vi
scrivo perché vi resti una traccia, uno spunto, magari una speranza.
Che
voi crediate in Dio, Allah, Jahvè (mi accontento di citare questi tre) o non
riconosciate alcun Supremo, siete uomini e donne, creature di questa terra come
me. Minuscole schegge di vita nello spazio infinito e nel tempo eterno ma pur
sempre punti di luce.
Il
giorno, la notte, la nascita e la morte, fanno parte di un disegno ben più
grande di noi. Ma noi ci siamo dentro, almeno per un rapido passaggio. Quello che
sempre basta a cogliere tanto la meraviglia quanto l’orrore.
Siamo
qui a soffrire, siamo qui ad amare.
Non
ci è dato sapere quale sia davvero il senso di tutto e tutti ma pensiamo che il
bene più prezioso che abbiamo sia l’intelletto. Paradossalmente proprio quello
che tradiamo, maltrattiamo, umiliamo. Già, che sia anima o raziocinio, lo
ostentiamo con vanto ma stentiamo a rispettarlo e a coglierne il respiro.
Forse
è proprio l’orgoglio del pensiero ad averci accecato.
Beate
quelle che chiamiamo bestie, mirabilmente in armonia con la grandezza e l’essenza
della natura. Loro non hanno la nostra stupidità. Conoscono l’incertezza, il
limite, la prudenza, la pazienza. L’istinto le tiene serenamente alla larga dalla
smania di possedere le chiavi del mondo.
Mica
è una semplificazione, questa. Al contrario. L’illusione prepotente ci ha reso
miserabili, fallaci, superficiali. Non c’è crudeltà che possa davvero stupirci,
l’abbiamo messa in conto come inevitabile o addirittura desiderabile. Troppo lontani
da quel fiuto animale che terrebbe a bada lo sproposito.
Più
di qualsiasi anelito, infedeli e fedeli dovrebbero avere nel sangue l’impulso
alla felicità. Parola enorme, non esiste, ripetiamo in coro, fedeli e infedeli
finalmente concordi. Forse è vero ma l’impulso no, quello può esistere eccome. La
ricerca, il cammino verso. E allora il male del nostro intelletto è solo
ostinarsi all’egoismo e all’idiozia. Fare finta che gli sprazzi di felicità
possibile siano nel benessere individuale, in qualche fantomatico trionfo, nell’idea
di essere sopra gli altri. E così non facciamo che condannarci, gli uni con gli
altri e tutti insieme, all’infelicità perenne.

E’
una menzogna la difesa inconscia. Noi difendiamo consciamente la nostra paura
di non essere unici. Che pena! Magari combattiamo per essere ‘migliori’ quando
senza armi siamo unici. Magari nutriamo odio avvelenandoci fino a insultare la
nostra stessa linfa quando affetto e simpatia ci riempirebbero di risorse ed
energie. Smettiamo di ridere, di imparare, di camminare, di sognare. In nome di
qualcuno o di nessuno. Ma di sicuro in mano a chi dell’intelletto ha fatto l’uso
più bieco e spietato: una ricchezza senza alcun valore morale.
Non
c’è Dio, Allah, Jahvè che possa competere con il Denaro. A meno che fedeli e
infedeli rinsaviscano, si ricongiungano alla terra e ritrovino la loro vera,
straordinaria ricchezza.
(Il post non è ispirato al libro di Antonioli, ne riporto l'immagine di copertina solo perché ne serbo un ricordo piacevole e nitido nonostante siano trascorsi anni dalla lettura)
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