Le
pietre, le colline tonde e la natura di tanti colori mi accompagnano a
Tricarico (MT) che mi accoglie movimentato, quasi caotico nell’esteso complesso
che accoglie le architetture e l’urbanistica di sovrapposizioni e comunioni
culturali e temporali.
La
radice storica di Tricarico è nel borgo denominato Rabatana, l’antico quartiere
arabo-saraceno, ma a questa si affiancano le successive tracce normanne e degli
insediamenti ebraici. L’ambiente intorno è un trionfo di varietà in una natura
affascinante che si mostra nella vegetazione boschiva e nelle aree agricole
fino ai terrazzamenti degli Orti saraceni.
La
giornata è splendida, l’aria è tersa e qui più di ogni visita d’arte voglio camminare,
annusare l’aria, guardare il panorama e provare a sentire e vedere con i sensi
di Rocco Scotellaro, il poeta contadino, il politico, l’amico di Carlo Levi.
Fu
sindaco di Tricarico, Rocco Scotellaro. E fu proprio nel 1946, quando Carlo
Levi si candidò all’Assemblea Costituente, nella circoscrizione di
Potenza-Matera, che Scotellaro lo incontrò per la prima volta. Credo fosse
inevitabile la grande amicizia che da lì nacque! Levi fu il suo mentore, ebbe a
dire lo stesso Scotellaro. Entrambi peraltro fortemente impegnati per la
“questione meridionale” si frequenteranno assiduamente fino alla precocissima
morte di Scotellaro.
Rocco con l'asino- Carlo Levi |
Così
come lo zelo e la passione di Scotellaro per il riscatto della Basilicata
dall’arretratezza e dalle condizioni di povertà e abbandono che la ponevano
fuori dalla “civiltà dello Stato” come
la sua lirica di amore vibrante per l’anima di quella terra trovarono in Levi
uno dei più grandi e profondi spiragli di luce.
Sono
stati passi commossi, i miei. Di dolore e rabbia.
Non
avrebbe dovuto morire a Portici, Rocco Scotellaro. Avrebbe dovuto essere
abbracciato da quei volti, da quelle ginestre, da quegli asini, da quelle
pietre che lui aveva cinto di speranza e lotta. Chissà se oggi il ricordo può
essere risveglio…
Questo
mi metto a cercare e a pensare. Ma sgomberando l’orizzonte dal “progresso”
delle case, delle cose e delle macchine la realtà è ferma a quel tempo di
speranza e di lotta. Sessant’anni.
Ma
non voglio rassegnarmi, non posso. Questione di coraggio e ardore.
La
politica e la stessa letteratura di Scotellaro, e vieppiù di Levi, non sono
state mera celebrazione. Raccolgo la denuncia, l’urlo di allarme e
indignazione, la coscienza umana e civile per ricordarle, per continuare a dare
loro voce e senso, perché non sia infinita agonia.
Sosto
solo qualche minuto in piazza Garibaldi, per un caffè ottimo. Ho bisogno di
allontanarmi, trovo quiete in una frazione silenziosa, perché la preziosa
eredità non si disperda in quelle voci confuse del quotidiano.
Che
il cielo sia lieve, Rocco. E grazie, di tutto.
Lascio Tricarico con “il suono del
campano al collo di un’inquieta capretta”.
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