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domenica 15 aprile 2012

L'onda grigia

Chissà perché lo scroscio copioso della pioggia ti faceva sempre quell’effetto. Forse l’onda grigia della tristezza del cielo.
Fasciata in quello scialle sembravi una bambina vecchia e sbiadita dal dolore. Mordevi le labbra per stringere forte la rabbia e la tensione. Ti accovacciavi in un angolo perché nulla potesse ferirti alle spalle. Così, come uno straccio bagnato che raccoglie l’umore della terra. Tremavi come se sentissi qualcosa di feroce in arrivo, uno sguardo, una mano forse. E il respiro non faceva che saltellare, muto poi tumultuoso poi ansimante come una macchina che fatica, arranca, accelera e poi perde colpi.
Stanchezza, terrore. Con due occhi gonfi e rossi che stravolgevano il viso. Con il busto che ondulava fino a toccare le ginocchia e poi ad allontanarsi, allo stremo delle forze ma incapace di cedere.
Uno strazio che lacerava l’aria oltre a spaccare il tuo petto, a frantumare i minuti e a urlare una tragedia che continuava a compiersi come se fosse proprio destino che si attorcigliasse su se stessa senza fine. Non un’esplosione, un fuoco che consumava lento e anneriva i contorni di tutti, bruciava i sogni nelle urla disperate e nella speranza evaporata nel fumo.
E piano piano ad osservarti capivo quanto vicina fossi a quello spazio piccolo, lo spazio di un fagotto dove le pareti si incontrano, madido di sudore e pianto, scosso da un moto atroce, con le labbra rotte dai denti…
Diventavo lo stesso corpo, la stessa anima. Spettatrice di un viaggio da protagonista nel mondo parallelo dell’angoscia.
Capita così, di guardarsi dentro come se fossimo davanti ad uno specchio o come se fossimo davvero spettatori. Uno spirito perso. Una scheggia impazzita. Un brandello di noi. E anche un cuore che trabocca. Di una sensibilità così acuta da far male, da piantarsi come un coltello nella carne.
Nessuno sa se potrai dire basta. Se ti alzerai e camminerai, verso il centro della stanza. Se ti torturerai ancora, ancora, ancora.
Lucida e assolutamente assente. Insieme. Come se gli opposti non fossero che la medesima cosa. Come se fantasmi e luci giocassero a nascondino. E ti strapazzassero di coraggio e di paura. Perché questo è il filo sottile che corre tra dentro e fuori.
La spirale assurda delle cose che accadono è dolce normalità rispetto a quel confine torbido tra la tua fragilità e la solida perversione di un cammino accidentato. E questa sensazione ha un senso solo se la provi. Se ti si rovescia addosso come quello scroscio copioso della pioggia che rimbalza l’onda grigia di una tristezza incontenibile.

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