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martedì 12 marzo 2013

Il finanziamento pubblico ai partiti


In questi termini in verità è stato formalmente abolito dato l’esito netto del referendum abrogativo tenutosi dopo la bufera di Tangentopoli. Cacciato dalla porta è rientrato dalla finestra, secondo la peggior logica del nostro Parlamento, sotto forma di rimborso o contributo spese che dir si voglia.
A me Pierluigi Bersani non deve spiegare che potrebbe essere un fondamentale principio di democrazia il sostegno economico ai partiti. L’ho studiato, l’ho capito, ci ho creduto. Ma la cattiva prova che i partiti hanno dato per decenni lo ha letteralmente travolto.
Adesso è assurdo sentirgli ricordare che la politica non deve essere in mano alle lobbies che foraggiano e che i soldi pubblici sono garanzia di libertà di esercizio politico soprattutto per i partiti piccoli o che non hanno capitali(sti) alle spalle. Non è momento, è fuori tempo. La gente è semplicemente disgustata.
E comunque, parliamoci chiaro, la necessità si è fatta sentire con forza per un paio di ragioni da valutare con attenzione. La prima è che il tesseramento in vorticosa picchiata non assicurava più fondi e questa era già la dimostrazione forte e indiscutibile di una disaffezione spaventosa per il sistema partiti. La seconda è che la “struttura” partito si è fatta sempre più ingombrante e pretenziosa, appesantita da portaborse, zecche varie, sedi pompose e occasioni di “rappresentanza” a base di lussi spesso debosciati.
Questo è il cuore del problema, Bersani.
Il principio, bellissimo, l’avete mandato a ramengo tutti voi politicanti di destra e sinistra. Che il M5S chieda subito un atto di rinuncia al contributo statale è OVVIO, UMANO E CIVILE, accidenti. Perché il Paese ha bisogno di quei denari per altro. Perché i cittadini hanno bisogno di giustizia. Perché i cittadini aspettano segnali di moralità. Perché i partiti sono distanti anni luce dalla realtà. Perché ormai nei partiti conta più l’apparato della base.
D’accordo, vorresti una “regolamentazione”. Già, in politichese per tutto è indispensabile o opportuno un corpo di norme che confonda con la giustificazione di mettere punti fermi. Potrei accettare un dibattito ma DOPO. Dopo la partenza per un governo del popolo, dopo il risanamento economico e sociale del Paese.
Qui e ora c’è la crisi, qui e ora c’è una situazione drammatica che richiede responsabilità. Qui e ora i partiti sono i primi a doversi mettere seriamente in discussione. Ecco tutto.
Questo è il discorsetto ai partiti, al PD in particolare che insiste improvvidamente sulle sue posizioni. Altro vale per noi cittadini.
Allora, se è vero che comunque chiunque, pure uno sparuto gruppetto di cittadini, dovrebbe avere il diritto di fare movimenti politici e che non dovrebbe essere penalizzato dalla povertà di mezzi dobbiamo capire e ricordare sempre che non è facile come sostiene Grillo racimolare consensi via internet e in piazza. La rete, fantastica rete, per il M5S ha funzionato alla grande perché fondatori (Casaleggio e Grillo) e voce (Grillo) avevano tutto l’appeal necessario.
Parliamoci con franchezza, quello di Grillo era più o meno l’unico blog italiano ai vertici della classifica mondiale insomma era visitato, letto, seguito perché Grillo, al di là delle recenti campagne politiche, è un personaggio. Non è solo il suo caso. In Italia i frequentatori della rete non cercano molto l’informazione diffusa, libera, anonima. Quelli gettonati restano i blog, i siti, le pagine fb dei “vip”, per intenderci.
Questo, intendiamoci, non vuole togliere nulla allo spessore del blog di Grillo. Anzi, rinnovo ammirazione e piacere. Voglio solo spronare ancora una volta tutti noi alla ricerca, all’apertura, alla coscienza civile, a una riflessione generale veramente profonda. Lo ripeterò ancora molte volte: è tempo di leggere, sapere, confrontarsi. D’ora in avanti, per amor vostro e di tutti, se siete per negare quattrini pubblici ai partiti, tenete presente che le buone idee circoleranno in rete, anche nelle righe di blogger sconosciuti, non perdetele.  

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