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giovedì 30 gennaio 2014

Poesia

Lei non si infilava mai nei versi. Come se fossero cose sacre per menti sapienti non osava neanche sfiorarli con il desiderio. Li leggeva incantata e non credeva avrebbe potuto riprodurlo, l’incanto, poggiando le parole nel ritmo di una poesia. Timore, rispetto, amore. E quella vaga sensazione di essere sempre fuori posto nelle cose grandi.
Come se il vuoto dei suoi languori emotivi invece non avesse tutti i profumi di una lirica di dolcezza graffiata. Come se certe sue frasi non avessero dentro tutte le arie e le pause di un respiro metrico. Come se non avesse sempre l’occhio che inquadra quello che ha malinconie o allegrie in attesa di un’ode nuova.
Fino a quel giorno, sulla riva di un fiume che conosceva meglio di qualsiasi ansia o sogno.
Seduta, con la schiena appoggiata al solito albero e le gambe lasciate andare, morbide e lunghe, nell’erba. I versi le sono arrivati sulle labbra come usciti dalla memoria e recitati in un sussurro. Non aveva neppure un taccuino per scriverli. E d’altra parte non sarebbe servito. Non sarebbero sfuggiti al suo cuore, troppa emozione e troppa gioia in quella libertà per perderne le tracce.
<Finalmente!>
La voce alle sue spalle la sorprese a ridere e piangere insieme. Non le era arrivato all’orecchio il rumore dei passi, certa della sua solitudine stava godendo con tutti i sensi, leggera come mai nella sua vita.

Non si voltò, attese che lui le sedesse accanto poi l’abbracciò, scossa dai brividi più belli della sua poesia.
(Giovanni Boldini, profilo di una giovane donna)

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