Deve
voltare le spalle alla finestra.
Accendere
la luce e immaginare un sole che non c’è. Accendere la radio e stordire il
rumore della pioggia.
Non
ce la fa. Quel cielo bigio è un peso sull’anima. Intorpidisce. Sveglia i
pensieri che non vuole avere tra le mani, quelli cenerini come il cielo
appunto.
Macché
malinconia romantica. E’ una cappa di angoscia, una riunione di fantasmi che
danno il tormento.
E
più si appresta a cucire per scacciare la nuvola densa che la insegue più
sprofonda in una confusa agonia di inutili tentativi. Non può ingannarsi. Non
gira lo sguardo ma la luce non illumina abbastanza e la radio non grida a
sufficienza. L’uggia è più forte, è come una prigione dalla quale non c’è mezzo
per scappare. In casa o fuori la costringe a quella resistenza orribile.
La
poltrona è una culla con le spine. Non può lasciarla ma sente le punture nella
carne. Posa la stoffa, l’ago, il filo. Con un libro andrà meglio. Allunga la
mano e prende quello impossibile, è lì da mesi, forse da anni, sempre sullo
stesso ripiano, sempre con lo stesso nastro blu infilato a memoria della stessa
pagina. Un supplizio. Perché l’oppressione sul petto è anche quella spirale
malvagia, andarsi a cacciare ancor più nella tristezza invece di prenderla a
calci.
Quando
le arrivano gli occhi alle lacrime lo richiude, non prima di aver rimesso con
grazia il segnalibro blu. Passerà, se domani esce il sole.
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