso (o la
sensazione). E quasi mi piace. L’idea che la passione, e naturalmente la
professionalità, vengano ben prima di quella gloria mi gratifica e mi calza a
pennello. Non che io non abbia una storia nel cassetto, anzi, ma c’è tempo. Francamente
mi preme assai più quella altrui, l’universo nel quale ho il privilegio di
entrare, il percorso che mi è dato compiere, la sfida che mi tiene incollata
all’entusiasmo e alla speranza.
Ecco, quello che mi inorgoglisce o mi
rasserena è che neanche per un secondo ho pensato al ghostwriting come ripiego
a chissà quale sogno non realizzato. Al contrario. Quello che mi ha mosso e mi
anima è quel fuoco lì, quello di essere in missione. Abbraccio l’autore e la
creatura che mi consegna e parto.
Che fortuna compiere viaggi su viaggi.
Se si è così bravi e modesti da rinunciare a una certa quota di narcisismo (peraltro legittimo), il lavoro del ghostwriter può diventare appassionante. Questo immergersi nelle vite degli altri, trovare una maniera empatica di vestirne i panni, interpretarne i pensieri, parlare con la loro bocca... Costituisce non un annichilimento ma una fonte di arricchimento per la propria personalità. Brava Irene. :-)
RispondiEliminaInfatti Pim...direi che la 'modestia' è direttamente proporzionale alla passione.
EliminaTi dirò che l'arricchimento è enorme. E questo supera di gran lunga qualsiasi, pur umana e legittima, 'velleità'.
Grazie!