C’è
un ritardatario inclemente con il ritardo altrui.
E’
un tizio dall’orgoglio troppo arzillo per il quale la tranquillità è una sorta
di diritto inviolabile. Se ne sta arcigno sulla sua pigrizia aspettando il
rispetto di tutti.
E’
rassegnato ai suoi indugi e alle sue grettezze, a tratti par quasi ne vada
addirittura fiero. Ma guai se qualcuno
osa indugi o grettezze con lui. Lì sfodera una ferocia da lupo affamato.
E’
riottoso a qualsiasi evoluzione altrui o, meglio, la giudica con disprezzo se
non arreca a lui, magnanimamente, beneficio. Anzi, talvolta fa di più. La
rifiuta categoricamente ma, straziandosi di invidia, cerca di farla a
brandelli. Usa l’accetta. Invoca la morale, la giustizia divina e chissà quali
altre sacre o profane ragioni per inficiarne la bellezza o la bontà.
E’
una faccia imbronciata, con gli occhi critici zeppi di rancore. Parco di
sorrisi e per lo più pure di parole che vadano oltre i suoni del lamento. Vuole
attenzioni, lui. Ma non ha delicatezza sufficiente per elargirne, mai. Sta
impettito a braccia conserte e rimugina con rabbia sull’interesse che non
riesce a suscitare. D’altra parte non è interessato a quello che potrebbe fare
da solo e, tanto meno, curioso di sapere e capire cosa fanno gli altri per
rendersi interessanti o quali siano le cose davvero interessanti da scoprire.
E’
un uomo inclemente con la vita stessa, ecco tutto. Che trova comodo, talvolta
assai, giudicare inclemente la vita così da potersi disperare un po’, farsi
compatire o avere almeno un posto nella storia, quello della desolazione.
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