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venerdì 11 settembre 2015

Scalza anch'io

Ci chiediamo sempre cosa concludono manifestazioni, appelli, raccolte firme e iniziative civili magari a forza di hastag. Certo è una condizione emotiva demotivante, quella del risultato non eclatante. Ma questa volta voglio chiedermi cosa ce ne facciamo della rassegnazione o dell’indifferenza. Meglio esserci e provarci che stare a rimuginare sull’utilità.
Che poi <l’utilità> è innanzi tutto proprio muovere il primo passo. Non c’è altro modo di sperare che il tentativo di fare qualcosa. Non risolviamo i problemi, non sfamiamo i rifugiati, non riportiamo la pace con una marcia a piedi scalzi?
Non ne sarei proprio sicura, in prospettiva. E’ solo questione di numeri. La marcia degli uomini e delle donne scalzi è un benvenuto culturale e sociale a un nuovo esercizio dell’umanità, del buon senso, della vita.
Che a botta di tacchi a spillo, comodità e amenità ce ne siamo lasciati indietro parecchio. E in questo perché non ci chiediamo con quale utilità? Non siamo certo più felici, anzi.
E poi è così asfissiante la logica di tirare a campare nelle proprie quattro mura che davvero non so come si faccia oggi a non avere voglia di starsene a piedi nudi. Sicuramente ci mancheranno un po’, le scarpe, ma –per magia- avvertiremo netto il desiderio di averne un paio qualsiasi a disposizione…Mica ci vogliono le All Stars Converse per non andare in giro scalzi.
Personalmente non mi serviva la marcia per averne consapevolezza e mi vergogno perfino un po’ a citarle ma, ammettetelo, per quanti è così?
Ecco, già sarebbe uno straordinario balzo in avanti.

Ne volete un altro? Uomini e donne. Che questo siamo, nel mondo. Non ricchi e poveri, belli e brutti, gialli e neri, fortunati e sfortunati. Uomini e donne. Con un’esistenza breve, brevissima, che forse merita davvero la marcia mentale giusta.

lunedì 7 settembre 2015

Benvenuti!

Come potremmo dare davvero il benvenuto in un Paese che non ci appartiene e al quale non apparteniamo?
Al di là dei molti e complessi discorsi economici e politici, per i quali è indubbio non siamo campioni di lungimiranza e abbiamo invece il primato del caos disonesto, ci manca il tessuto emotivo. Già, noi abbiamo legami da stadio con il nostro territorio, non radici passionali con la nostra terra. La ‘difendiamo’ come se il nostro orto fosse minacciato, non la offriamo come la migliore delle nostre forze perché chiunque ci arrivi la rispetti. E’ una questione enorme. Enorme e triste.
Chiediamo un amore che non proviamo. E lo facciamo per egoismo, viltà, piccolezza, paura. Temiamo ci portino via ciò di cui non andiamo mai fieri, maltrattiamo e malediciamo. Assurdi e ipocriti!
Lo ‘straniero’ è una minaccia. E, paradossalmente, è vero. E’ lo specchio che ci sbatte in faccia quello che siamo. E’ quello che ha un bagaglio che noi abbiamo scordato. E’ quello che si rimbocca le maniche che noi teniamo serrate ai polsi. E’ quello che impara a conoscere il nostro Paese meglio di noi. E’ quello che ci dimostra che esistono luoghi e valori dell’anima e non solo inutili orti e squallidi slogan.
‘Loro devono adeguarsi’. Adeguarsi a chi, a cosa? A milioni di abitanti che non si sentono un popolo, al caos corrotto e disonesto, alla deriva umana?
Già. Non potremmo mai chiedere loro di essere migliori di quello che siamo noi.