Lei
non si infilava mai nei versi. Come se fossero cose sacre per menti sapienti
non osava neanche sfiorarli con il desiderio. Li leggeva incantata e non
credeva avrebbe potuto riprodurlo, l’incanto, poggiando le parole nel ritmo di
una poesia. Timore, rispetto, amore. E quella vaga sensazione di essere sempre
fuori posto nelle cose grandi.
Come
se il vuoto dei suoi languori emotivi invece non avesse tutti i profumi di una
lirica di dolcezza graffiata. Come se certe sue frasi non avessero dentro tutte
le arie e le pause di un respiro metrico. Come se non avesse sempre l’occhio
che inquadra quello che ha malinconie o allegrie in attesa di un’ode nuova.
Fino
a quel giorno, sulla riva di un fiume che conosceva meglio di qualsiasi ansia o
sogno.
Seduta,
con la schiena appoggiata al solito albero e le gambe lasciate andare, morbide
e lunghe, nell’erba. I versi le sono arrivati sulle labbra come usciti dalla
memoria e recitati in un sussurro. Non aveva neppure un taccuino per scriverli.
E d’altra parte non sarebbe servito. Non sarebbero sfuggiti al suo cuore,
troppa emozione e troppa gioia in quella libertà per perderne le tracce.
<Finalmente!>
La
voce alle sue spalle la sorprese a ridere e piangere insieme. Non le era
arrivato all’orecchio il rumore dei passi, certa della sua solitudine stava godendo
con tutti i sensi, leggera come mai nella sua vita.
Non
si voltò, attese che lui le sedesse accanto poi l’abbracciò, scossa dai brividi
più belli della sua poesia.
(Giovanni Boldini, profilo di una giovane donna)
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