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venerdì 26 ottobre 2012

Scuola di sospiri


Teoricamente il sospiro esprime un turbamento, ciò che fa sospirare insomma dovrebbe essere un desiderio o un rimpianto.
Ma come sempre accade nella realtà anche un soffio con il suo flebile rumore può significare molte più cose, tradurre tante sfumature d’animo e situazione. C’è il sospiro effimero e interlocutorio, c’è quello che sbuffa un po’ di noia mista a pazienza, c’è quello di sollievo. C’è…il gemito d’amore. C’è quello di liberazione. E c’è quello che emettiamo, un po’ più sonoramente, quando vogliamo chiamare a raccolta tutte le forze prima di muoverci verso una decisione, un’azione, un esercizio di estrema e delicata tolleranza.
Talvolta è meraviglioso muoversi nella leggerezza del sospiro, altre volte è uno strazio. Quando si pianta nell’aria a bucare il disagio finisce per amplificarlo: ti arriva stridulo e appiccicoso nelle orecchie, come a sottolineare l’impasse. E quando ancora ti alita addosso l’ansia mal trattenuta è come una odiosa puntura.
Però quello più incandescente è quello molle! Sbavato lì con una smorfia da perfetti vanesi o lasciato evaporare con viscida boria. Esce dalla bocca di uomini e donne con il vizietto, appunto, del melenso capriccio sornione o della urticante supponenza.
Alla mia scuola di sospiri, per simili fiati - francamente molesti e fastidiosi - si raccomanda di rispondere con un calcio ben assestato nel posteriore, cribbio. Dopo potete anche sospirarci su!

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