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sabato 12 luglio 2014

Il vaso rotto

I giapponesi riparano il vaso rotto valorizzandone le crepe. Uniscono infatti i cocci con una resina mista a oro, argento o platino così da mettere in risalto i ‘punti di sutura’ e illuminare il vaso e il suo percorso. Già, il percorso. Quello della sua vita che, come quella degli uomini, conosce vicissitudini e sistemazioni.
La filosofia giapponese, al contrario della nostra che diffida degli incollaggi di equilibri spezzati, si affida alla natura degli eventi e alla buona volontà delle mani. Che è un po’ come ricordare sempre che ci vuole pazienza e amore per risollevare le sorti di qualcosa che cade e va in mille pezzi. E che bene e male fanno parte del ciclo, insieme. Forse il vaso sarà ancora più bello, dopo. Quando tornerà a splendere dimostrando che tutto si può superare.
Chissà. Chissà se un vaso, una cultura, un’idea possono esprimere il senso di una direzione di saggezza o di speranza. Chissà se possono racchiudere lo spirito positivo e gagliardo della resistenza e della lotta.
Certo quello che conserviamo custodisce qualcosa che altrimenti perderemmo. Un ricordo, una lezione, una commozione. Pure un dolore, è vero. Ma chi può negare che anche il dolore abbia la sua utilità nel nostro bagaglio emotivo?
Ci penso perché lo raccolgo come un segnale, l’ennesimo, al valore delle cose in termini di rispetto. Rispetto della nostra storia e della nostra vita. Di quel legame affettivo che allacciamo con gli attimi in cui le usiamo, le cose. In fondo è quello ad appartenerci, il nostro modo di prenderle, curarle, utilizzarle. Le impronte che lasciamo su di loro sono i nostri sogni, le nostre azioni, i nostri caratteri. Roba che non può andare cestinata per uno scivolone, una spaccatura e qualche scheggia.
E poi sono così affascinanti le cose usate, consumate e sbeccate dai nostri anni e dai nostri pensieri…Sono come le nostre rughe, inquietanti solo se non sappiamo sorriderci su.

Grazie a Monica Ravera per l’ispirazione.

6 commenti:

  1. I giapponesi, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, hanno la cultura della preservazione e della riparazione. Facendo assurgere questa a livello di arte, come nel caso dell'impreziosimento rituale di un vaso rotto. Ora il vaso vale più che da nuovo, perchè uno di quegli impagabili artigiani del Kintsugi lo ha reso unico.

    Non potrebbe essere altrimenti, in una terra scossa da terremoti così forti da rendere precaria la sopravvivenza di qualsiasi artifatto, specie se delicato come un vaso di terracotta.

    C'è qualcosa di antico, di bello, quasi di pirandelliano in quest'arte paziente. Grazie per averla segnalata e raccontata così bene, nel tuo stile inconfondibile.

    Bellissimo il paragone con le rughe. Chi non le accetta e cerca di spianarle a colpi di botox e chirurgia plastica non ha capito che la vita è un ciclo da accettare e non da cercare di fermare come dei novelli Dorian Grey.

    Ci sono vecchi rugosi che sono bellissimi, e mascheroni inguardabili imbambolati dalle troppe iniezioni.

    Ciao Irene, buon weekend e a presto!
    HP

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    1. HP solo tu potevi confortare così egregiamente queste riflessioni!
      Già, il kintsugi lo rende 'unico' dunque prezioso...le tue note di costume arrivano altrettanto preziose! Grazie, è sempre bello attingere un po' dalla tua conoscenza di lontane e diverse culture.
      Preservare e riparare sono verbi-tesoro e forse dovremmo rivalutarli. Di pari passo con la serena saggezza del tempo che scorre sulla pelle lasciando le sue naturali tracce...
      Un abbraccio grande e forte
      Irene

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  2. Se non puoi nascondere qualcosa, mettilo bene in vista: credo sia questo il senso della filosofia giapponese. In fondo, perché vergognarsi delle proprie crepe, delle linee di frattura, dell'usura del tempo: sono il segno tangibile che abbiamo vissuto appieno i nostri giorni e ancora li viviamo, senza paura di farci male.
    Un abbraccio, cara Irene
    P.

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  3. Bella riflessione, P.
    E tutto sommato...'mettere in vista' è pure liberatorio!
    Un abbraccio a te ;)

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  4. Ci pensavo in questi giorni alle "cose" rotte. Negli anni ho imparato ad apprezzare gli incollaggi, quelli tra le persone per intenderci. E' facile buttare via il rotto e sostituirlo, senza neppure provare a mettere insieme i cocci, magari riconvertendo in altro "uso". Ecco, quando ho questi pensieri mi sento vecchia davanti ad un camino, e anche brontolona. però è bello sapere di non essere l'unica occidentale a mugugnare sull'arte del preservare e riparare.
    Buonanotte Irene e grazie per il post :)
    PuntoG

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    1. Eh caro PuntoG non sei affatto sola. Anche io, vecchietta davanti al camino, medito sugli incollaggi. Veniamo da un tempo che ha fatto discarica delle relazioni umane...e adesso ci accorgiamo di quanto possa essere 'sana' una bella operazione di pazienza, di sensibilità, pure di accondiscendenza...Che quello che è riparato, talvolta, può accompagnarci per sempre ;)
      Grazie a te!

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