Non
avrei mai immaginato di arrivare a farmi vanto, del mio ozio creativo. Non sono
avvezza all’autocelebrazione e, comunque, che lode dovevo tessermi?
Istinto,
puro istinto. Mica una di quelle virtù dell’impegno e del sudore, tanto per
intenderci. Gli anni però mi hanno portato davanti stoici del dinamismo ad
oltranza. Non alludo agli entusiasti del fare, agli attivi positivi, a chi per
natura si rimbocca le maniche e non poltrisce in apatia. Mi riferisco agli
ossessionati dal ‘movimento’, quelli che devono stordirsi di appuntamenti,
avere l’agenda sovraccarica di incombenze, non concedersi mai un minuto di
libero pensiero.
Accidenti,
che angoscia. Roba diversa dall’ansia che pur suscitano, costoro. L’angoscia
contiene tristezza e disperazione. Siamo sprofondati nell’abisso che non
permette sane tregue? E con chi dialogare dunque?
La
battuta di arresto culturale affonda le radici anche in questo caotico stress
senza sostanza. Tanti sembrano proprio convinti che sbattersi tutto il giorno
tutti i giorni incastrando i minuti sia il massimo, del dovere e del diritto.
E
allora mi preoccupo. Non poco. Che ne sarà degli approfondimenti, della
meditazione, della fantasia, delle passioni estrose, del gioco? E’ in tutto
quello che nutre la nostra amica che possiamo attingere per ‘creare’ e per
crescere. Sia detto che la crescita non è una sorta di inutile ‘progresso’
forsennato, è maturazione, miglioramento.
Lavoro
sodo, altroché. Senza lesinare energie, con serio zelo e enorme partecipazione
emotiva. Ma se non coltivassi il lusso di starmene talvolta in panciolle nel ‘nulla’
pieno di dimensioni, orizzonti, colori, idee, riflessioni, non potrei produrre
qualcosa di buono neanche con tutta la capacità e la tenacia del mondo. Davvero.
Se
non leggessi, non ascoltassi, non guardassi in giro che cazzo (splendido
termine oxfordiano) potrei sapere, capire, dire, scrivere?
Ho
bisogno di prendere le distanze, per vedere. Capita eccome, pure al fotografo
che vuole inquadrare bene la scena. Mi serve mettere insieme i pezzi per
sbandierare il puzzle, non ce l’ho in borsa pronto all’uso. E se anche ce l’avessi
che gusto ci sarebbe a non averlo sognato e gustato passo dopo passo?
La
frenesia forse è anche la malattia di chi fugge. Perennemente. Di chi ha paura
di affrontare i propri percorsi interiori o quelli della vita. Un po’ si può
magnanimamente comprendere. Succede, anche a me. Di accantonare un momento, una
circostanza, un problema, un argomento per ‘salvarmi’. Però non si può
respirare di rimozione costante e assoluta, su!
Il
rischio è evidente. Il famigerato vuoto cosmico che opprime è uno spettro
inquietante. Perché del mio ozio creativo potrei finire a farmene poco fossi
sola ed emarginata. Le voci dello stesso coro devono invece unirsi. E non
cedere. Mai.
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