Pagine

lunedì 20 gennaio 2014

Il grande Gatsby

Infine l’ho riletto, Il grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald. Qualche volta le letture di gioventù ritornano, per varie ragioni. In questo caso più di tutto ha potuto la spinta a rimettere i sensi in gioco nella miseria del Grande Sogno.
Sullo sfondo degli anni 20 americani con la crescita economica, i party, il proibizionismo e il conseguente contrabbando, la frenesia e la frivolezza collettive quello di Fitzgerald è il romanzo che più che il grande sogno americano ne narra la fragilità e l’acuta parabola discendente. Con una prosa da avvincente letteratura si destreggia tra amarezza, satira, realismo, saggezza.
La depravazione morale di una ricchezza svincolata dal pudore e dal valore dei sentimenti è tanto più devastante quanto più si confonde con le storie di uomini e donne impregnati di effimera, inquietante apparenza. Storie che sprofondano nella superficialità, si stordiscono nel lusso, si aggrappano alle cose. Storie che riducono la vita a una manciata di ebbrezze, a sciocche esibizioni, a disperati inseguimenti di un fasullo benessere.  
Il grande Gatsby mette impietosamente a nudo lo squallore delle debolezze e la povertà intellettuale, emotiva, affettiva. Lo fa in una trama densa, a tratti quasi esasperata, cucita addosso al tempo, ai personaggi, alla vacuità delle brame e delle ossessioni. Ma anche con il ritratto intenso e struggente di un sogno amoroso che sembra l’unico capace di scalfire la disastrosa follia di una vita inutile.
Jay Gatsby è fuori dalle righe, in tutto. La sua sfacciata agiatezza ha dubbie o riprovevoli provenienze ma per quanto su questo l’intera West Egg (Long Island, New York) si agiti in congetture e giudizi la sua spettacolare villa è meta perenne di veri e propri pellegrinaggi, gare di presenza e di esibizione. La verità è proprio in quella oscena farsa sociale. Mentre Gatsby è animato dal desiderio di riconquistare Daisy, la donna che non aveva potuto sposare da povero e che è decisamente attratta solo dai soldi, tutte le figure che ruotano intorno a lui sono prive di ideali, decenza spirituale e dignità. Chi vorrebbe condannarlo è in realtà un’accozzaglia di spregevoli opportunisti svuotati da qualsiasi umano rigore e bellezza esistenziale che preferisce giovarsi della sua casa, delle sue feste, della sua stravaganza.
Nessuno, neanche lontanamente, percepisce lo spessore e lo strazio di Gatsby. Salvo Nick Carraway, l’unico che oltre a comprenderlo imparerà a rispettarlo.
Nonostante il potere economico Daisy non se la sentirà di lasciare il rozzo ma agiato marito per una persona così diversa, romantica, profonda. Gatsby troverà la morte per mano di Wilson e di un tragico “equivoco” ma, tutto sommato, era già morto prima o sarebbe morto comunque con il sogno tradito e infranto. Gli sarà accanto solo Nick che, proprio davanti alla triste evidenza del fallimento umano di quella società malata, dopo averlo sepolto lascerà  West Egg e tornerà nel Mid West.
Un libro notevole, per tessuto e respiro. Un libro di straordinaria intensità e di impeccabile “tecnica”. Le esemplari caratterizzazioni rendono in modo pieno atmosfere, brutture, degenerazioni.

Per me resta il libro di Jay Gatsby e di Daisy nonché di Nick Carraway, la magnifica voce narrante. Valido per l’epoca dell’illusione e dello sgretolamento del Grande Sogno americano e attualissimo oggi dall’altra parte dell’oceano. Il consumismo, i lustrini e le smanie ostinate del nulla continuano a lacerare la cultura e il pensiero, a mortificare la spiritualità, a generare frustrazioni insulse e inquietanti.

Nessun commento:

Posta un commento