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lunedì 17 febbraio 2014

L’arte perduta della gratitudine

Del prolifico Alexander McCall Smith, mea culpa, non avevo ancora letto libri.
Ho rimediato con L’arte perduta della gratitudine e ora so che cercherò di recuperare godendomi altre sue opere.
Probabilmente è ancora più famosa la sua detective Precious Ramotswe della No. 1 Ladies Detective Agency ma anche Isabel Dalhousie, filosofa e direttrice della Rivista di Etica applicata, immagino abbia una nutrita schiera di lettori.
La narrazione di Alexander McCall Smith è di quelle allettanti: fluida e originale. Isabel Dalhousie poi è proprio l’esempio di etica applicata del quale francamente si avverte bisogno nella nostra vita. A tratti quasi maniacale ma disperatamente affascinante. D’accordo, quel pizzico di ansia che il comportamento corretto e l’analisi morale portano alla quotidianità può talvolta dare al racconto un tono vagamente ‘ossessivo’ ma la verità è che un personaggio così riconcilia con la buona volontà e la speranza.
L’intensità della storia in fondo è tutta lì, in quella continua ricerca di sostenere l’onestà intellettuale, di reggere sincerità e generosità anche quando il prossimo mette a dura prova. La filosofa Dalhouise è moglie e madre, conduce un’esistenza ‘normale’ e si imbatte in scivolose circostanze unicamente per quella personalità aperta, sensata, profonda. Non sono gesta clamorose a scaldare la trama ma il volo dei pensieri e delle parole sui piccoli o grandi nei dell’umanità, sul terreno incerto delle relazioni, sui meccanismi del comportamento tra interesse personale e senso di responsabilità.
Fa sorridere e riflettere l’avventura spirituale di Isabel Dalhousie. E Alexander McCall Smith ha la capacità di farcela esplorare tra leggerezze e sguardi intensi nelle pieghe più complicate di uomini e donne nell’ordinario cammino quotidiano. Con Isabel che non può fare a meno di interrogarsi su tutto e tutto e un geniale e delicato marito musicista che sa battere il tempo con poetico spessore.

Una lettura molto gradevole.

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