Lo
conosci quel lamento? Quello dei ricchi che si guardano le spalle e non sanno
più di chi fidarsi. Quello dei ricchi che provano lo sconforto di ricevere
riguardi e non rispetto. Quello dei ricchi che respirano la noia dei desideri
esauditi in un lampo. Quello dei ricchi che rischiano di essere posseduti dalle
cose che hanno e devono avere.
Si,
lo conosciamo più o meno tutti, noi che ricchi non siamo.

Sembrano
storie parallele, destinate quindi a non incrociarsi, al massimo a sbirciarsi,
l’un l’altra, di lontano. Magari con sospetto, invidia, rassegnazione,
perplessità. Oppure con un languore. Qualcosa che assomiglia a una vaga
percezione di disagio. E’ quello il momento esatto in cui si fa largo la
consapevolezza di quanto ognuno possa sprofondare nel vuoto se non trova il
modo di far convergere i cammini verso una sorta di punto d’incontro.
Sarà
solo un istinto romantico, debole, ideale?
Ho
l’impressione che la felicità sia una parola grossa da maneggiare. Forse per
gli umani si palesa solo in guizzi. E d’altra parte anche la serenità è una
chimera, tanto per i ricchi quanto per i poveri. So che l’equilibrio non esiste
e che il mondo vivrà per sempre degli uni e degli altri e non di un miscuglio a
dose perfetta. Eppure ho la sensazione che sia molto sciocco illudersi e
smaniare per un’esistenza almeno sopportabile senza mettere in conto di giocare
un po’ a viso aperto e carte scoperte. Senza osare la magia delle mescole e
degli impasti.
Dite
che è difficile immaginarli, i ricchi felici di condividere benessere, aria e
giornate con i poveri? Chissà…