Il
lavoro nobilita, non si discute.
Non
è che nutrissi dubbi, in verità, ma le conferme dirompenti mi hanno persuasa a
mettere un punto scritto. In tutto il bailamme della disoccupazione, della
disperata mobilità, dei giovani con l’incognita del primo impiego, delle
attività a rischio chiusura che fanno vacillare le sorti degli occupati mi sono
arrivati forti e chiari puri i segnali del decadimento umano, morale,
culturale, di quella deriva smidollata e vergognosa che davvero fa inorridire.
Inutile
negare. Il menefreghismo, il fancazzismo dilagante, la mancanza di
professionalità, il pressappochismo, l’indolenza sono talmente diffusi,
irritanti, miserabili, dannosi che verrebbe da proporre uno scambio immediato:
sostituire prontamente gli inetti, gli ingrati, i lamentosi, i fannulloni, gli
improvvisati con i volenterosi, abili, bisognosi, zelanti che sono a casa o in
lista d’attesa.
Ma
è qui che scatta il dramma. E’ la soglia del posto di lavoro che cambia i
connotati. Chi la varca sembra in diritto di avanzare ogni sorta di comoda
pretesa senza nulla avere da dimostrare, fare, muovere.
Nel
lassismo delle polemiche, delle ricette, delle ipotesi il caos ha preso il
sopravvento e troppi si sono accomodati sulla loro stupidità, hanno abdicato
alla dignità, all’orgoglio, all’entusiasmo, al senso del dovere, al rispetto.
Si
sbandiera quella parola lì, dignità, solo in proprio difesa, per erigere
barricate, per non mettere il naso fuori dal mansionario, per abbaiare contro
chiunque attenti alla ‘certezza’ della busta paga a fine mese. La si dimentica
e la si calpesta invece, tutte le volte che significherebbe comportarsi correttamente
e seriamente, portare avanti a testa alta le proprie conoscenze e abilità,
avere a cuore il buon andamento di qualcosa.
Ma
in quale grottesca trappola ci siamo infilati?
Forse
vagheggia in noi qualche bislacca idea di furbizia o di pigrizia, non so.
A
me pare un’idiozia pericolosa, orribile, disgustosa.
Il
lavoro non è tutto. Io odio la banalità devastante, pretestuosa, fuorviante, di
questa espressione. Certo che non è tutto. E allora?
Il
lavoro è una nostra dimensione. All’opera manifestiamo di che pasta siamo
fatti. Cosa c’è da aggiungere, da togliere, da spiegare?
Non
è questione di fare gli idraulici, gli ingegneri, gli impiegati dell’asl. Quale
che siano i nostri ruoli, compiti, ambiti, abbiamo la decenza, la voglia, la
forza, la coscienza per adempiere pienamente ciò a cui siamo chiamati?
Chissà
se, come, quanto dialogano occupati e inoccupati e cosa davvero si dicono. Chissà
cosa circola in questa società che emana cattivo odore e scarso onore. Chissà dove
finiremo, tutti quanti, se ciascun onesto e preparato non comincerà a far
notare, e a pretendere che si notino, le differenze.
Il
lavoro nobilita…gli spiriti nobili.
Nessun commento:
Posta un commento