Spappolata
sotto un macigno che nessuno vede. E un egoismo abnorme, agghiacciante. Tu non
senti che la tua voce. O le tue voci. Non conosci che il tuo bisogno e non puoi
avere pietà che di te stesso. Dilaniato, afflitto, infelice.
Eppure
si leva forte, come un macabro scherzo, la superbia. Come un guizzo nervoso,
una sfida da bambini, un contorsionismo dell’ego.
Faccia
da schiaffi, allora.
E
dopo la bufera. Quella dell’angoscia, per un pentimento fasullo e
appiccicaticcio. Noiosamente sterile e stonato. Perché invochi il perdono,
appunto, per puro egoismo. Per levarti dal groppone in un baleno il peso della
tua arroganza, della tua perfidia, della tua insolente indifferenza. Non ti
interessano affatto le emozioni di chi è costretto a ripeterlo mille volte,
quel grottesco perdono. Non ti riguarda come sta, cosa gli fai vivere, quanto
stordimento e quanta ansia e quanto dolore e quanta disperazione abbia nel
cuore.
Pazienza,
bisogna avere pazienza.
Ma,
soprattutto, bisogna sapere che non serve.
Tutto
si ripete, tragicamente immutabile.
che poi sono discorsi che vengono fatti dopo...
RispondiEliminaquando (si spera forse) è troppo tardi.
Eh si........;)
RispondiEliminaCiao sqwerez...vengo a conoscerti !
Altro che perdono, quel tizio merita la pena di morte :-)
RispondiEliminaCiao Irene, buona giornata, a presto
dragor (journal intime)
Uhm.....Dragor!!!!!!!!!
RispondiElimina;)