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lunedì 11 marzo 2013

Rocco Scotellaro: “E’ fatto giorno” a Tricarico



Le pietre, le colline tonde e la natura di tanti colori mi accompagnano a Tricarico (MT) che mi accoglie movimentato, quasi caotico nell’esteso complesso che accoglie le architetture e l’urbanistica di sovrapposizioni e comunioni culturali e temporali.

La radice storica di Tricarico è nel borgo denominato Rabatana, l’antico quartiere arabo-saraceno, ma a questa si affiancano le successive tracce normanne e degli insediamenti ebraici. L’ambiente intorno è un trionfo di varietà in una natura affascinante che si mostra nella vegetazione boschiva e nelle aree agricole fino ai terrazzamenti degli Orti saraceni.
La giornata è splendida, l’aria è tersa e qui più di ogni visita d’arte voglio camminare, annusare l’aria, guardare il panorama e provare a sentire e vedere con i sensi di Rocco Scotellaro, il poeta contadino, il politico, l’amico di Carlo Levi.
Fu sindaco di Tricarico, Rocco Scotellaro. E fu proprio nel 1946, quando Carlo Levi si candidò all’Assemblea Costituente, nella circoscrizione di Potenza-Matera, che Scotellaro lo incontrò per la prima volta. Credo fosse inevitabile la grande amicizia che da lì nacque! Levi fu il suo mentore, ebbe a dire lo stesso Scotellaro. Entrambi peraltro fortemente impegnati per la “questione meridionale” si frequenteranno assiduamente fino alla precocissima morte di Scotellaro.
Rocco con l'asino- Carlo Levi
Così come lo zelo e la passione di Scotellaro per il riscatto della Basilicata dall’arretratezza e dalle condizioni di povertà e abbandono che la ponevano fuori dalla  “civiltà dello Stato” come la sua lirica di amore vibrante per l’anima di quella terra trovarono in Levi uno dei più grandi e profondi spiragli di luce.
Sono stati passi commossi, i miei. Di dolore e rabbia.
Non avrebbe dovuto morire a Portici, Rocco Scotellaro. Avrebbe dovuto essere abbracciato da quei volti, da quelle ginestre, da quegli asini, da quelle pietre che lui aveva cinto di speranza e lotta. Chissà se oggi il ricordo può essere risveglio…
Questo mi metto a cercare e a pensare. Ma sgomberando l’orizzonte dal “progresso” delle case, delle cose e delle macchine la realtà è ferma a quel tempo di speranza e di lotta. Sessant’anni.
Ma non voglio rassegnarmi, non posso. Questione di coraggio e ardore.
La politica e la stessa letteratura di Scotellaro, e vieppiù di Levi, non sono state mera celebrazione. Raccolgo la denuncia, l’urlo di allarme e indignazione, la coscienza umana e civile per ricordarle, per continuare a dare loro voce e senso, perché non sia infinita agonia.
Sosto solo qualche minuto in piazza Garibaldi, per un caffè ottimo. Ho bisogno di allontanarmi, trovo quiete in una frazione silenziosa, perché la preziosa eredità non si disperda in quelle voci confuse del quotidiano.
Che il cielo sia lieve, Rocco. E grazie, di tutto.
Lascio Tricarico con “il suono del campano al collo di un’inquieta capretta”.

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