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lunedì 19 novembre 2012

Tunnel


Scosta appena le tende, guarda fuori.
Fissa il labiale, le vicine sussurrano qualcosa, non è la solita conversazione del mattino a voce cristallina. Forse parlano proprio di lei. Della sua strana malattia. Di quella penombra inquieta.
Era arrivata titubante all’incontro con quel raggio di luce, quasi una sfida con se stessa per spiare almeno un po’ di quotidianità. Ed è già pentita, ora che quelle parole segrete le arrivano come una pugnalata al cuore pensa che il silenzio e la solitudine la proteggono da quello strazio, torna a letto e si abbandona ai pensieri.
Perché?
Non si chiede perché è capitato a lei, perché le è capitato proprio quel destino. Quello che la tormenta è perché tutto muti intorno a lei. Perché la gente abbia così paura di quello che è scomodo, di quello che muta le abitudini, di quello che tiene sulle spine per tanto tempo. La gente vuole un dolore da scacciare con una pastiglia, una patologia grave che consegna in un lampo alla morte, una sofferenza con la quale si convive con una terapia da cavallo fitta e precisa. Vive invece un disagio insopportabile quando un malanno altera l’ordine della routine, sfugge alla prassi che conoscono, leva fiato alla tranquillità.
Lei preparava il caffè per le vicine, ogni giorno.
Lei andava a pranzo dalle vicine, ogni sabato.
Lei andava al mercato con le vicine, ogni giovedì.
Lei andava a messa con le vicine, ogni domenica.
Confidenze e ricordi. Lei e le vicine si conoscevano da cinquant’anni.
Adesso non volevano disturbarla, aspettavano che guarisse.
Perché non condividevano la sua penombra? Perché non le facevano visita accarezzandole la mano in silenzio?
Lei non riusciva a giudicarle male per questo. Sapeva che non era cattiveria o indifferenza ma il brutto imbarazzo di quella piccola cultura della “regolarità”. Qualcosa che stritolava di ottusità il costume.
D’altra parte aveva a malapena la forza di sopravvivere, le battaglie contro i pregiudizi avrebbero richiesto un’energia che non aveva. Allora pianse, amaramente. Per il rammarico di non aver mai lottato prima. 
(dipinto di Domenico Cocchiara, La Lacrima)

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