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venerdì 17 luglio 2015

Il mio ozio creativo

Non avrei mai immaginato di arrivare a farmi vanto, del mio ozio creativo. Non sono avvezza all’autocelebrazione e, comunque, che lode dovevo tessermi?
Istinto, puro istinto. Mica una di quelle virtù dell’impegno e del sudore, tanto per intenderci. Gli anni però mi hanno portato davanti stoici del dinamismo ad oltranza. Non alludo agli entusiasti del fare, agli attivi positivi, a chi per natura si rimbocca le maniche e non poltrisce in apatia. Mi riferisco agli ossessionati dal ‘movimento’, quelli che devono stordirsi di appuntamenti, avere l’agenda sovraccarica di incombenze, non concedersi mai un minuto di libero pensiero.
Accidenti, che angoscia. Roba diversa dall’ansia che pur suscitano, costoro. L’angoscia contiene tristezza e disperazione. Siamo sprofondati nell’abisso che non permette sane tregue? E con chi dialogare dunque?
La battuta di arresto culturale affonda le radici anche in questo caotico stress senza sostanza. Tanti sembrano proprio convinti che sbattersi tutto il giorno tutti i giorni incastrando i minuti sia il massimo, del dovere e del diritto.
E allora mi preoccupo. Non poco. Che ne sarà degli approfondimenti, della meditazione, della fantasia, delle passioni estrose, del gioco? E’ in tutto quello che nutre la nostra amica che possiamo attingere per ‘creare’ e per crescere. Sia detto che la crescita non è una sorta di inutile ‘progresso’ forsennato, è maturazione, miglioramento.
Lavoro sodo, altroché. Senza lesinare energie, con serio zelo e enorme partecipazione emotiva. Ma se non coltivassi il lusso di starmene talvolta in panciolle nel ‘nulla’ pieno di dimensioni, orizzonti, colori, idee, riflessioni, non potrei produrre qualcosa di buono neanche con tutta la capacità e la tenacia del mondo. Davvero.
Se non leggessi, non ascoltassi, non guardassi in giro che cazzo (splendido termine oxfordiano) potrei sapere, capire, dire, scrivere?
Ho bisogno di prendere le distanze, per vedere. Capita eccome, pure al fotografo che vuole inquadrare bene la scena. Mi serve mettere insieme i pezzi per sbandierare il puzzle, non ce l’ho in borsa pronto all’uso. E se anche ce l’avessi che gusto ci sarebbe a non averlo sognato e gustato passo dopo passo?
La frenesia forse è anche la malattia di chi fugge. Perennemente. Di chi ha paura di affrontare i propri percorsi interiori o quelli della vita. Un po’ si può magnanimamente comprendere. Succede, anche a me. Di accantonare un momento, una circostanza, un problema, un argomento per ‘salvarmi’. Però non si può respirare di rimozione costante e assoluta, su!

Il rischio è evidente. Il famigerato vuoto cosmico che opprime è uno spettro inquietante. Perché del mio ozio creativo potrei finire a farmene poco fossi sola ed emarginata. Le voci dello stesso coro devono invece unirsi. E non cedere. Mai.

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