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sabato 26 maggio 2018

E goditela...la vita!


E goditela, la vita! Tu che puoi, quando puoi, finché puoi.
Questo significa rispettare. Rispettare te stesso, la vita, gli altri. Gli altri che magari hanno proprio meno di te da godere.
Goditela, senza cercare chissà dove e chissà cosa. Brucia l’insoddisfazione una volta per tutte. E scendi, dall’arroganza di ignorare chiunque. Conti come tutti, né più né meno.
Abbi cura di ascoltare e vedere. Abbi cura di considerare il dolore e la fatica altrui. Abbi cura di mettere un po’ di delicatezza nei tuoi giorni.
Abbi cura di ricordare che tante volte ci sentiamo soli perché altrettante volte abbiamo lasciato sole altre persone.

mercoledì 27 dicembre 2017

Verso il 2018

Cosa ci sarà mai in questi giorni di mezzo, sospesi tra feste, a cavallo tra anni?
L'atmosfera è sempre quella. Quella della speranza che monta. Perché non vuoi crederci ma riponi aspettative, in quel salto di agenda e calendario. Potremmo fare, essere, cambiare o sognare ogni giorno ma quando si avvicina il numero nuovo abbiamo l'impressione che le energie si sveglino per augurarci qualcosa di più, di meglio. 
Perfino archiviare un diario e prenderne in mano uno fresco di stampa ci consegna la stessa sensazione: le pagine ancora bianche, pronte ad accogliere i nostri pensieri, i nostri progetti, le nostre imprese. E l'audacia è tutta lì in quel piccolo brivido di piacere che corre lungo la schiena. Che anche se fai finta di essere un po' fuori dalla luccicante lusinga dei botti, prendi in mano la penna e scrivi bene. Come se anche la grafia sorridesse, alle opportunità, ai desideri, ai bisogni.
Proviamo a compierlo, questo rito. 

giovedì 12 gennaio 2017

I morti che vivono

Ce lo ripetiamo sempre, che i nostri cari non muoiono del tutto. Vivono in noi.
Ci sono assenze però alle quali non bastano i ricordi. Fanno un male crudele. Perché qualche morto non ha potuto vivere abbastanza o ci ha lasciato con l’amore e la forza a metà. Perché ti racconti che sono al tuo fianco ma non li vedi e non li senti.
Forse c’è molto egoismo, nell’idea che un affetto non debba farci piombare nella solitudine, se ne vada senza curarsi di come staremo e cosa faremo. E forse c’è molta fragilità, in quel terrore di parlare e non avere risposte.
La vita continua, come lo spettacolo. Ma vai a spiegarglielo, che deve sorridere anche con il cuore rotto.
E comunque non è naturale. No, non lo è. Che l’addio non ci scaraventi nel pianto. Possiamo continuare a camminare, lo so, ma quello strappo nessun sarto lo può rammendare. Vaffanculo, a te che credi che sia tutto facile, che ci sia sempre una spugna a cancellare le facce. Può darsi che a te riesca, dimenticare, ma in fondo neanche te lo auguro. Che anima brulla saresti senza un dolore nel petto?

Va bene, i morti un po’ vivono. Nei nostri sospiri. Quando li chiamiamo fanno finta di non sentirci perché se ne stanno in pace nel loro riposo al riparo dal mondo. Mettiamola così, almeno per sopravvivere.

mercoledì 7 dicembre 2016

Incontrare la vita

Succede ai bambini. Che si mettono all’altezza dei piccioni e danno loro da mangiare senza affatto pensare che sporcano o portano malattie o invadono le piazze. Quelle sono cose che tristemente scoprono dopo. Quando diventano adulti e la vita la incontrano meno.
Succede ai bambini. Di ridere, piangere, giocare perché così è la vita, nel momento preciso in cui la toccano e con le emozioni che provano. Dopo crescono e tutto è diverso. Si ritraggono, quasi. Puntano il dito, tengono a bada l’istinto, si fanno furbi o aridi o ciechi. Sanno cose strabilianti ma quasi smettono di godere, dei piedi nudi, di una pozzanghera, delle creature intorno e di quello che è lì, a toccare loro il cuore.
Per fortuna che davanti a una fotografia che immortala la tenerezza della semplicità siamo ancora capaci, grandi e vecchi che diventiamo, di commuoverci o sorridere.

Foto di Sonyetta, che ovviamente ringrazio per l’ispirazione. 

martedì 15 novembre 2016

Sogno di diventare ricca

Direte che ho poca fantasia, lo so.
La verità è che la ricchezza non è mai stata un mio sogno e anche al risveglio, a occhi aperti, pensavo non valesse affatto la pena di inseguirla.
Insomma contava riuscire a vivere senza pesanti affanni economici.
Oggi invece sogno di diventare ricca. E vorrei realizzare il sogno per misurarmi e misurare la mia coerenza. Terrei per me qualcosa in più di quel che serve a una vita senza affanni, lo dico, perché vorrei tranquillità, libri, cucina, teatro, cinema, musica senza limiti, e cercherei di garantire la medesima situazione ad altri.

Ecco, credo che sia bellissimo poter sollevare qualcuno dagli assilli economici. I denari a questo sono utili, talvolta addirittura indispensabili: a creare le condizioni di pensieri sereni. Non tiro in ballo la bontà, badate bene, ma la serenità. Perché solo così, sogno e penso, potremmo tutti godere un po’ di questo brevissimo passaggio che è la nostra esistenza.

sabato 30 luglio 2016

Marta da legare

Fiumi di immagini, voci e inchiostro su Marta Marzotto. Come sempre.
Non si è spento il suo sorriso, non possono spegnersi i riflettori.
Perché lei continuerà ad essere ammirata e amata. Perché lei è nell’aria che vogliamo respirare. Perché lei è una lezione che sfida epoche e geografie. Perché lei è una fiaba destinata a non morire.
Non ti scimmiotterò mai, Marta. Non ci riuscirei. E neanche dovrei. Non lo vorresti, tu, simbolo della personalità e della libertà ‘giusta’. Si, giusta.
Hai fatto il tempo, non l’hai attraversato. Hai vissuto, davvero. Hai mostrato al mondo la tua natura, autenticamente. Hai incarnato a meraviglia la passione, la tenacia, l’energia, l’entusiasmo, il coraggio.
Che Donna.

Marta da legare fuori da qualsiasi gabbia. Chapeau.

giovedì 27 agosto 2015

Sculettare

Più o meno incedere con ondeggiamento delle anche. Un po’ moto naturale, un po’ civetteria, diranno gli uomini avvezzi a posare lo sguardo sulla donna che sculetta.
Questa è la natura. Già, quella del sedere che si mena, o è menato, a destra e a manca. Come quei viottoli di campagna nella luce alta del sole d’estate quando l’aria brilla e ogni gomito pare che oscilli come una canna al vento. Come quegli aquiloni incerti, che tremano appena nei primi metri di cielo immobile. Come i gatti che sembrano sempre in posa sinuosa per una fotografia. Come le nuvole, quando fanno i loro piccoli soffici viaggi.
La malia di quello che sculetta è un po’ come l’incanto del pendolo che ci fa spostare lo sguardo di qua e di là, che ci rimanda in mente chissà cosa di lieve, che mentre attira la nostra attenzione ci ha già inebriato.
E’ bello, quell’andamento un po’ così. Quello che ti lascia uno spiraglio di fantasia. Quello che vorresti fermare con le mani ridendo come i bambini euforici.

C’è chi impara l’arte, di sculettare. E chi si sveglia sculettando al mattino porgendo un sorriso al giorno. Come le tende dietro la finestra socchiusa in primavera. Un dipinto di vita.

venerdì 17 luglio 2015

Il mio ozio creativo

Non avrei mai immaginato di arrivare a farmi vanto, del mio ozio creativo. Non sono avvezza all’autocelebrazione e, comunque, che lode dovevo tessermi?
Istinto, puro istinto. Mica una di quelle virtù dell’impegno e del sudore, tanto per intenderci. Gli anni però mi hanno portato davanti stoici del dinamismo ad oltranza. Non alludo agli entusiasti del fare, agli attivi positivi, a chi per natura si rimbocca le maniche e non poltrisce in apatia. Mi riferisco agli ossessionati dal ‘movimento’, quelli che devono stordirsi di appuntamenti, avere l’agenda sovraccarica di incombenze, non concedersi mai un minuto di libero pensiero.
Accidenti, che angoscia. Roba diversa dall’ansia che pur suscitano, costoro. L’angoscia contiene tristezza e disperazione. Siamo sprofondati nell’abisso che non permette sane tregue? E con chi dialogare dunque?
La battuta di arresto culturale affonda le radici anche in questo caotico stress senza sostanza. Tanti sembrano proprio convinti che sbattersi tutto il giorno tutti i giorni incastrando i minuti sia il massimo, del dovere e del diritto.
E allora mi preoccupo. Non poco. Che ne sarà degli approfondimenti, della meditazione, della fantasia, delle passioni estrose, del gioco? E’ in tutto quello che nutre la nostra amica che possiamo attingere per ‘creare’ e per crescere. Sia detto che la crescita non è una sorta di inutile ‘progresso’ forsennato, è maturazione, miglioramento.
Lavoro sodo, altroché. Senza lesinare energie, con serio zelo e enorme partecipazione emotiva. Ma se non coltivassi il lusso di starmene talvolta in panciolle nel ‘nulla’ pieno di dimensioni, orizzonti, colori, idee, riflessioni, non potrei produrre qualcosa di buono neanche con tutta la capacità e la tenacia del mondo. Davvero.
Se non leggessi, non ascoltassi, non guardassi in giro che cazzo (splendido termine oxfordiano) potrei sapere, capire, dire, scrivere?
Ho bisogno di prendere le distanze, per vedere. Capita eccome, pure al fotografo che vuole inquadrare bene la scena. Mi serve mettere insieme i pezzi per sbandierare il puzzle, non ce l’ho in borsa pronto all’uso. E se anche ce l’avessi che gusto ci sarebbe a non averlo sognato e gustato passo dopo passo?
La frenesia forse è anche la malattia di chi fugge. Perennemente. Di chi ha paura di affrontare i propri percorsi interiori o quelli della vita. Un po’ si può magnanimamente comprendere. Succede, anche a me. Di accantonare un momento, una circostanza, un problema, un argomento per ‘salvarmi’. Però non si può respirare di rimozione costante e assoluta, su!

Il rischio è evidente. Il famigerato vuoto cosmico che opprime è uno spettro inquietante. Perché del mio ozio creativo potrei finire a farmene poco fossi sola ed emarginata. Le voci dello stesso coro devono invece unirsi. E non cedere. Mai.

martedì 6 gennaio 2015

Brutti ma buoni

Brutti ma buoni. Che sono anche delizie per il palato, lo so. Ma non penso a quelle. Vado dritta alle squisitezze dell’anima. Loro, i brutti ma buoni, hanno una marcia in più.
Fuori da ogni ipocrisia la storia dell’immagine è roba grossa. Oggi più che mai, forse. Si, diciamolo, siamo chiamati a essere belli. E allora loro, i brutti, dovrebbero quanto meno essere inaciditi. Dalla rabbia e dall’amarezza. Insomma la sfortuna dovrebbe scuotere i loro nervi e la loro anima.
E invece eccoli sfoderare, invece dell’umore nero e della perfidia, un soave sorriso, un gesto gentile, una pazienza amorevole. Brutti ma buoni. Uno spettacolo di personalità, una forza della natura, una lezione di vita.

Perché chi è messo alla prova o frana o si leva più in alto di tutti. E loro sono lassù, molte spanne sopra noi bellocci o guardabili che magari ci diamo pure qualche aria o ci lagniamo di chissà che.

sabato 24 maggio 2014

Cerco un ghostwriter

Cerco un ghostwriter: una di quelle mail che leggo con molto piacere, visto che profumano di possibile incarico.
Normalmente sono mail che contengono informazioni, spiegazioni, domande. In qualche caso invece l’autore si cela dietro un nickname e svela praticamente nulla del lavoro che vorrebbe commissionare. Io comprendo un po’ di diffidenza digitale, un po’ di prudenza letteraria e pure un po’ di disagio e uso quanta più possibile delicatezza e gentilezza però, da buon ghostwriter, faccio fatica a ‘calarmi nella parte’ alla cieca.
Rispettare segretezza e riservatezza non può includere disponibilità e offerte senza un sensato riferimento alla concretezza del servizio da rendere. Questo, caro prezioso autore, devi capirlo. Anzi, ammirarlo. La faciloneria con la quale chiunque potrebbe garantirti un best seller con due righe e quattro soldi non fa per te. Tu meriti attenzione e serietà. Per incontrarle, pure per pretenderle, devi prestarne altrettante. Parla chiaro, chiedi, metti alla prova, muovi una corrispondenza. Non lasciare tutto nel mistero, metti in crisi il ghostwriter e rischi di perdere l’occasione di un'esperienza proficua.
Magari una risposta inadeguata o poco esauriente è frutto di scarsi o ambigui spunti e così saltano le possibilità di soddisfacente collaborazione. Le migliori combinazioni nascono dalla reciproca correttezza, dalla fiducia e dall’entusiasmo che siglano un’alleanza.

Infine, stimato e agognato autore, insisti a sondare formazione, stile e sensibilità del ghostwriter, non a chiedergli referenze che, proprio se è persona affidabile, non potrà mai darti. Vorresti tu che spifferasse al mondo di essere la tua penna o la tua tastiera?

sabato 25 gennaio 2014

Togliere il surplus

Bisognerebbe smettere di tacere solo quando abbiamo davvero qualcosa da dire. O da scrivere. L’unico rischio è un silenzio assordante…

Almeno con me stessa ho potuto raggiungere un compromesso che ha l’aria di essere dignitoso: dire o scrivere poco. In effetti era un vecchio desiderio che ora può essere accontentato. Rientra nell’opera di denudamento, fino all’essenziale. E già mi sento più leggera.
(dipinto di Jean Jacques Henner)

lunedì 20 gennaio 2014

Il grande Gatsby

Infine l’ho riletto, Il grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald. Qualche volta le letture di gioventù ritornano, per varie ragioni. In questo caso più di tutto ha potuto la spinta a rimettere i sensi in gioco nella miseria del Grande Sogno.
Sullo sfondo degli anni 20 americani con la crescita economica, i party, il proibizionismo e il conseguente contrabbando, la frenesia e la frivolezza collettive quello di Fitzgerald è il romanzo che più che il grande sogno americano ne narra la fragilità e l’acuta parabola discendente. Con una prosa da avvincente letteratura si destreggia tra amarezza, satira, realismo, saggezza.
La depravazione morale di una ricchezza svincolata dal pudore e dal valore dei sentimenti è tanto più devastante quanto più si confonde con le storie di uomini e donne impregnati di effimera, inquietante apparenza. Storie che sprofondano nella superficialità, si stordiscono nel lusso, si aggrappano alle cose. Storie che riducono la vita a una manciata di ebbrezze, a sciocche esibizioni, a disperati inseguimenti di un fasullo benessere.  
Il grande Gatsby mette impietosamente a nudo lo squallore delle debolezze e la povertà intellettuale, emotiva, affettiva. Lo fa in una trama densa, a tratti quasi esasperata, cucita addosso al tempo, ai personaggi, alla vacuità delle brame e delle ossessioni. Ma anche con il ritratto intenso e struggente di un sogno amoroso che sembra l’unico capace di scalfire la disastrosa follia di una vita inutile.
Jay Gatsby è fuori dalle righe, in tutto. La sua sfacciata agiatezza ha dubbie o riprovevoli provenienze ma per quanto su questo l’intera West Egg (Long Island, New York) si agiti in congetture e giudizi la sua spettacolare villa è meta perenne di veri e propri pellegrinaggi, gare di presenza e di esibizione. La verità è proprio in quella oscena farsa sociale. Mentre Gatsby è animato dal desiderio di riconquistare Daisy, la donna che non aveva potuto sposare da povero e che è decisamente attratta solo dai soldi, tutte le figure che ruotano intorno a lui sono prive di ideali, decenza spirituale e dignità. Chi vorrebbe condannarlo è in realtà un’accozzaglia di spregevoli opportunisti svuotati da qualsiasi umano rigore e bellezza esistenziale che preferisce giovarsi della sua casa, delle sue feste, della sua stravaganza.
Nessuno, neanche lontanamente, percepisce lo spessore e lo strazio di Gatsby. Salvo Nick Carraway, l’unico che oltre a comprenderlo imparerà a rispettarlo.
Nonostante il potere economico Daisy non se la sentirà di lasciare il rozzo ma agiato marito per una persona così diversa, romantica, profonda. Gatsby troverà la morte per mano di Wilson e di un tragico “equivoco” ma, tutto sommato, era già morto prima o sarebbe morto comunque con il sogno tradito e infranto. Gli sarà accanto solo Nick che, proprio davanti alla triste evidenza del fallimento umano di quella società malata, dopo averlo sepolto lascerà  West Egg e tornerà nel Mid West.
Un libro notevole, per tessuto e respiro. Un libro di straordinaria intensità e di impeccabile “tecnica”. Le esemplari caratterizzazioni rendono in modo pieno atmosfere, brutture, degenerazioni.

Per me resta il libro di Jay Gatsby e di Daisy nonché di Nick Carraway, la magnifica voce narrante. Valido per l’epoca dell’illusione e dello sgretolamento del Grande Sogno americano e attualissimo oggi dall’altra parte dell’oceano. Il consumismo, i lustrini e le smanie ostinate del nulla continuano a lacerare la cultura e il pensiero, a mortificare la spiritualità, a generare frustrazioni insulse e inquietanti.

sabato 23 novembre 2013

Momenti e pensieri lenti su una panchina

Il vecchio vive la lentezza come un accidenti delle gambe, un ingombro alla libertà, un fardello del tempo. Ma ci sono molti momenti e molti pensieri che non devono avere fretta e godono dei suoi passi piccoli e delle sue soste.

Scelgono una panchina e, talvolta, un orizzonte senza troppe pretese: qualcosa che non faccia troppo chiasso e non impegni troppo la vista. Uno scorcio consueto nel quale possano sentirsi a casa, ecco questo vogliono certi momenti e certi pensieri. Lì sono al loro posto e possono trovare comprensione. O un senso di adeguatezza. Già. I momenti e i pensieri spesso hanno le loro radici proprio in quello spicchio di mondo. Lo spicchio di mondo che sta anche nella velocità o nella lentezza e in tutte gli anni che fanno le rughe. Nelle cose da prendere come vengono. E nella vita che continua a fare a meno di quello che non arriva.
(Dipinto di Peter Gallen)

martedì 19 novembre 2013

Il ritardatario

C’è un ritardatario inclemente con il ritardo altrui.
E’ un tizio dall’orgoglio troppo arzillo per il quale la tranquillità è una sorta di diritto inviolabile. Se ne sta arcigno sulla sua pigrizia aspettando il rispetto di tutti.
E’ rassegnato ai suoi indugi e alle sue grettezze, a tratti par quasi ne vada addirittura fiero.  Ma guai se qualcuno osa indugi o grettezze con lui. Lì sfodera una ferocia da lupo affamato.
E’ riottoso a qualsiasi evoluzione altrui o, meglio, la giudica con disprezzo se non arreca a lui, magnanimamente, beneficio. Anzi, talvolta fa di più. La rifiuta categoricamente ma, straziandosi di invidia, cerca di farla a brandelli. Usa l’accetta. Invoca la morale, la giustizia divina e chissà quali altre sacre o profane ragioni per inficiarne la bellezza o la bontà.
E’ una faccia imbronciata, con gli occhi critici zeppi di rancore. Parco di sorrisi e per lo più pure di parole che vadano oltre i suoni del lamento. Vuole attenzioni, lui. Ma non ha delicatezza sufficiente per elargirne, mai. Sta impettito a braccia conserte e rimugina con rabbia sull’interesse che non riesce a suscitare. D’altra parte non è interessato a quello che potrebbe fare da solo e, tanto meno, curioso di sapere e capire cosa fanno gli altri per rendersi interessanti o quali siano le cose davvero interessanti da scoprire.

E’ un uomo inclemente con la vita stessa, ecco tutto. Che trova comodo, talvolta assai, giudicare inclemente la vita così da potersi disperare un po’, farsi compatire o avere almeno un posto nella storia, quello della desolazione.

giovedì 14 novembre 2013

Signor gatto

Il mio padrone è bello, dolce e geniale.
Mi ospita in casa sua con generoso spirito conviviale. Mi regala momenti impagabili. Mi
insegna cose che noi umani non comprenderemmo neanche nel corso di un paio di vite. Mi dispensa dalle coccole quando non è dell’umore adatto. Mi scalda d’inverno e sta alla larga d’estate, così da ricordarmi le stagioni senza bisogno di calendario.
In verità provvede anche a stropicciare quello che è stato stirato e a stirare ciò che giace stropicciato su una poltrona. Mi induce a tutte le buone norme di igiene e ordine: mettere i coperchi, non lasciare prodotti alimentari incustoditi, non abbandonare la tavola apparecchiata. E’ capace pure di trasmettermi il rispetto per il cibo: non si butta, si mangia.
E non è ancora tutto. Riesce sempre a sedersi, prima di me, nel mio posto preferito facendomi comprendere quanto è importante il tempismo, nella vita. Gioca con qualsiasi cosa, non bada al valore: vuole invitarmi a non disprezzare alcunché e, anzi, a gustarmi l’utilità di ogni oggetto. Mi fa comprendere in un balzo che ha notato le tende nuove. E si infila in qualsiasi borsa o scatola che varca in entrata la porta di casa: vuole dimostrarmi quanto conta l’attenzione. E’ interessato a ogni passo, a ogni voce, a ogni respiro, a ogni occasione: la vita è tutta lì, intuito, istinto, sfida e piacere.
Il mio padrone è molto pulito e fa la toletta completa un’infinità di volte al giorno. In compenso è così tollerante e buono da sopportare qualsiasi mia mancanza di profumo: pure una scarpa da ginnastica tolta dopo il sudore di un paio d’ore di palestra merita un’annusata.
Vuole acqua fresca, ciotole lavate almeno due volte al giorno e pappa dignitosa, possibilmente la stessa che vede nel mio piatto. Insomma adora condividere, anche se è cucina per gli umani, si adatta. Fa parte, è di tutta evidenza, della sua saggezza.
Avrei molto da aggiungere, se solo potessi picchiettare in pace sulla tastiera. Il mio padrone è più accorto di me in fatto di pause, sa che c’è un tempo per la scrittura e un tempo per il riposo. E sa anche che nel tempo del riposo posso felicemente dedicarmi alle sua fusa, accarezzargli il pelo, prendermi i suoi affettuosi morsetti e, magari, farmi impastare come se fossi pane in lavorazione.

Dunque accontentatevi di queste poche righe. L’elogio al signor gatto sarebbe molto più lungo, fosse per me. Ma la sua superiore sapienza si annoia un po’ con le sperticate lodi: roba superflua, è tutto nell’ordine naturale del mondo.

mercoledì 13 novembre 2013

Un figlio diventa padre

Un figlio dice al padre bisognoso: mi hai sempre deluso, arrangiati, io devo pensare alla mia vita. Il padre soffre e tace. Sa di averlo deluso ma non riesce a liberarsi di tutti gli errori che ha addosso e dell’orgoglio cocciuto che li ha causati.
Il tempo passa, il padre ha più bisogno, il figlio è più deluso. E la vita si fa avanti. Esorta il figlio insinuandosi nei pensieri di ogni giorno: lascia da parte il rancore e, soprattutto, l’arroganza. Se non è amore sarà pietà. Davvero riesci a non aiutarlo?
Il figlio fa il muso duro pure al suo cuore e non cede. Fino a quando saranno i figli, un giorno, a bussare alla sua coscienza: papà come sta il nonno?
Non lo so, risponde loro infastidito.
Stai tranquillo papà, noi sappiamo che a te non capiterà.
Cosa? Grida quasi il padre/figlio.
Di avere dei figli che non sanno come stai, risponde uno.
Se avrai bisogno, noi ci saremo, aggiunge l’altro.
Mi sono meritato il loro affetto e il loro rispetto, pensa l’uomo bruciando subito il soffio del rimorso.

I figli sorridono: è il tema che dobbiamo scrivere per domani, papà. E vogliamo prendere un buon voto. La maestra sarà felice della nostra bontà e della nostra piccola saggezza. Si è tanto prodigata a insegnarci a non essere egoisti, spietati, freddi, ostili. E a non disprezzare chi è in difficoltà. Sicuramente anche il nonno sarebbe fiero di noi.
Racconto realtà liberamente ispirato dalla storia di Paolo, l'uomo figlio e padre, oggi "ravveduto" e felice. Scritto per suo espresso desiderio.

martedì 5 novembre 2013

Nel paese si accendono tutte le luci

Qualche volta la felicità sta in un vecchio baule di una vecchia casa. Nell’eredità delle emozioni, quelle che contengono le risposte a tutte le domande.
Finalmente scopri che senso ha stare lì, con le mani che frugano tra lettere e cose, gli occhi bagnati dalle lacrime, il cuore che batte all’impazzata.

Nel paese si accendono tutte le luci, grazie a un vecchio baule di una vecchia casa. Sono le ragioni e i sentimenti a premere l’interruttore. Quelli che hanno bisogno di un vecchio baule di una vecchia casa per scattare dentro di te tutti insieme, come pupazzi a molla. 

lunedì 4 novembre 2013

La camicia degli uomini

Ci sono centimetri di materia che riescono a contenere colori e profumi in enorme quantità. Li noti subito, basta uno sguardo. E diventano punti fermi. Per tutta la vita.
Gli uomini stanno bene con la camicia a maniche lunghe arrotolate, altro che odiosi camiciotti a manica corta. Quel pezzo di stoffa in più che allunga o accorcia fa le stagioni o le circostanze. Ecco tutto, bastano un pezzo di stoffa e un gesto, dice la signora Lia.

Non c’è da pensarci su troppo. In una scelta è già tutto scritto. Chi vede deve solo leggere. Lo so, penserete che il rigore matematico della buona vecchia Lia non si possa applicare al costume, mutevole e zeppo di sfumature. Invece è solo un’allucinazione la pratica freschezza promessa dalla forbice, dunque chi ci vuole scivolare dentro più che abbracciare l’abito del tempo e del luogo ne diventa sciocco servitore. Ammettiamolo, è difficile contestare la signora Lia.

giovedì 31 ottobre 2013

Due vecchi sul muretto

Seduti sul muretto a secco, vecchi quanto basta per averlo visto ai tempi in cui non accennava neanche un piccolo cedimento. Una mano appoggiata al bastone, l'altra levata in aria per accompagnare le parole. Entrambi. Come se la posa fosse quella di un set cinematografico al ciak del regista. 
Solo i corpi sono diventati grandi diversamente, smilzo quello con la coppola scura, tarchiato quello con il cappello chiaro.
Sono gli stessi di ieri. Sono i due che ci saranno anche domani.

In un rito che non si consuma, si ripete. Fanno uso, probi, di quel muretto, di quel tempo, di quell’incontro.