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venerdì 20 novembre 2015

Cari (in)fedeli,

vi scrivo perché vi resti una traccia, uno spunto, magari una speranza.
Che voi crediate in Dio, Allah, Jahvè (mi accontento di citare questi tre) o non riconosciate alcun Supremo, siete uomini e donne, creature di questa terra come me. Minuscole schegge di vita nello spazio infinito e nel tempo eterno ma pur sempre punti di luce.
Il giorno, la notte, la nascita e la morte, fanno parte di un disegno ben più grande di noi. Ma noi ci siamo dentro, almeno per un rapido passaggio. Quello che sempre basta a cogliere tanto la meraviglia quanto l’orrore.
Siamo qui a soffrire, siamo qui ad amare.
Non ci è dato sapere quale sia davvero il senso di tutto e tutti ma pensiamo che il bene più prezioso che abbiamo sia l’intelletto. Paradossalmente proprio quello che tradiamo, maltrattiamo, umiliamo. Già, che sia anima o raziocinio, lo ostentiamo con vanto ma stentiamo a rispettarlo e a coglierne il respiro.
Forse è proprio l’orgoglio del pensiero ad averci accecato.
Beate quelle che chiamiamo bestie, mirabilmente in armonia con la grandezza e l’essenza della natura. Loro non hanno la nostra stupidità. Conoscono l’incertezza, il limite, la prudenza, la pazienza. L’istinto le tiene serenamente alla larga dalla smania di possedere le chiavi del mondo.
Mica è una semplificazione, questa. Al contrario. L’illusione prepotente ci ha reso miserabili, fallaci, superficiali. Non c’è crudeltà che possa davvero stupirci, l’abbiamo messa in conto come inevitabile o addirittura desiderabile. Troppo lontani da quel fiuto animale che terrebbe a bada lo sproposito.
Più di qualsiasi anelito, infedeli e fedeli dovrebbero avere nel sangue l’impulso alla felicità. Parola enorme, non esiste, ripetiamo in coro, fedeli e infedeli finalmente concordi. Forse è vero ma l’impulso no, quello può esistere eccome. La ricerca, il cammino verso. E allora il male del nostro intelletto è solo ostinarsi all’egoismo e all’idiozia. Fare finta che gli sprazzi di felicità possibile siano nel benessere individuale, in qualche fantomatico trionfo, nell’idea di essere sopra gli altri. E così non facciamo che condannarci, gli uni con gli altri e tutti insieme, all’infelicità perenne.
Calpestiamo la nostra sensibilità e la nostra bellezza. Invece di gioire della nostra potenza di uomini e donne inseguiamo una sorta di miraggio.
E’ una menzogna la difesa inconscia. Noi difendiamo consciamente la nostra paura di non essere unici. Che pena! Magari combattiamo per essere ‘migliori’ quando senza armi siamo unici. Magari nutriamo odio avvelenandoci fino a insultare la nostra stessa linfa quando affetto e simpatia ci riempirebbero di risorse ed energie. Smettiamo di ridere, di imparare, di camminare, di sognare. In nome di qualcuno o di nessuno. Ma di sicuro in mano a chi dell’intelletto ha fatto l’uso più bieco e spietato: una ricchezza senza alcun valore morale.
Non c’è Dio, Allah, Jahvè che possa competere con il Denaro. A meno che fedeli e infedeli rinsaviscano, si ricongiungano alla terra e ritrovino la loro vera, straordinaria ricchezza.

(Il post non è ispirato al libro di Antonioli, ne riporto l'immagine di copertina solo perché ne serbo un ricordo piacevole e nitido nonostante siano trascorsi anni dalla lettura)

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