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venerdì 30 marzo 2012

Parlate ora!

Gli daranno sepoltura. O spargeranno le sue ceneri in mare.
E ci saranno commiati rotti dal pianto. Celebrazioni del passato, omaggi al ricordo.
Non è il proverbiale senno del poi, qualche volta tormentone sciocco talvolta umana comprensione tardiva.
E’ un rituale, nel peggiore dei casi. E nel migliore è il tormento di ciò che non è stato. Potete leggervi tutta l’antologia di Spoon River ma non troverete alcuno, neanche il più desideroso di sopravvivere nell’ode su una lapide, che non avrebbe voluto essere amato in vita e poter ascoltare la melodia di certe parole.
Parlate ora se avete nel cuore così grandi pensieri da dedicarmi. Accarezzate il mio viso, commuovete la mia anima, eccitate il mio cervello.
E pensandolo realizzava di essere diventato vecchio. Ecco, pensava, il segno dell’età sta in questa percezione di piccole cose che una lunga vita lascia irrisolte. Ne aveva sentite tante storie di rimpianto e rimorso e per quanto non si fosse mai fermato troppo a riflettere sull’insidia del tempo e su quel confine tra respiro e morte che rovesciava gli orizzonti aveva accumulato dentro minuscole ma infinite sensazioni di disagio tra spirito e parola.
Giunto a meditarci si accorgeva che erano gli anni sulle sue spalle a rimisurare lo spazio e il senso delle cose da dire e sentire. Come se una condanna capitale lo attendesse in un giorno e ad un’ora stabiliti si trovava a cercare cosa fosse davvero importante compiere durante il conto alla rovescia. Cosa avrebbe voluto accadesse. Quale mano avrebbe voluto incontrare. Quale frase lo avrebbe accompagnato meglio all’appuntamento.
Non aveva un domani lontano davanti, ma un domani stringente. O così lo avvertiva.
Desiderare la musica di Lara al pianoforte, le urla di Guglielmo nel giardino, l’affanno nello sprint finale della corsa, il profumo della torta di Nora era come puntare spilli nel cuore. Poi, prepotenti, balzavano intorno a lui parole. Parole che avrebbe voluto arrivassero ancora in sussurro alle sue orecchie. Parole che aveva lasciato cadere nel vuoto. Parole che non aveva mai pronunciato benché spingessero per uscire dalla bocca. Parole che sperava fossero nello scrigno di qualcuno, tutte custodite per donarle a lui.
E lottava con le palpebre per non addormentarsi.
Aveva paura di scivolare via durante il sonno, con tutto quel bagaglio inesaudito di sogni. Eppure si era augurato sempre un passaggio così, nel buio ad occhi chiusi. Rapido e indolore. Ma quando se lo augurava non era vicino a quella notte.
Faceva fatica a rosicchiarsi le unghie come un bambino eppure si ritrovò a farlo, per tenersi desto e per quella tensione che d’un tratto si levava come un sinistro presagio.
Dormiva così poco negli ultimi anni che quel torpore non poteva che essere l’ombra nera della vigilia, pensava. Faceva scudo e chiedeva alle sue forze un giorno per chiamare tutti e invocare “parlate ora”.
Anticipate i consueti elogi del dopo, avrebbe detto agli invitati.
E avrebbe abbracciato, come mai prima.

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