Era
cresciuta nella ragnatela dell’eleganza d’abito e belletto, Annette.
Due
donne, nonna e mamma, impeccabili nella cura delle forme con cui affacciarsi al
mondo. Non che facessero parte della raffinata società dei salotti. Ne stavano,
se mai, ai margini. In quella zona grigia che non vive la vera borgata e che
tiene pronto il passo per oltrepassare il sottile confine. Un confine che poi
la vita sembra rendere impermeabile a qualsiasi tentativo. Una di quelle
condizioni che Annette, negli anni, ribattezzò di corridoio cieco.
Fiocchi
di raso tra i capelli, scarpine di vernice e preziosi abiti tagliati e cuciti
dalle provette mani di mamma e nonna facevano di Annette una bambola. Bella,
che la natura già era stata generosa, ordinata e di buon guardaroba. Si
permettevano quel lusso gestendo con rigore le poche risorse. Era essenziale,
le ripetevano.
Ad
Annette non dispiaceva la figura che le rimandava lo specchio. Eppure qualcosa
di stonato le arrivava nei passi e nei gesti. Non si sentiva mai disinvolta,
leggera, libera. Prima temeva di sporcarsi, poi di essere impacciata nei
movimenti, poi di passare per superba o illusa. Era fuori posto, Annette. O
almeno così prese a credere, tra amiche e amici che potevano rotolarsi nell’erba,
sedersi su un muretto, tirare calci a una palla. Non si trovò meglio neanche
nel tempo delle passeggiate al mare o delle serate da ballo. Intorno a lei
erano tutti più semplici, sciolti. Giovani, le veniva da dire. Lei in confronto
iniziava a vedersi come una signora in posa davanti alla macchina fotografica.
Ben
presto le fu chiaro che non si trattasse solo di una sensazione di mancata gioventù.
Quello
che l’eleganza le rubava era anche più della comodità o della semplicità. Perfino
più dell’audacia con la quale ragazze e ragazzi della sua età interpretavano i
più moderni costumi.
Stava
negando o perdendo la verità. Come prima di lei avevano fatto la mamma e la
nonna. Non c’era guardaroba che le potesse regalare una vita serena e sincera
se non avesse fatto pace con le aspettative, con la realtà, con la natura. E, d’altra
parte, Annette non vedeva granché che le mancasse in quei margini, se le due
donne impeccabili non si fossero fatte un cruccio del dannato confine.
Annette
voleva bene alla mamma e alla nonna ma sapeva che avrebbe dovuto trovare la
sua
strada per dare un senso ai suoi giorni, per trovare gioia nelle compagnie che
aveva, per esprimersi per quello che il suo cuore desiderava. Doveva forzare le
regole, andarsi a prendere tutto quello che non aveva goduto, indossare qualche
straccio che le consentisse di correre, sciogliere i capelli e lasciare che il
vento facesse la sua parte.
Sarebbe
costato qualche pena per loro ma non poteva evitarlo.
Quando
sorprese la mamma sorridere dalla finestra mentre lei si allontanava in jeans e
maglietta capì che il bene merita un atto di ribellione. Forse solo così anche
la mamma, attraverso lei, aveva spezzato finalmente le catene.
(Liberamente ispirato da...Annette)
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