Io
ci sono stata, sui tetti. Tanti tetti, tante volte. Senza imbracature. In barba
alla prudenza e a tutte le buone norme di sicurezza. Come sul fronte della
roccia ferita che, a strapiombo, lacerava tutto. E adesso lo posso pure scrivere,
il tempo si è portato via gli obblighi e le sanzioni. E mi ha lasciato viva e
intera. Doveva andare così, il mio destino non prevedeva rovinassi dalle
altezze.
Adesso
penso diversamente a te. Che urlavi perché scendessi. Che tiravi un sospiro di
sollievo quando mi rivedevi con i piedi saldi a terra. Che poi ci sorridevi, su
quelle che erano le mie stravaganti audacie di passione e dovere. Perché le
capivi, si le capivi, anche quando scuotevi la testa, mi supplicavi di stare
attenta, mi dicevi che avevo un senso esasperato del servizio.
Se
allora mi divertivi e mi commuovevi, collega per un drammatico caso, oggi mi
dai la misura delle combinazioni. Se allora la tua stima e la tua fiducia mi
arrivavano come un giudizio generoso delle difficili circostanze, oggi le sento
come una traccia.
Grandi
opere. Bastano due parole, corte e abusate, e mi vieni in mente tu. Ne sappiamo
qualcosa, tu ed io. Di quelle vere. Che non pronunciavamo neanche, a testa
bassa, con le lacrime agli occhi, alla vista che ci tagliava le gambe. Col
fiato che il disastro ci aveva allenato.
Ecco
perché ti arrendevi entusiasta. Ecco perché le capivi, la forza e le bizzarrie.
Erano
impellenze, sarei caduta solo se non avessi dato tutta me stessa. E tu,
che di calcoli te ne intendevi, mi hai allargato addosso uno sguardo illuminato
da un sospiro: “I calcolatori non possono essere creativi. Per essere creativi
occorre generare qualcosa, ma i calcolatori non generano nulla. Eseguono solo
il programma” (Ada Byron).
Grazie
ing., per i ricordi e per molto di
più.
Per le Grandi Opere occorrono cuore e coraggio...
RispondiEliminaP. tante volte sintetizzi il risvolto dei miei pezzi così bene che ti assumerei come portavoce!
RispondiEliminaLeggi con tutti i sensi accesi, evidentemente ;)